mercoledì, dicembre 28, 2005

I dintorni di Costanzo



Maurizio Costanzo è un ottimo presentatore, un buon anchorman, un pessimo giornalista.

Lo dimostrò con il flop di quello che doveva essere il primo quotidiano popolare di stile anglosassone, L'occhio, che nel giro di poche settimane dovette abbandonare le edicole dov'era messo in vendita a prezzi stracciati, senza seguito di pubblico.

Nonostante le sue rubrichette sul Messaggero e su Libero non crediamo riesca ad ottenere grande ascendente sui lettori, i quali lo preferiscono alla guida dei contenitori televisivi od altri spettacoli di varia umanità, in cui l'aceto romanesco ha più possibilità di farsi apprezzare.

E' un po' il limite di quanti, ottenuto successo in un determinato settore della comunicazione, pretendano di estenderlo ad altri ambiti, per i quali non sono votati.

In più, pesa su di lui il peccato originale del partito radicale, che sempre di più assomiglia ad un ircocervo, che costringe a continui salti mortali i suoi simpatizzanti, privi, probabilmente, di attitudini acrobatiche, in un infinito pencolare tra destra e sinistra, tra una posizione ed il suo opposto, nell'inutile tentativo di una sintesi inattuabile o di una composizione impossibile tra aspetti confliggenti.

Non dimentichiamo neppure il senso di colpa, che lo attanaglia a causa dei miliardi percepiti dalle aziende del premier, con il quale non può mostrarsi corrivo, pena la taccia di servo del padrone.

Costanzo ci pare il perfetto esemplare del radical chic, teso a farsi perdonare i consistenti patrimoni acquisiti in casa Mediaset. Deve prostrarsi o, perlomeno, strusciarsi alle gambe di personaggi di sponda opposta a quella del cavaliere, con un fare un po'ruffianesco, per accreditarsi comunque come un animo progressista ed indipendente.

E' chiaro a tutti, peraltro, che si tratta di pura apparenza, in quanto la comoda, privilegiata poltrona in cui il caso, la fortuna o il fiuto del suo datore di lavoro, l'hanno collocato, non può essere lasciata.

Sono troppi i benefits, e troppa la libertà di organizzare i programmi, da fare invidia tutti i giornalisti di regime.

Orbene, ognuno può difendere come crede, con l'opportunismo le proprie rendite economiche e d'immagine, ma lo faccia con semplicità e senza mascherature, né affettazione ed eccessiva sollecitudine verso gl'invitati al proprio salotto televisivo ritenuti, a torto o a ragione, veramente importanti.

L'untuosità con cui accoglie l'ospite di turno del suo Diario, con la falsa sicurezza di chi è abituato ad andare a braccetto con i potenti, non è sufficiente per guadagnarsi il ruolo di guru o di compagno di viaggio di personaggi di levatura intellettuale (anche di poco) superiore alla sua.

Se ne renda conto una volta per tutte.

I suoi dintorni non appartengono al suo paesaggio. Non sono propaggini del suo essere ed esistere.

Dopo che, com'è avvenuto l'altra sera, all'atto della presentazione di un sedicente pensatore come Galimberti (un filosofo della storia, definizione scarsa di significati pregnanti), dispensatore di consigli aulici dai rotocalchi femminili e supremo volgarizzatore di massime altrui, annuncia al popolo di darsi del tu con l'illustre ospite, da tempo immemorabile, non ha aggiunto nulla alla sua figura e a quella dell'invitato.

Il nostro presentatore sembra aspirare al ruolo della lumaca di Trilussa, che lasciando la propria scia sul monumento, era persuasa di aver lasciato un segno nella storia. E l'imbarazzo che coglie l'interlocutore, ancora in attesa di scrivere il proprio capolavoro, mostra quanto poco sia lusingato dalle affermazioni confidenziali di personaggi, inevitabilmente considerati inferiori sul piano culturale, e, nonostante gl'inchini, ineluttabilmente appartenenti all'armata del nemico.

Costanzo lasci perdere i dintorni e si convinca di non essere il Re Sole dell'universo della comunicazione e neppure il suo delfino.

Si accontenti del suo ruolo di mediatore televisivo, conservando la propria fortuna, senza dilapidarla con eccessi di presenzialismo, supponenza intellettuale ed espansionismo aziendale.

Gliene saremo tutti grati.

martedì, dicembre 27, 2005

La lezione di Don Chisciotte


Cari lettori, che cosa c'è di meglio, in questi giorni di vacanza, che rileggere qualche pagina di un celebre libro, come il Don Chisciotte?

Credo che, in tempi di omologazione televisiva, la lettura di qualche avventura dell'immortale eroe di Cervantes sia l'antidoto migliore, per riflettere sul nostro destino di uomini in balìa degli eventi, ma grazie alla fantasia e all'inventiva, alla passione e alla poesia, capaci ancora di scegliere la meta da raggiungere, senza i condizionamenti dei mass-media, ma in piena autonomia per fare quel che vogliamo con convinzione autentica.

Lina, una mia giovanissima parente, che vive negli USA, già laureata in Scienza della comunicazione, ed esperta nell'arte fotografica, ha scelto di frequentare il conservatorio per imparare a suonare il piano secondo le buone e difficili tecniche delle scuole di alto livello.

Anni fatica per fare quello che desidera con il cuore, e con la prospettiva di non guadagnare certamente i lauti compensi di chi si dedica alla fotografia professionale.

E' un piccolo esempio, ma una grande lezione per chi vuole sottrarsi alle imposizioni della società moderna, dove spesso vale più lo status symbol che l'armonia con se stessi.

La decisione di Lina sarebbe stata approvata dal grande e nobile cavaliere e dal suo inimitabile creatore, il quale, prima di tutto, ha descritto una categoria dell'animo umano: la libertà morale.

venerdì, dicembre 23, 2005

martedì, dicembre 20, 2005

Babbo Natale alle corde


Sembra un segno dei tempi.

Fuori dai balconi o sulle porte d'ingresso, dal ramo di un albero o dal muro di cinta, penzolano tanti pupazzi di Babbo Natale.
Una moda, senza dubbio, che invade città è villaggi, nell'epoca del consumismo globale.

E poi il fenomeno dell'imitazione.

Ogni cittadino che si rispetti pensa che sia un suo dovere adeguarsi e così decine di sagome adornano le vie e le contrade.
Ma è uno spettacolo che non entusiasma , non desta allegria o gioia e non ispira sentimenti natalizi.

L'impressione che si ricava è di una fiera, uno spettacolo montato su per l'occasione, per essere al passo con la moda e conclamare un Natale all'esterno, nel momento in cui dentro le case o nell'intimo non si riesce più ad apprezzarne il senso profondo.

Resiste la festa, ma sembra quasi arroccata in un tentativo disperato di difesa della tradizione in un ultimo fortilizio, da cui prima o poi spunterà il vessillo bianco della resa.

Il relativismo imperversa come la mancanza di attenzione per la religione, considerata dai più una forma passatista di visione del mondo, un freno alla giustizia sociale e alla liberazione dell'uomo. Una sovrastruttura antiquata e declinante come un'ideologia qualunque: c'è una generalizzata diffidenza verso il sacro, interpretato più come superstizione che come esigenza dell'animo.

E' poca la fede nella società moderna, come dice il Papa; ma non c'è neppure il senso laico di un tempo nel vivere le feste religiose ed, in particolare, per questa ricorrenza, che dovrebbe riaccendere una piccola speranza, nel cuore degli uomini, in un mondo migliore fondato su pochi semplici principi etici.

L'evoluzione dei costumi, eterodiretta dall'industria culturale, ha reso molte persone più scettiche su tutto, anzi, più ciniche verso i propri simili ed il divino e, magari, per contrapposizione inspiegabile, più sensibili ai miti dell'animalismo e dell'ambientalismo ovvero dell'umanitarismo generico, meglio se esterofilo, che non richiede un preciso senso di responsabilità come nei confronti di un familiare, un amico, un vicino, un conoscente derelitto (tutte figure imbarazzanti per chi vola nell'iperuranio dell'utopia comoda e discolpante).
Una fuga da noi stessi.

Una compensazione del vuoto interiore in nome di nuovi idoli mal compresi ed imposti dall'alto, dai produttori di cartapesta, cattivi maestri e volgari demagoghi.

Ecco come si spiegano i pupazzi di Babbo Natale, una caricatura del giorno della rinascita, soppiantatrice del presepe e dell'albero dentro ogni piccola o grande abitazione e, soprattutto, nella mente di credenti e non credenti.

Pupazzi per non sentirsi soli nell'avanzante desertificazione dei sentimenti.

sabato, dicembre 17, 2005

Umano, troppo umano: animale


Rossella Castelnuovo, commentatrice scientifica di Rai Tre, non perde occasione per definire uomini e donne semplicemente "umani": una qualificazione darwiniana tendente ad appaiarli ad insetti, rane, oranghi, etc. - tutti ricompresi nel variegato mondo animale.

La sua insistenza è perentoria e sistematica.Tanto per far capire, a chi ancora non l'avesse ben chiaro in testa, che noi poveri mortali, dopo l'abbandono del vieto antropocentrismo imperialista, non siamo in nulla differenti dalle altre specie.

Qualche tempo fa, davanti a liceali, un po' confusi, di un celebre istituto romano, partecipanti ad un pubblico dibattito sull'evoluzione, richiamò qualche studente ancora restìo ad uniformarsi alle nuove regole del linguaggio, ribadendo con forza che anche noi siamo animali - quasi per dire che termini come uomo e donna sono ormai perniciosi, in quanto ci contrappongono agli altri esseri viventi con un'infondata presunzione di superiorità e costituiscono un forte ostacolo all'educazione delle nuove generazioni alla democrazia.

Ora, noi non abbiamo nulla contro gli animali, umani compresi, spesso più somiglianti a bestie che non a dei, ma pensiamo che non ci sia niente di male a non volerci ritenere assimilati, tout court, ad amebe o girini, se non altro per il dono della parola e della comunicazione elaborata, dell'autocoscienza e della creatività.

E soprattutto crediamo che il relativismo culturale non debba ridurci a numeri sottomessi al regno della quantità, inglobati nella massa indistinta e governati dal positivismo scientifico livellatore, per il quale un animale vale l'altro e tutti insieme contano meno di zero.

Lasciateci ancora leggere senza complessi d'inferiorità l'Umano troppo umano dell'inquieto e scintillante Nietzsche o riflettere sui limiti e la grandezza dell'uomo, descritto dalla lucida e feconda speculazione di Kant, come essere irripetibile dell'universo, allorché constata la meraviglia del cielo stellato sopra di sé e la coscienza morale dentro di sé.

Una consapevolezza che nessun diktat scientista potrà mai attribuire alle altre specie.

martedì, dicembre 13, 2005

Lettera a Massimo Fini


Caro Massimo Fini,

ho letto con interesse il Manifesto dell’Antimodernità e del Movimento Zero e vorrei esprimerle i miei complimenti per l’adesione al programma, fra gli altri, di un intellettuale scomodo ma di notevole spessore culturale ed acutezza di analisi, come Alain de Benoist.

Mi chiedo però quanti interlocutori ne conoscano il pensiero e ne percepiscano le ascendenze sicuramente non marxiste.

Pur non richiamandosi alle categorie ottocentesche di destra e sinistra, che solo per convenzione si continuano ad adottare, dopo il crollo delle ideologie, la posizione di questo pensatore si è fatta chiara ed inequivocabile, nel momento in cui nasce in Francia la nouvelle droite, che costituisce ormai un cospicuo patrimonio spirituale nel superamento di concezioni politiche inadatte alla complessità dei tempi e nella configurazione di strade nuove per tentare di risolvere le contraddizioni ed i problemi presenti nelle società occidentali.

Alcune osservazioni dei commentatori del suo blog hanno, per altro verso, attratto la mia attenzione, in quanto univocamente concordi nel voler affermare un’alta concezione della politica, pur provenendo da differenti esperienze.

In particolare mi ha colpito l’affermazione di un lettore che dice di ravvisare nel suo Manifesto idee già presenti in Rifondazione comunista.

Ora, nessuno più di me considera le sottoscrizioni al suo programma come un segno importante di cambiamento e come volontà di realizzare un sistema più efficiente ed equilibrato nei rapporti fa i cittadini e questi e lo Stato: non più sudditi, ma protagonisti della vita sociale.
Mi permetta di dire, però, che quel signore forse ha equivocato sui contenuti programmatici da lei espressi.

Ortega y Gasset affermava, ben oltre un cinquantennio fa, che destra e sinistra sono semiparalisi mentali, ma non rinunciò mai ad insegnare il valore della libertà individuale e dei principi etici aristocratici contro la massificazione.

Non sono le etichette che contano, ma le idee in cui si crede.

C'è qualcuno di provenienza comunista che si riconosce in qualche punto del Manifesto?

Bene, ma non si creda di poter rilevare, per questo, che ci sia qualche assonanza col pensiero marxista o post marxista, ineluttabilmente alle spalle del Movimento da lei fondato, se ho ben letto e interpretato le parole espresse ed i concetti cui rimandano.

Cerchiamo di non ragionare con i paraocchi e vediamo di stabilire con chiarezza che cosa s'intenda realizzare nella società civile ed in campo economico e sociale.

Spero che si punti ad un superamento del capitalismo darwiniano, con il liberismo sociale o con l'economia sociale di mercato e che si riconosca che la rivoluzione industriale, come ha ben messo in luce il libertario Sergio Ricossa nel sua "Storia della fatica", ha portato anche un progresso nelle condizioni di vita delle classi meno agiate, come mai era avvenuto nei secoli precedenti.

Sul piano antropologico, credo che possa costituire un contraltare ai vizi dell'industrialismo, la lezione di civiltà, ragionevole rispetto della natura e ricerca di un'armonica esistenza per l’uomo, contenuta nei libri dell'etologo K.Lorenz, il quale non ha nulla da spartire con i fondamentalismi ecologisti dei verdi.

Il successo del Movimento dipenderà in buona parte dalle scelte tra utopia e realismo: non dovrebbe innalzare la bandiera dei giacobini per creare il paradiso in terra, ma con lucidità e determinazione dovrebbe battersi per ideali realizzabili – soprattutto - con una rivoluzione morale posta al servizio della persona e della sua dignità, per un assetto che salvaguardi l’uomo e le comunità intermedie contro ogni prevaricazione (ideologica o no) della libertà.

Ho apprezzato molto nella sua storia intellettuale, il contributo recato alla comprensione della figura di Leo Longanesi, cui sono legato dai tempi del liceo.

A mio sommesso parere, tra i padri culturali del Manifesto c'è anche lui.

Non dimentichiamolo.

lunedì, dicembre 12, 2005

Desacralizzazione



Dalla Fiera del libro svoltasi a Roma, grazie ad alcune interessanti interviste di Marino Sinibaldi, abbiamo scoperto che i filosofi si occupano oggi della desacralizzazione, non tanto come oggetto di studio, quanto come finalità e conquista della più pura speculazione scientifica del tempo presente.

E così un tale pensatore di nome (non ce ne voglia se non lo riferiamo esattamente, vista la nostra ignoranza sulla sua esistenza) Agammato parla non solo di una nuova definizione della religione e del profano ed incita alla profanazione come metodo (pensiamo) neo - socratico, ma con argomentazione, a dir poco curiosa, desacralizza il telefonino (opera peraltro altamente meritoria), sostenendo che "se si scherza al cellulare, vuol dire che questo strumento di perversione è stato distrutto!"

Vattelapesca a capire...

Per fortuna provvede, subito dopo, il magnifico Marramao (filosofo - paroliere del cantante - guru Battiato), a ristabilire le sorti del pensiero contemporaneo, constatando genialmente che la vera dissacrazione nei confronti dell'antica religio è stata compiuta dal monoteismo ebraico, il quale ha annientato gli dei pagani. Un elevatissimo concetto, presumibilmente frutto straordinario dell'intesa profonda con il celebre cantautore siciliano, impareggiabile esegeta e cultore del sufismo mediterraneo.

Ora siamo consapevoli che la nostra perdita del centro, madre di tutte le desacralizzazioni, è il risultato di una congiura giudaica.

Ma che bravi questi filosofi moderni.

Benvenuto Cyrano





Anche Cyrano - Massimo Fini finalmente ha aperto il suo blog.

Chi è Massimo Fini lo sanno tutti: un rompiscatole.

Un giornalista e uno scrittore anticonformista, critico del potere e per questo osteggiato da tv, politici ed editori.

Un personaggio che ha cercato di realizzare i suoi sogni, non riuscendovi ( come dice egli stesso, ma chi li realizza? ) e comunque deciso ad instaurare un convinto ed acceso combattimento contro la partitocrazia ed il consumismo, la manipolazione delle coscienze, la perdita d'identità dei popoli e delle culture, per la libertà individuale, la democrazia diretta, la civiltà anteposta alla civilizzazione, fondando il Movimento Zero, con un manifesto programmatico interessante e vivace, rivoluzionario come quello di un Marinetti dell'antimodernità, da leggere con attenzione sul suo sito:
www.massimofini.it

Benvenuto Cyrano ed auguri cordiali per una vittoriosa battaglia.

martedì, dicembre 06, 2005

Addio "Piccola Parigi"

Convocati gli stati generali nella storica aula consiliare del Comune di La Maddalena, che si fregia, fra l'altro, di una dedica al Municipio da parte dell'eroe dei due mondi, il Governatore Soru ha fornito alcune indicazioni sulla riconversione dell'Arcipelago, dopo la fine dell'economia "militare" ( a seguito delle dismissioni della Marina italiana e di quella statunitense), richiamandosi - con un excursus storico un po' incerto - al periodo di massimo splendore dell'Isola , già definita la "Piccola Parigi", ed incitando gli abitanti ad aver fiducia nel turismo, finalmente libero di espandersi, eliminate le remore imposte dalle stellette, dal dopoguerra ad oggi.
Alcune imprecisioni non trascurabili hanno punteggiato il discorso del Presidente della Regione, apparso un po' a disagio per lo smantellamento della base di appoggio dei sommergibili Usa, decisa probabilmente troppo presto, rispetto alle sue personali previsioni.
Storicamente, ha mancato di ricordare che la "Piccola Parigi" nacque tra le due guerre mondiali per la realizzazione di un'invidiabile ( dal punto di vista strategico - difensivo) piazzaforte militare, consistente nella costruzione di numerosi manufatti - fortini e batterie - scavati nelle rocce di granito e nascoste alla vista, dal cielo e dal mare, e, quindi, già allora, perfettamente inseriti nell'ambiente naturale, oltre ad insediamenti di vario genere per le diverse forze armate, le quali crearono un circolo virtuoso sul piano economico-sociale e culturale, tanto da porre in una posizione preminente La Maddalena rispetto ad altre zone della Sardegna.
Non ci pare appropriato dire - come ha fatto Soru - che cittadine come Olbia erano legate all'agricoltura e borghi come Palau erano poco più che un attracco per le navi.
Ma è senz'altro vero che il progresso dei maddalenini rispetto a quello delle altre popolazioni sarde era indiscutibile e che questo primato probabilmente è durato, mutatis mutandis, fino ad oggi.
La "Piccola Parigi" con i suoi negozi, teatri, navi militari e mercantili, un fiorente mercato generale ed ittico, era già inserità all'inizio del 900 tra le cento piazze d'Italia ed il titolo di città.
Ma questo avveniva per merito e come conseguenza delle attività legate al Ministero della Difesa, come del resto avvenne in tutto o in parte con Livorno, La Spezia, Gaeta, Taranto, Brindisi, Messina.
I legami con la Regia Marina Sardo-Piemontese risalivano, del resto, ai tempi della rivoluzione francese e al tentativo di conquista dell'Arcipelago da parte del luogotenente Napoleone, per conto della Convenzione, con l'assalto all'isola di Santo Stefano, respinto per il coraggio del nocchiero Domenico Millelire, prima medaglia d'oro al valor militare dello Stato italiano.
Ora, nessuno pretende che il Governatore - prima di lanciarsi in azzardati paragoni storici- abbia avuto la possibilità di leggersi uno dei tanti libri dedicati alla storia della Maddalena, ma abbia almeno l'accortezza di lasciar da parte il riferimento alla "Piccola Parigi", che ormai non esiste più e non può, per le diverse circostanze attuali, costituire uno slogan per il futuro turistico, che dovrebbe arridere ad una comunità smarrita e fortemente preoccupata per l'avvenire dei propri figli.
L'ineffabile Governatore, con incauta leggerezza ha inoltre dimenticato di ricordare che la Maddalena, nonostante la presenza militare (la quale ha avuto il merito, fra gli altri, di salvaguardare l'Arcipelago dagli scempi urbanistici di altre parti della Gallura e dalla distruzione dell'ambiente), è stata tra le prime località della regione a valorizzare, con metodi che oggi si definiscono compatibili con l'equilibrio naturale e paesaggistico, le potenzialità legate al turismo con la creazione del primo villaggio del Club Mediterranée in Italia, fin dagli anni cinquanta, e la costruzione d'insediamenti del Touring Club, della Valtour, del Centro Velico di Caprera, tra gli anni sessanta e settanta, attirando costantemente villeggianti pù avvertiti e qualificati di quanto non avvenga ogni estate in Sardegna con l'invasione estiva delle frotte predatrici del "mordi e fuggi".
Oggi non rimane che puntare sul Turismo, con la T maiuscola, ha ripetuto con monotonia Soru, ma come?
Questo è il punto.
Egli ha parlato d'investimenti a favore di questo settore che vanno dai 15 milioni ai 45 milioni di euro ( si vedrà), ma non ha delineato alcuna strategia economica al riguardo.
Solo pannicelli caldi per le infrastrutture, la sanità, l'acqua, il recupero del centro storico, l'artigianato , l'edilizia residenziale, in attesa che gl'imprenditori veri si affaccino sull'isola e decidano d'investire seriamente, e che il Parco Nazionale dell'Arcipelago si trasformi finalmente in motore e promotore di un nuovo assetto sociale e di un nuovo benessere.

Il fatturato di 33 miliardi di vecchie lire prodotto dalla passata economia "militare", non sembra facilmente raggiungibile con la creazione di un attrezzato e moderno cantiere per navi da diporto, l'unico progetto concretamente realizzabile per trasformare il vecchio e glorioso Arsenale della Marina militare.
Un po' poco per vedere risorgere la "Piccola Parigi".

lunedì, dicembre 05, 2005

D'Artagnan? Un balente!

Non so se abbiate avuto la ventura di vedere il dialogo televisivo a distanza tra il Bandito Mesina e il Presidente Cossiga, tutto incentrato sulla balentìa ed i balentes di nobili ed antichissime ascendenze barbaricine.

Concetti non facili per chi non abbia avuto l'occasione di una frequentazione non turistica con la Sardegna e la Barbagia, e non abbia potuto quindi sperimentatre l'osservanza, tuttora diffusa, del secolare codice d'onore del Supramonte, che indimenticati studiosi del rango di Antonio Pigliaru, rinomato docente di dottrina dello Stato all'Università di Sassari, ed altri non meno valenti giuristi, avevano qualificato come un vero e proprio ordinamento giuridico, imposto dalla consuetudine, preesistente alla codificazione del Regno Sardo-Piemontese ed addirittura alla stessa "Carta de Logu" di Eleonora d'Arborea, fonte ispiratrice di diverse normative anche fuori dell'isola.

Toccò a Montanelli sperimentarne la vitalità, allorché durante la sua permanenza a Nuoro, il padre, Preside di liceo, lo affidò con la massima tranquillità alla tutela di alcuni ex ricercati, appartenenti all'aristocrazia dei fuorilegge, ovviamente per ragioni di faida e non per veri e propri atti deliquenziali, consentendogli così di conoscere per l'appunto la balentìa ( o valentìa, se preferite).

Il Presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga e l'ultimo dei Banditi gentiluomini, accomunati da una condivisone di valori, che va ben oltre la diversità dei ruoli e delle posizioni sociali, hanno pertanto spiegato in che cosa consiste questo paradigma culturale o questo imperativo etico, che non è stato ancora disperso dalla civilizzazione e dai modelli consumistici.

Ecco la definizione più semplice e completa, che racchiude peraltro svariate articolazioni e sfumature sul piano esegetico e pratico.

Balentìa significa "Combattere, con coraggio (non solo fisico), per una causa ritenuta giusta, seguendo le regole della lealtà".

Nulla a che fare con rapine sequestri violenze intimidazioni ed assassinii, che purtroppo da una certa data in poi hanno inquinato l'ambiente sardo, con modelli importati dal cosiddetto continente, con le bravate facinorose dei giovinastri o i traffici di droga.

Gli atti compiuti contro la legge nascono dalla faida o dalla vendetta, la più elementare, primitiva forma di giustizia privata.

Il balente rispetta le regole e l'avversario ed anche il rappresentante dello Stato se riconosce che agisce correttamente.

E' stata una conversazione molto interessante, che ha messo in luce i rapporti di amicizia tra due personaggi, che rappresentano due facce della stessa realtà culturale e sociale di una terra, avvolta ancora per mille aspetti nell'aura della civiltà classica, metapolitica ed universale.

Bastano due esempi per confermarlo.

Il miliardario rivoluzionario Feltrinelli che, non conoscendo per nulla l'etica barbaricina, tentò di guadagnare alla propria causa Graziano Mesina, ottenendo da quest'ultimo soltanto qualche sorriso di compatimento, prima del tragico episodio di Segrate, non avendo compreso che quel mondo pastorale si librava sopra lo spazio ed il tempo dell'ideologia ed era disciplinato autonomamente da princìpi a loro modo metafisici.

E poi, la leggendaria figura di D'Artagnan, simbolo della Guascogna e di quanti si pongono a difesa della dignità dell'individuo, contro le ingiustizie e le prevaricazioni del potere, impegnandosi nella lotta, con coraggio e senso di responsabilità personale.
Anche D'Artagnan è un balente!



mercoledì, novembre 30, 2005

Una mossa inaspettata

A La Maddalena e a Cagliari nessuno se l'aspettava. Una decisione così rapida per smantellare la base USA è una mossa inaspettata.

Ha vinto la linea Luttwak ed i sommergibili se ne andranno nel 2006.

Che cosa resta da fare per un'isola nata con la Regia Marina, grazie alla sua posizione strategica nel mediterraneo, dopo che già la Difesa ha cominciato ad abbandonare le strutture militari da anni - nell'ottica di un trasferimento nelle altre basi navali nazionali?

Il Parco dell'Arcipelago non cre a posti di lavoro, tutt'al più conserva l'esistente.

Non c'è all'orizzonte un'imprenditoria a largo respiro guidata da uomini lungimiranti.

Si corre il rischio di buttar via con l'acqua sporca anche il neonato.

Duemilacinquecento persone stanziate con la nave appoggio ed i battelli nucleari, che incrementavano il piccolo commercio ed il mercato degli affitti e 200 occupati, che andranno a spasso insieme con 4,5 piccole ditte impegnate con i lavori con gli americani.

E' presto per fare previsioni basate sull'industria dell'ambiente (?) e sul turismo diversificato (?), ma è certo che sarebbe stato più saggio fondare le premesse per la rinconversione dell'economia locale, mentre si sollecitava l'allontanamento della base nucleare.

La gioia per ambientalisti ed antiamericani assomiglia ad una vittoria di Pirro più che ad una vera conquista.

Luttwak infatti aveva preannunciato l'estate scorsa l'attuale decisione del pentagono, ma nessuno se l'aspettava così rapida e determinata.

Ed ora, che fare per non ridurre l'arcipelago ad un luogo di pescatori e pensionati?

Mister Tiscali e l'Italia

Renato Soru, Presidente della Regione Sardegna è in guerra, non da oggi, con il Governo centrale, per una serie di problemi interni, legati ad un'economia locale finora assistita dalle finanze pubbliche ed ora in difficoltà per la congiuntura che colpisce indiscriminatamente, ma che con il federalismo e la legge finanziaria mette in luce le contraddizioni di un sistema d'indebitamento generalizzato e di clientelismi spinti all'eccesso a causa dell'imperversare della partitocrazia.

Stavolta la posta in gioco è veramente importante perché si tratta d'incamerare miliardi non versati fin dal 1991 dallo Stato alla Regione in materia d'imposte e tasse.Per sette decimi gl'introiti percepiti dalle finamze statali andrebbero infatti versati alle casse regionali, per un accordo stipulato ai sensi del vecchio statuto speciale sardo.
Senza voler entrare nel merito della diatriba e di norme, probabilmente da aggiornare in coerenza con i nuovi principi federalisti, quel che colpisce è l'atteggiamento aggressivo del Presidente nei confronti di una compagine governativa ritenuta politicamente avversaria e quindi da attaccare a testa bassa, con baionetta ed elmetto, in tempi difficili per la maggioranza della popolazione e del Paese.
Quel che stride con il comune buon senso ed i più elementari principi di teoria economica è piuttosto la pretesa di ottenere, dopo anni di silenzio ed inattività dei rappresentanti politici regionali, tutto e subito, a dispetto degli obiettivi ostacoli non agevolmente superabili, da qualsivoglia punto di vista si voglia osservare la situazione dell'Italia.
Ma l'italia che cos'è per Mr. Tiscali?
E o no il Paese che ha fatto per un certo periodo la fortuna della sua azienda?

Perché mentre si parla di federalismo sociale, non si riflette sulla solidarietà tout court per l'insieme delle Regioni, che compongono bene o male uno Stato unitario, anche con le autonomie e l'autogoverno regionale?
Quale esito può ottenersi da un scontro aperto, piuttosto che da una moderata composizione delle esigenze locali e generali?
E' sicuro il Presidente Soru che, in questo modo, faccia l'autentico interesse della sua Regione o non la esponga, piuttosto, ad ulteriori difficoltà, laddove non vi sia armonizzazione in materia economica e finanziaria tra la politica autonomistica e quella centrale?
Ci pare che il Governatore abbia assorbito dalla sua esperienza politica più lo spirito rivendicativo che non quello collaborativo, cardine dell'educazione cattolica che pure ha ricevuto, e confonda la solidarietà e la sussidiarietà in tema di federalismo con il giustizialismo postmarxista, tanto da pensare d'imporre ulteriori tassazioni a carico di chi abbia un'abitazione o svolga un'attività in Sardegna, quasi fosse una colpa investire nella sua terra o sia un abuso fissarvi il domicilio o la residenza.
E' la mentalità giacobina che preoccupa in Mr. Tiscali, il suo ostinarsi a considerare la ricchezza non come un traguardo da ampliare a beneficio della popolazione, ma un'anomalia da eliminare, e lo Stato come un nemico da contrastare e forse da abbattere.

lunedì, novembre 28, 2005

Il sogno e il divino

Il grande Nietzsche, nella sua Gaia Scienza, ci parla in maniera memorabile della forza del sogno ovvero dell'apparenza: con felice intuizione egli dice che non è una maschera inanimata, ma un fuoco fatuo, una danza degli spiriti, che prolunga l'esistenza, servendosi dell'uomo della conoscenza.
Non trovate questo pensiero una pietra miliare nella riflessione sull'umanità, condotta con incredibile maestria da chi credeva nella forza postiva del pessimismo, nutrito del potere divino potere dell'antica civiltà greca?

martedì, ottobre 25, 2005

Sulla libertà (Omaggio a Stuart Mill)


Vi è una sfera di azione nella quale la società, in quanto distinta dall'individuo, ha soltanto un interesse indiretto, se mai ne ha alcuno. Essa comprende tutta quella parte della vita e del comportamento di un uomo che riguarda soltanto lui o se riguarda anche gli altri richiede un consenso o una partecipazione liberi, volontari, e non ottenuti con l'inganno.

Questa è la ragione propria della libertà umana.
Essa comprende innanzitutto la sfera interiore della coscienza, libertà di pensiero e di sentimento, assoluta libertà di opinione in tutti i campi, pratico e speculativo, scientifico, morale o teologico.
Secondariamente, questo principio richiede la libertà di seguire i propri gusti e le proprie inclinazioni, ovvero di programmare la nostra vita in conformità al nostro carattere, di fare quel che ci piace, con tutte le possibili conseguenze, senza essere ostacolati dai nostri simili, fintantoché non arrechiamo loro danno, anche se essi dovessero ritenere il nostro comportamento stupido, sbagliato o perverso.
In terzo luogo dalla libertà di ciascun individuo, entro gli stessi limiti, consegue la libertà di associazione fra gl'individui: la libertà di unirsi per uno scopo qualsiasi che non nuoccia agli altri, posto che si tratti di persone adulte, non costrette con la forza o con l'inganno.

L'unica libertà degna di questo nome è quella di perseguire il proprio bene a proprio modo, fino a che non cerchiamo di privare gli altri della loro o di ostacolare i loro sforzi per ottenerla.
Ciascuno è il guardiano naturale della propria salute, sia fisica che mentale e spirituale.
L'umanità trae maggior vantaggio dal lasciare che ciascuno viva come meglio gli sembra, che non dall'obbligo a vivere come sembra bene agli altri.


John Stuat Mill

lunedì, ottobre 24, 2005

I socialisti:uno spettacolo deprimente


Ci stanno? Restano? Se ne vanno?
Facciano quel che vogliono.

Al di fuori della modesta cerchia dei nostalgici, come fu per quelli della balena bianca, non c'è grande interesse oggi in Italia per un ritorno al vecchio PSI, così come alla vecchia DC, nonostante le sceneggiate.
Che cosa volete che importi agl'italiani che s'interrogano sul futuro se - come l'araba fenice - rinascerà il partito craxiano?
Vedere i congressisti accapigliarsi e gridare come da qualsiasi curva sud , lanciando insulti, non è né di buon gusto né divertente.
E'uno spettacolo deprimente.
Ma a pensarci bene:che cosa ci fanno i socialisti nella CDL? Nulla.
Meglio Boselli, personaggio demodé, somigliante ad una figura politica degli anni cinquanta, che almeno tenta di sopravvivere unendosi ai radicali, i quali non potranno avere altro alleato elettorale, visto che hanno stancato tutti.
E il socialismo, oggi, cos'è in Italia?
Un mistero, una cabala, una farsa.
Tutti volti vecchi.
E poi, l'investitura per diritto ereditario di Bobo è quanto di più tragico possa rappresentarsi sulla scena politica nazionale.
Il figlio di Bettino che va nel centrosinistra, con i nemici più velenosi ed accaniti di suo padre,con quelli che lo hanno massacrato e vilipeso da vivo e da morto.
No, non è un dramma antico. E' una triste pantomima. Tutto per un pugno di voti.

venerdì, ottobre 21, 2005

Sono solo canzonette


Ma chi crede di essere Celentano?

Veramente a furia di essere osannato anche per le sue incertezze e indecisioni nel parlare, le pause di un eloquio approssimativo e poco efficace da persona semplice e poco istruita, ma anche avvezza alle furbizie del mondo dello spettacolo, dove perfino i propri difetti possono tramutarsi in pregi, l'ex orologiaio crede di essere un guru?

Come altri suoi colleghi, che scambiano le canzonette per ragionamenti articolati di tipo letterario o filosofico o politico, incoraggiati da un pubblico incolto ed istintivo (per il quale l'apparire vale molto di più dell'essere e la leggerezza e superficialità delle note musicali costituisce tutto l'universo possibile), pensa di poter dare lezioni morali ed indicare la strada della libertà?

Ieri abbiamo visto l'ennesima esibizione nazional popolare dell'ex molleggiato e ci è parso un po' affaticato nel recitare il ruolo del Savonarola dei Navigli, nella cui acqua inquinata si possono immergere panni sporchi di qualsiasi provenienza, tanto non cambia nulla.

Ci dispiace solo per Depardieu, che ha avuto un bel daffare per apparire in sintonia con un padrone di casa inadeguato , balbettante e a disagio di fronte ad un attore di vaglia, per di più francese e libero da quei condizionamenti postcomunisti, a cui invece l'anfitrione non ha potuto sottrarsi, ripetendo i soliti luoghi comuni sulla censura del centrodestra e sui poveri miliardari perseguitati come Biagi, Luttazzi, Annunziata, Santoro.

Dato il battage pubblicitario, che aveva preceduto il lancio della trasmissione, pensavamo che il primo rocchettaro d'Italia fosse in grado di un gesto anticonformista, come a volte i cantautori sono capaci di fare, almeno in qualche raro momento di verità.
E invece no.

Il Nostro si è appiattito nella piaggeria più strisciante per il vero potere e le lobby che gestitscono ancora l'industria culturale e dello spettacolo, quelle della sinistra più becera, quella che rimpiange ancora il Che e non trova in casa neppure un piccolo Zapatero, ma è costretta ad accontentarsi del Sig. Mortadella.
Poco male in fondo.
A dispetto dell'esultanza dei disobbedienti e no global televisivi, profumatamente pagati dal contribuente, personaggi alla continua ricerca del posto fisso nell'ente radiotelevisivo, inteso alla maniera di "cosa nostra", infischiandosene del servizio pubblico, non tutti la bevono.

Non cantino vittoria troppo presto quanti sono abituati a correre in soccorso del vincitore, nel segno del più basso conformismo italico.

C'è seriamente il rischio per loro che l'opinione pubblica - di fronte a spettacoli indecenti come quello offerto da Celentano - reagisca in senso contrario.
I guitti troppo zelanti con il principe suscitano disgusto nelle persone di buon senso e, alla fine della festa, rimangono solo le canzonette.

sabato, ottobre 15, 2005

Viva l'abbondanza



Dopo la bella sfilata della stilista Mirò, che finalmente rivaluta il 35% della popolazione femminile attestata sull'over 45, riteniamo che sia giunta l'ora di riequilibrare le tendenze alll'imposizione di modelli esili, efebici, anoressici (con tutto il rispetto e l'ammirazione per tal genere di beltà muliebre), riportando alla piena cittadinanza le forme rinascimentali ed il fascino mediterraneo e, perfino, le amabili signore e signorine dell'impareggiabile pittore Botero. E, per reazione alle troppo magre che hanno imperversato per almeno un quarantennio, addirittura le ciccione.
Viva l'abbondanza.

venerdì, ottobre 14, 2005

Un elemento positivo: l'abolizione delle preferenze


La nuova legge proporzionale è stata approvata alla Camera.
Per quanto ancora siano presenti perplessità ed interrogativi circa l'effettiva garanzia del bipolarismo, che converrà vedere nella sua applicazione pratica, c'è tuttavia un elemento che non può che considerarsi positivamente: l'abolizione delle preferenze.

Tra i mali indiscutibili della vecchia normativa del maggioritario imperfetto, erano intollerabili la lotta per le candidature, l'incremento del voto di scambio, l' aggravio della partitocrazia nella scelta dei candidati.

Spettacoli indecorosi le sanguinarie competizioni tra gli eleggibili, che non si risparmiavano coltellate all'interno dello stesso partito e non badavano certamente ai mezzi, leciti o no, per ottenere l'investitura "popolare".

Pensiamo poi ai ricatti reciproci che le preferenze consentivano tra gli eletti ed elettori: tutto il contrario della democrazia e dell'elezione delle persone più affidabili, nella maggioranza dei casi, relegate ai margini della vita politica per favorire i professionisti delle arrampicature sociali, privi di competenze e qualità.

Certamente i partiti dovrebbero essere riformati e le loro attività dovrebbero essere rese più trasparenti, per evitare lo strapotere delle segreterie, aprendosi alla società civile più di quanto oggi non sia avvenuto, ma intanto non è un piccolo passo quello compiuto rispetto al passato, evitando, con la nuova legge, il proliferare di vere e proprie "cosche mafiose", i vergognosi mercanteggiamenti e l' imposizione di nomi discutibili dall'alto.

Speriamo bene.

giovedì, ottobre 13, 2005

Uomini e topi



Mi ha stupito l'approccio del Prof. Gessa, farmacologo dell'Università di Cagliari, nel trattare il tema della droga in modo piuttosto "minimale".

Sarà stata una mia impressione, ma nella trasmissione di Bruno Vespa di due giorni fa, il competente studioso parlava del problema come un entomologo discetta d'insetti e riconduceva tutto alla "dipendenza", la quale, di per sè, non creava che rischi collaterali per le conseguenze derivanti dall'abuso delle sostanze assunte.

Egli si riferiva alle cinque specie di droghe naturali (cocaina, eroina, morfina, alcol, nicotina).

Sono rimasto un po' sconcertato, perché pareva che tra le varie categorie non vi fosse differenza profonda. Anzi sembrava che alcol e nicotina fossero in qualche modo più pericolose per l'organismo rispetto alle altre.

E'possibile che la scienza medica non abbia stabilito altri danni diretti per il fisico, oltre alla dipendenza?

Intervistato stamattina a proposito delle ultime ricerche sugli effetti della cocaina, il Prof. Gessa ha indicato il potenziale pericolo per il cervello, venuto alla luce da alcune ricerche scientifiche sui topi.

L'effetto prolungato della droga si concentrebbe in un'area profonda cerebrale, abbassando i freni inibitori per la ricerca di soddisfacimento dei desideri da cui si dipende.

La mancanza d'inibizioni è facilmente immaginabile quanti danni può determinare nella personalità e nel comportamento e nei riflessi sociali.

La medicina studia farmaci che contrastino la perdita dei controlli cerebrali.
E quindi non si tratta di acqua fresca...

domenica, ottobre 09, 2005

La mortadella è priva di fascino, ma la Ferilli...


La sinistra italiana non ha più "eroi" credibili (se ne ha avuti, li ritrova probabilmente nei miti di un certo fascismo) e pertanto le sue icone deve cercarsele all'estero, dove, peraltro, non sussiste il fanatismo ideologico di casa nostra, ancora legato, in larghissima parte, ai "trinariciuti" stalinisti di guareschiana memoria (basta vedere le rabbiose e penose esibizioni di Vauro a Telesette, in tarda serata, per rendersene conto) ed è quindi inevitabile l'impasse e la conseguente frettolosa cancellazione dei pigmalioni esotici, come Blaire o Zapatero, allorché dimostrano di avere i piedi ben piantati nel proprio paese, a difesa degl' interessi e delle istituzioni nazionali.

Quali figure potrebbe innalzare sugli spalti l'Unione?

La Jervolino? Non dovrebbe aprire bocca.
Vendola? Non dovrebbe almeno portare gli orecchini.
Bertinotti? Dovrebbe addolcire lo sguardo e levigare i canini.
Prodi? Dovrebbe smetterla di roteare gli occhi e di avere costantemente l'acquolina in bocca per... la mortadella.Per quanto gustosa quest'ultima, infatti, è del tutto priva di fascino anche per il popolo progressista.

Le primarie possono servire a qualcosa per trovare qualche immagine accattivante?

Se si candidasse la Ferilli, in mancanza di personaggi dotati di carisma, le sue accettabili forme potrebbero costituire un buon surrogato, raccogliendo
voti tra gl'indecisi...

giovedì, ottobre 06, 2005

Un Placido sistema


Michele Placido ha parlato del suo ultimo film, tratto da "Romanzo criminale" di De Cataldo, nel quale si narra la storia della banda della Magliana e delle sue implicazioni politiche nell'Italia degli anni settanta.

Implicazioni date per vere, benché non provate giudiziariamente.

Insomma quella che, nel libro del magistrato-scrittore De Cataldo, è semplice ipotesi romanzesca, viene dato per realtà provata, quasi scontata dal Placido regista-attore, il quale in tal modo si colloca nell'alveo della tradizione complottistica, che affligge il nostro paese da oltre trentanni, per avvalorare l'ipotesi di un secondo Stato, amministrato con sistemi massonici dagli stessi reggitori del potere.

Il fatto che, dopo anni d'indagini, non si sia arrivati al bandolo della matassa degli svariati e sanguinosi episodi criminali- nonostante il dovizioso dispiegamento di mezzi posto in essere per lunghissimo tempo (accompagnati dalla gran cassa dei giornali progressisti, i quali avevano già scritto tutte le sentenze, attendendone soltanto conferma formale da parte dei giudici, per attribuirne la responsabilità ai sistemi deviati d'informazione e sicurezza, con l'uso spregiudicato della mano d'opera fascista e mafiosa, al servizio del regime clerical-socialista) - non serve a nulla.

Placido si allinea alle tesi e ai teoremi prevalenti nell'ottica della sinistra estrema, pensando di essere anticonformista.
Ma così non è.

Da quel che lui stesso racconta, l'opera cinematografica rimane nel solco della celeberrime stragi di Stato, che hanno massacrato l'Italia, da Calabresi in poi.

Non è un grande sforzo intellettuale, né un un film originale, ma serve a fare cassetta, ripetendo temi sfruttati da anni dalla propaganda politica marxista e para-marxista, al solo scopo di conquistare la diligenza del governo.

Non è un contributo alla verità di quegli anni. Ma un'ulteriore replica di un leit- motiv divenuto ormai logoro.

In fondo c'era da aspettarselo.
Per avere consenso e guadagni, oggi come ieri, c'è solo una strada: quella di apparire coerenti con le tesi prefabbricate dei rivoluzionari di professione, per i quali il sequestro Moro è tuttora da attribuire alle sedicenti brigate rosse, anche a costo di divenire
tragicamente grotteschi.

martedì, ottobre 04, 2005

Pensiamo all'oggi e al domani


Caro Cavallotti,
credo di aver correttamente interpretato la sua analisi del modello svizzero, contenuta nel suo pregevole articolo del 2 ottobre su "Legno Storto" come una provocazione intellettuale, atta a considerare la mancata evoluzione verso una democrazia federale compiuta del nostro popolo.

Ho ritenuto opportuno rilevare la diversità dei caratteri dell'Italia e della Svizzera.

Anche se noi abbiamo molto da imparare dai nostri vicini, abbiamo la necessità d'individuare temi importanti e sentinti, convincenti ed appassionati per non cadere nel vuoto dell'astensionismo, che incombe soprattutto sull'elettorato di destra.

Forse non ci rendiamo ancora ben conto dei danni che le infinite diatribe all'interno del fronte moderato hanno causato presso l'opinione pubblica che ha sostenuto la "Casa delle libertà".

Abbiamo assistito all'indecoroso spettacolo di versipellismo da sinistra verso il centro e la destra, nell'intento di favorire unicamente interessi personali e di cordata, nonché lo scomposto assalto alla diligenza di enti e poltrone, né più né meno come nella prima repubblica.

Uno spettacolo patetico a tutti i livelli, centrale e periferico, ad opera di chi era stato eletto per cambiare e compiere la rivoluzione liberale ed antipartitocratica.
Addirittura ora pare si voglia semplicemente ripristinare il sistema dei partitini che ricattano ad ogni pie' sospinto, per coltivare il proprio orticello, con la proposta di una nuova legge elettorale in senso proporzionale, imposta come un diktat, senza spiegare le ragioni ideali che inducono a fare questa scelta.

Vogliamo pensare o no alla crisi di credibilità che attraversano i liberal-conservatori e i cattolici-liberali nei confronti di questo Governo?

Vogliamo capire che i rappresentanti eletti nel 2001 debbono fare autocritica ed impegnarsi seriamente per eliminare errori e compromissioni se voglio mantenere la fiducia degli elettori?

Abbiamo bisogno di convinzioni forti, non soltanto di strategie studiate a tavolino per contenere Prodi (com'è peraltro sacrosanto).

Desideriamo idee e programmi affascinanti anche per i giovani, per ricostruire l'identità culturale ed etica del nostro paese ed abbiamo il diritto-dovere di selezionare dalla realtà sociale uomini politici corretti ed entusiasti, pronti a rendere un servizio pubblico, disinteressati sul piano privato e personale.

E' su questo punto che vorrei richiamare l'attenzione sua e degli amici di "Legno Storto" come di altri aggregatori del libero pensiero moderato, perché si facciano coscienza critica dei politici e non tengano bordone al centro-destra, quando non interpreta la società ed i suoi bisogni di oggi e domani.



L'Espresso liberale?


Nel ricordare il cinquantennio de L'Espresso, Simonetta Fiori intervista Scalfari, su Repubblica, che presuntuosamente titola "Un club di liberali, progressisti e libertini", riferendosi al carattere del settimanale di De Benedetti.

Ora, può darsi che in qualche modo quest'ultimo si fosse formato alla scuola crociana, ancora in auge al tempo della nascita del giornale, ma che esso si sia caratterizzato in senso liberale, mi pare revocabile in dubbio.

Lo definirei un periodico giacobino, piuttosto.

Tutto teso a combattere il cosiddetto clericalismo e l'iniziativa privata, fautore altresì delle nazionalizzazioni , in primis, quella dell'energia elettrica, con i risultati che ancora oggi sopportiamo sulle nostre spalle.

Alla ricerca di un blasone, si cerca l'ascendenza liberale, non avendo il coraggio di definirsi, oggi più che mai, marxisti o paramarxisti, questa mi sembra la motivazione autentica. Basti pensare all'educazione stalinista di D'alema, il quale oggi passa anch'egli per un liberale (ma perché?).

Del giacobinismo, L'Espresso ha mantenuto tutti i tratti più evidenti: la religione della ragione illuminista e scientista, la divinizzazione della psicologia da una parte e della classe operaia dall'altra, l'intolleranza nei confronti della chiesa e delle istituzioni tradizionali, lo scandalismo senza riscontri concreti, ma immaginati o costruiti, la coltivazione delle idee massimaliste, la demonizzazione e la mancanza di ogni rispetto dell'avversario.

L'ebdomario fu anche un trampolino di lancio per l'elezione in parlamento, nel partito socialista, di Scalfari.

E dunque altro che liberalismo.

Ancora oggi i degni eredi di Repubblica giocano - come si trattasse di una partita a briscola - con le parole ed i concetti nell'affrontare i temi importanti, dalla cultura alla politica, dalla società al costume, con una incredibile leggerezza, la stessa con cui, durante il Terrore, si mandavano alla ghigliottina i nemici del popolo.

Buon sangue non mente.

lunedì, ottobre 03, 2005

Bertinotti for President


Chi ha seguito la trasmissione di Bruno Vespa, dedicata al programma politico di Bertinotti candidato alle primarie dell'Unione, avrà notato come il clima sia positivamente mutato nella considerazione generale della cosiddetta rifondazione comunista (la quale sarà qualcosa di nuovo rispetto al vecchio partito comunista, ma non si discosta sostanzialmente dalle impostazioni marx-leniniste).

In un'atmosfera di grande e cordiale accoglienza in studio - contornato da ospiti, che avrebbero dovuto rappresentare le categorie produttive del paese - oltre ai soliti rappresentanti sindacali, il re dei sondaggisti, Renato Mannheimer, ha conferito l'investitura di una larga maggioranza, favorevole alle tasse sulle rendite d'impresa, alla introduzione della patrimoniale,all' l'abolizione della legge Biagi e ad un'altra serie di misure punitive e giustizialiste nei confronti della borghesia piccola media e grande - nel più puro spirito classistenzialista, che evidentemente ha ancora il vantaggio d'infiammare, con qualche slogan demagogico, la base della sinistra nazionale - anche a costo d'infischiarsene dell'Europa e dei più elementari pricipi della libertà economica.

I proclami di Bertinotti ed il consenso che riscuote tra giovani e lavoratori dipendenti non meravigliano più di tanto.

Stupisce invece il fatto che idee antiquate, fondate sull'invidia sociale, non destino scandalo.

domenica, ottobre 02, 2005

Non siamo la Svizzera


Abbiamo letto con interesse l'attenta analisi pre- elettorale di Marco Cavallotti su "Legno Storto", il quale evoca fra le altre l'immagine della Svizzera, compiuta e federale democrazia, come possibile riferimento per un elettorato, diciamo così, evoluto e riteniamo l'accostamento un'intelligente provocazione.
Qualche tempo fa, Carlo Lottieri fece l'apologia della Svizzera e della sua neutralità attiva ed isolazionista.
Non è un modello che potrebbe andar bene per noi.
Certo, molto dobbiamo ancora imparare dalla Svizzera (non ultimo il senso civico), ma con tutta la stima che abbiamo per Lottieri, la società elvetica non ci pare il modello jeffersoniano migliore.
Noi abbiamo bisogno di credere in quello che facciamo e non vogliamo occuparci solo dei problemi che ci riguardano da vicino, anche se spesso ci costringono a farlo i nostri politici.
La Svizzera è la fine della passione e della coltivazione delle idee.
E' troppo neutra.
L'Italia è un paese mediterraneo: con mille difetti e debolezze, ma con la voglia di competere in tutti campi nel consesso internazionale.
E' vero quel che dice Marco Cavallotti: chi non è di sinistra si sente defraudato dai propri rappresentanti e profondamente deluso.
Non si rimpiangono le ideologie, ma la mancanza d'impegno civile e la disgustosa disputa sulle cariche da spartirsi sono esempi umilianti per una nazione che non ha rinunciato a costruire o ricostruire la propria identità.
Il ritorno al proporzionale, seppure per fini strategici, non convince. Possiamo nutrire ancora una speranza?
Chi ci dice che vinta la battaglia elettorale, tutto non torni alla spartizione del potere, come purtroppo è accaduto anche nella "Casa delle Libertà".
Fossimo la Svizzera, accomodante asettica sterilizzata, sarebbe tutto più semplice.
Ma ancora il Bel Paese vuole confrontarsi con se stesso.
E poi noi siamo la patria delle fazioni non ancora evolute in una corretta democrazia, ma proprio per questo desiderose di lottare.
Il problema è proprio questo: la forza dei moderati può trarsi soltanto dalla volontà di opporsi al disegno del centro sinistra o c'è l' estrema necessità di un programma esaltante, in cui i primi ad aver fede siano i rappresentanti eletti in parlamento nel 2001 a furor di popolo?

venerdì, settembre 23, 2005

Non tutto è perduto






Se si fosse andati al voto, dopo le regionali, per il centrodestra e per il paese sarebbe stato un massacro(li vediamo i governatori come arrancano, dopo aver esultato per la vittoria elettorale...e quanta delusione c'è fra i cittadini, che pensavano ingenuamente di riavere l'albero della cuccagna, abolito dall'euro e dal deficit pubblico ingovernabile).

Il guaio purtroppo nasce, non tanto dall'aver caparbiamente voluto finire la legislatura (il che sarebbe normale in una società dove l'alternanza politica è la regola), quanto dall'aver perso tempo dietro i giochetti di potere degli alleati, facendo perdere credibilità alla "casa delle libertà".

La rimonta sul piano dell'immagine e di un nuovo appeal presso l'opinione pubblica, anche se i margini sono stretti, rimane possibile, a condizione che il premier e gli altri leader della coalizione sappiano rendersi conto delle esigenze dei moderati, i quali vogliono una politica rigorosa sotto il profilo economico e del cammino per il rinnovamento delle istituzioni, ed un patto tra i partiti della coalizione di governo finalmente solidali, per elaborare un programma coerente da proporre alle prossime elezioni, sfruttando al massimo le contraddizioni presenti nell'"unione".
Una nota a margine dell'articolo di Angelo Panebianco sul "Corriere" s'impone.

Sembrava che il quotidiano di via Solferino avesse cessato le ostilità nei confronti del cavaliere, ma da qualche giorno esse sono riprese anche per mano d'intellettuali liberali (valga anche l'esempio di Piero Ostellino, che ha sparato a zero contro Berlusconi in un'intervista radiofonica): francamente l'atteggiamento aggressivo posto in essere dal giornale, nonostante gli errori del centrodestra, pare eccessivo e fa riflettere seriamente suilla reale indipendenza della stampa italiana.

Letteratura folk


C'è anche la letteratura folk.

Dirò che appartengono alla categoria alcuni libri scritti da autori caratterizzati da una vena creativa, che affonda le proprie origini nell'oleografia di una regione.

Costoro vogliono creare un'opera moderna e finiscono nel folclore, forse perchè non hanno maturato una coscienza profonda della cultura della loro terra, ne hanno solo assimilato gli echi e pretendono d'interpretarla a modo loro, nella convinzione di sentirla pulsare dietro le forme della modernità.

Non è così.

Si tratta di semplice imitazione. Orecchianti.

Ma tanto basta per l'audience e per lo spettacolo da realizzare per un pubblico grossolano.

Due esempi: Floris e Camilleri.

Entrambi sono scrittori folk (lo dico anche a costo di attirarmi gli strali dei lettori dei loro libri).

Ma osservate quanta distanza c'è tra loro e Satta e Sciascia.

Col folk si arriva sul palcoscenico e sui teleschermi, ma i capolavori sono tutt'altra cosa.

La legislatura è (quasi) finita


E' proprio così.

Il premier avrebbe dovuto "esplodere" da tempo, in modo da rendere chiaro all'opinione pubblica che un conto è l'interesse a rinnovare un paese, vittima ancora della partitocrazia e dei poteri forti, ed altro è coltivare i piccoli orticelli privati, mantenere le poltrone a tutti i costi, e tentare, magari, di raddoppiarle a beneficio dei soliti vecchi "professionisti" della politica.

Speriamo bene.

Ma è meglio essere un'opposizione agguerrita e compatta, piuttosto che una maggioranza da "re travicello".

E allora, che questi ultimi mesi siano l'occasione per un esame critico di quanto si è fatto, per correggere gli errori d'impostazione e per assumersi responsabilità chiare e precise sul programma da realizzare nella prossima legislatura, ammesso che gli elettori abbiano ancora la pazienza e la bontà di credere ad un centrodestra rinnovato.

E' l'ultima chance, non per un pateracchio tra partitanti, ma per schierarsi per una nuova battaglia di libertà con idee e principi e traguardi da raggiungere nell'interesse generale, non per qualche cadreghino da mercanteggiare.

martedì, settembre 20, 2005

Attento Feltri


La presenza di Feltri in un programma televisivo sul secondo canale Rai, da una parte, ci ha divertito perché il chiaro giornalista non ha perso il suo caratteristico aplomb e la sua schiettezza, anche brutale, nel rispondere alle domande della conduttrice e dei presenti, ma, dall'altra ci ha preoccupati, perché quando si cominciano a ricevere troppi elogi si rischia di essere giubilati, cioè evirati.

Stia attento Feltri.
Non dia troppa importanza al clima festoso che accompagnava la trasmissione.
Riprenda a lavorare con la solita grinta ed antipatia e ad esprimere opinioni controcorrente.
Non si lasci andare, neppure, a minime confidenze sulla sua vita privata, neanche per ammettere di aver avuto delle scappatelle di cui chiedere scusa pubblicamente alla propria moglie.
Diffidi dei mass media e non rimpianga di non essere diventato il Direttore del Corriere della Sera: quel posto non è per lui, come non lo era per Montanelli.

giovedì, settembre 15, 2005

Viva Delon !


Sarà perché appartiene ad uno dei miti cinematografici più inossidabili del nostro tempo, perché come ricordava in un suo articolo Stenio Solinas, si tratta di un personaggio colto e sensibile, controcorrente, cioè con regole etiche, che non appartengono al politicamente corretto né all'ipocrisia sociale, ma sono fieramente fondate su patti di lealtà e di amicizia, al di là di ruoli e di rendite di posizione, sarà per il suo nichilismo attivo e per l'impegno professionale profuso generosamente in tantissimi anni di carriera, solo in parte legati alla bellezza del fisico, ma piuttosto al fascino che ha saputo conquistarsi presso il pubblico europeo e no, ma Alain Delon rimane uno dei nostri prediletti, oggi più di ieri, a causa proprio della sua confessione di debolezza e fragilità, di depressione, malinconia e disperazione di fronte all'esito della sua vita non breve, intensa, drammatica, vissuta con il cuore più che con la razionalità, tanto d'ammalarsene e da sospettarne lo schianto.

Il suo desiderio di uscire dall'esistenza per propria mano, ammesso che accadrà (e speriamo che non accada), sono un estremo atto di coraggio ed un richiamo agli affetti più profondi.
Un atteggiamento che merita rispetto per la dignità ed il sentimento di profonda umanità che lo ispirano.
Ci vengono in mente le parole di Drieu la Rochelle per bocca del protagonista di uno dei suoi romanzi più affascinanti e significativi, "Fuoco fatuo": Mi uccido perché voi non mi avete amato, perché io non vi ho amato, per rinsaldare i nostri legami.So bene che si sopravvive più da morti che da vivi nella memoria degli amici...
Viva Delon!

Pacs et bonum


L'Arcivescovo di Cagliari, Cardinale Pompedda, dall'estero, dichiara che è compito dello Stato regolare i rapporti delle coppie di fatto e gay.

Sarà stupefacente per qualcuno pensare che si tratta di un'opinione nettamente diversa dalla pronuncia della CEI sull'argomento, ma è così.
E a meno di smentite o rettifiche del giorno dopo, occorre tenerne conto per valutare con obiettività le proposte di Romano Prodi, dettate senz'ombra di dubbio, a parer nostro, a preoccupazioni elettoralistiche.

Il Cardinale sardo, personaggio di non trascurabile levatura intellettaule, colto e sensibile agli afflati e alle esigenze delle persone comuni, nella diaspora generata dalla modernità anche in materia religiosa, profondo conoscitore delle società arcaiche e tradizionali come quelle della sua terra, con la consueta chiarezza priva di pregiudizi e remore, assume una posizione equilibrata e saggia, cristiana e liberale. Certamente non zapateriana.

Solo chi ragiona in termini di mercato delle vacche, non solo come Prodi, ma come alcuni leader od aspiranti leader del centrodestra, possono dirsi contrari ad una disciplina giuridica dei rapporti, da numerosi anni contemplati de facto senza scandalo, tollerati ed accettati dalla maggioranza dei cittadini e tali da non poter minare più di tanto l'istituto matrimoniale e la famiglia tradizionale.

Sul piano legislativo non si tratta d'introdurre parificazioni complete, ma soltanto di riconoscerne l'esistenza con diritti ed obblighi reciproci.
Su quello sociale, poi, quale attentato possono determinare i pacs verso le relazioni formalmente celebrate con rito religioso o civile, laddove siano fondate su lealtà e stabilità, affetti profondi, scelta convinta, solidarietà autentica?

Crediamo che l'onerovole Fini, per quanto animato da legittime ambizioni personali, non solo esprima il suo pensiero, esponendosi, ancora una volta a critiche e strumentalizzazioni, ma interpreti anche la convinzione di larga parte dell'elettorato moderato e laico, non integralista, né confessionale.

Un atteggiamento peraltro condiviso dallo stesso premier, senza necessariamente doverne fare un cavallo di battaglia per le prossime elezioni.
L'attacco sferrato, a destra, da Marcello Veneziani contro Fini, è solo apparentemente coerente con la premessa di richiamarsi ai valori della famiglia, cercando di accomunare in questa difesa della tradizione cattolica un terreno comune per guelfi e ghibellini.

Il vivace ed acuto intellettuale neo-conservatore, non tiene conto proprio di questa fondamentale distinzione, nell'ambito della cosiddetta destra, la quale non può continuare a cavalcare la tigre dei teo-con importati d'oltreoceano per accantonare quel robusto filone culturale e politico che affonda le radici sicuramente in Gentile e Dante, ma anche in Marinetti, D'Annunzio, Pound, Montherlant, Junger, per citare solo alcuni esempi di libertarismo, da ricondursi a visioni religiose (nel senso più ampio della parola) dell'uomo e dell'esistenza, senza imporsi e predicare vincoli confessionali e tendenze filoclericali, che non appartengono, a ben vedere, né alla destra storica, né a quella moderna, ma soltanto al cattolicesimo sanfedista di ieri e di oggi.

Lasciamo al Centro cattolico, la volontà di estendere i princìpi più o meno temporali della Chiesa alla società civile.
Rispettiamo la loro scelta, ma non permettiamo che vengano trascurati e manomessi i diritti individuali, presidio di libertà nei confronti degli abusi di potere confessionali o statali che siano.
Non vogliamo pensare che, la bella destra di montanelliana memoria ignori la realtà ed innalzi la bandiera della discriminazione forcaiola per le coppie cosiddette irregolari.

Sarebbe un non senso, perché le volontà soggettive e le scelte personali, se non nuocciono al prossimo, vanno rispettate e tutelate dallo Stato, anche se non siano condivisibili alla luce della dottrina religiosa.

Un insuperabile maestro come Pareto aveva diffidato, già decenni addietro, del virtuismo, legato alle piccole questioni legate alla sessualità, per incoraggiare la pratica della grandi virtù, quelle di ascendenza antica , che costituiscono ancora il tessuto connettivo dell'Occidente.

Tra le virtù civiche c'è, in primo piano, la tolleranza e la difesa ad oltranza di questo permanente valore contro i suoi nemici.

mercoledì, settembre 14, 2005

Che noia SuperquarK!



Ci scusi l'esimio Piero Angela, ma ci aspettavamo di più dalla trasmissione di ieri sera su Albert Einstein.

In termini divulgativi, a mala pena siamo riusciti a capire grossolanamente la teoria della relatività ed il busillis dello spazio e del tempo, una volta separati e poi unificati per rendere un beneficio alla fisica elettromagnetica.

I soliti fumetti per poveri scemi non ci hanno reso più stimabile il poderoso fisico ebreo-americano ed ex tedesco.

Lo hanno fatto apparire nella maniera più oleograficamente odiosa, come una specie di clown che si divertva a stupire i borghesi dell'epoca con frasi semplici e banali, a cui attribuire i connotati della genialità nascosta.

Battute da deficienti contornavano gli episodi significativi della sua carriera di scienziato, ancora oggi insuperato, ma sicuramente più lucido ed accorto anche nella vita di relazione e nelle considerazioni politiche, di quanto il programma abbia voluto far supporre.

Il feroce revirement nella costruzione della bomba atomica con le lettere inviate a Roosvelt, prima per incoraggiarlo a studiare la sua realizzazione, e poi per impedirne la prosecuzione, a causa della catastrofe che avrebbe provocato nei secoli a venire, appaiono come una favoletta dei fratelli Grimm, ed Eistein non ci fa una bella figura a passare per un povero sprovveduto, un Don Chisciotte che combatte su più fronti, per la democrazia, la libertà e la pace contemporaneamente, senza ottenere che la guerra e le stragi inumane compissero il loro corso con Hiroshima e Nagasaki.

Ma in più, abbiamo dovuto fare uno sforzo notevole per arrivare alla conclusione del programma, a tratti estremamente noioso e con interviste a personaggi famosi nel campo della scienza, i quali ripetevano luoghi comuni e monotoni refrain sulla bellezza della ricerca e sulla sua continua aspirazione alla verità costantemente frustrata.

E' stato un caso che non ci siamo messi a russare rumorosamente, col rischio di svegliare il povero Albert, il quale credeva comunque nell'armonia universale. Affermazione confortante per noi poveri mortali.

martedì, settembre 13, 2005

Socci non è Bernanos


La replica di Socci a Feltri, sull'ultimo libro dello scrittore toscano, apparsa ieri sul Giornale, mi è parsa scomposta, poco pertinente e soprattutto poco cristiana.

Il suo modo di reagire ad argomenti non proprio superficiali, nell'articolo di Feltri avrebbero dovuto ottenere la massima attenzione da parte di chi possiede il dono della fede.

Credo che la popolarità acquisita da Socci, valendosi di strumenti molto mondani come la politica ed i mass media, gli abbia dato un po'alla testa e che ora si ritenga quasi una specie di George Bernanos da campagna toscana, mentre la sua distanza dall'illustre scrittore ultracattolico francese è semplicemente enorme.
Aggiungo che è proprio per la mancanza di autori di alta statura, come Bernanos, a creare in Italia intellettuali cattolici tradizionalisti di proporzioni assai modeste e per nulla capaci d'incidere veramente sul costume della nostra società.

Meno conformismo ed ipocrisia, più umanità ed umiltà nell'approfondire i temi culturali del nostro tempo, senza presunzione né saccenteria da primi della classe, adusi a ripetere da pappagalli la lezione del maestro, darebbero esiti migliori sul piano della credibilità presso l'opinione pubblica della visione cattolica del mondo.

domenica, settembre 11, 2005

Devoti, atei devoti, atei


Antonio Socci si è conquistato una chiara fama di giornalista-scrittore devoto, fin dai tempi di Excalibur, la nota trasmissione televisiva cristianamente semi-fondamentalista.

Da allora è andato a dirigere la scuola di giornalismo a Perugia e a dire la sua su ciò che riguarda la storia e la dottrina della Chiesa Cattolica, santi e miracoli compresi.

Un tempo lontano in TV imperversava Sergio Zavoli, denominato, il socialista di Dio, cupo commentatore di tutte le catastrofi e le nefandezze della prima Repubblica, nel periodo degli anni di piombo.

Sotto altre spoglie per le sue origini cielline, ora è il tempo del forzista di Dio, Antonio Socci, il quale non perde occasione con libri e scritti e presenze televisive d'impartire lezioni in materia teologica, quasi fosse il portavoce personale dei papi di Santa Romana Chiesa.

Apprezziamo la sua vis polemica quando rifà le pulci ad Eugenio Scalfari e a Pietro Citati, suoi avversari talebani difensori della super religione laicista, ma un po' meno la sua vena mistica, che lo spinge a scrivere libri esaltatori della fede, dall'efficacia incerta, proprio per il tono febbricitante impresso alle proprie tesi.

Nell'ultimo libro, il suo sacro furore gli fa santificare perfino Montanelli, che tutto era meno che un fedele credente, né un agnostico ricercatore del divino, a causa del suo abissale pessimismo.

Bene quindi ha fatto Vittorio Feltri, in una lettera aperta pubblicata sul suo quotidiano, a mettere i puntini sulle i, a proposito della personalità del grande Indro, il quale rimase un ateo convinto per tutta la vita, nonostante il rispetto dovuto alla religione nel suo complesso, come si addice ad un vero conservatore ( basti ricordare a tale proposito il suo maestro Prezzolini, tormentato dal dubbio e dall'ansia del divino, e le sue riflessioni sul rischio di Dio ).

In piena possessione religiosa, il mistico Socci, nel suo ultimo lavoro ravvisa nel mondo le stimmate della bontà a tutti i costi e questa bestemmia fa sobbalzare qualsiasi persona di buon senso.

Insomma un po' più di misura sarebbe stata auspicabile in una materia così complessa e delicata.

Ed anche maggiore rispetto per i poveri sfortunati, carenti di certezze sulla trascendenza, avrebbe guadagnato simpatie per il cattolicissimo autore.

Esprimiamo la nostra solidarietà a Vittorio Feltri, giustamente indignato dal fervore alla Giovanna d'Arco dello scrittore senese, al quale sommessamente suggeriamo, da anarchici inquieti ed agnostici, di non dimenticare mai l'antica raccomandazione di "lasciar stare i santi"...

Essi stanno bene nei luoghi di culto e nell'alto dei cieli o a fianco dei poveri peccatori, ma in questa terra, non buona, ma disgustosa per il prevalere del male e della bestialità in tutte le sue forme, c'è posto anche per i devoti atei, come Ferrara e Fallaci e per gli atei tout court, i quali hanno diritto di vivere in piena libertà e, addirittura, in santa pace.

sabato, settembre 10, 2005

Le ragioni di Brunetta


Renato Brunetta ha ragione.

Nell'esternazione di stamattina, critica aspramente Forza Italia, ma la critica si può estendere a tutto il Centrodestra.

In buona sostanza, egli dice che le aspettative degli elettori, nel 2001, erano quelle di un effettivo cambiamento della politica, una modernizzazione del paese e delle istituzioni.

Purtroppo la spinta si è andata spegnendo nel paludoso parlamentarismo, nelle piccole manovre del corridoio dei passi perduti, nelle soffocanti segreterie di partito, fino agli esiti attuali, che non sono certamente brillanti, a causa un atteggiamento rinunciatario e possibilista, tutto teso ad ingraziarsi mass media ed avversari.
L'esatto contrario della richiesta dell'elettorato moderato.

Riteniamo che certamente i risultati positivi non sono mancati in questi anni di governo, ma la litigiosità, i personalismi, la tabe della partitocrazia hanno attaccato una compagine, che avrebbe dovuto compiere una vera e propria rivoluzione nella mentalità, nel costume, negli assetti costituzionali, ma che non ha avuto purtroppo il coraggio d'incidere a fondo nella realtà sociale.
Spiace dirlo, ma qui, all'interno dell'area liberale, si gioca di rimessa e, a pochissima distanza dalle elezioni generali, non s'intravede un programma unitario e determinato per presentarsi all'opinione pubblica senza complessi, tentennamenti, incertezze, con una salda presa di posizione sui temi di maggiore interesse e l'elaborazione d'idee per vincere, almeno sul piano culturale se non politico od aritmetico: la crisi economica, i modi più appropriati per il rilancio delle attività produttive, il mezzogiorno, i giovani, le riforme dello Stato e della pubblica amministrazione con la sconfitta della burocrazia e lo strapotere fiscale, l'assistenza ai ceti deboli, la creazione di spazi più ampi per le libertà individuali e collettive, nella salvaguardia della sicurezza del cittadino e la lotta senza quartiere al terrorismo interno e internazionale.

Non è importante soltanto la vittoria delle urne, ma la conquista di un'identità piena, forte, suggestiva e credibile sul piano dei princìpi e dell'organizzazione del consenso.

Abbiamo l'impressione che manchi una visone gramsciana- ci si consenta il termine- per la trasformazione della struttura sociale in senso libertario da un lato e, dall'altro, nel ripristino del senso dello Stato, della legalità, della crescita del benessere e la perequazione delle diseguaglianze con la valorizzazione dell'economia sociale di mercato e delle capacità d'impresa in senso globale e competitivo.

Occorre costruire, con grinta ed aggressività, l'immagine di un polo moderno, ma con radici profonde nella tradizione culturale italiana ed europea, libero da pregiudizi e timidezze nell'abbattere il vecchio establishment in tutti i campi, senza patteggiamenti e compromessi, che alla lunga esauriscono il patrimonio vitale del fronte liberal-conservatore, il quale, se necessario, dev'essere pronto ad assumersi l'onere di un'opposizione seria, costruttiva, implacabile, temibile, contro le disfunzioni di un sistema corrotto ed in disfacimento, quale il centrosinistra vuole riproporre per la difesa della nomenklatura del vecchio potere.
Finora, ci pare che solo il premier manifesti proposte chiare, precise e disinibite per affrontare l'agone elettorale.

Basterà per coagulare, attorno al polo delle libertà, con anticonformismo ed un pizzico di fantasia, le energie adatte a combattere e vincere?