lunedì, ottobre 22, 2007

Che tenerezza "la cosa rossa" !


La sinistra pura ed intransigente è scesa finalmente in piazza per protestare - ufficialmente - non tanto contro se stessa ed i propri rappresentanti al governo, quanto per ribadire i propri princìpi ideologici e la validità della lotta di classe, nell'epoca del crollo delle ideologie e della globalizzazione.
Una manifestazione, quella di Roma, del tutto prevedibile e un po' patetica, tesa a nascondere, soprattutto, l'impotenza dei partiti comunisti a gestire il cambiamento traumatico, che ha portato il vecchio e nuovo proletariato dalle barricate, seppure metaforiche, contro il sistema capitalistico ( in nome di un inveterato marxismo - leninismo, da custodire, nei secoli a venire, come una teca sacramentale, anche dopo la caduta verticale dell'Urss), a collaborare col Potere, in una maggioranza variegata e folcloristica, dove c'è tutto ed il contrario di tutto e le proprie limitatissime chance mettono a rischio di grave perdita, fra l'elettorato più attento, consensi e credibilità.
Il corteo, con cartelli e striscioni dagli slogan per lo più prevedibili, e dichiarazioni dei leader scontate e banali è stato, quindi, una trovata un po' ingenua per ottenere un po' di autostima, nella speranza che l'investitura della massa (tutto sommato poco corposa) dei militanti possa apportare quella forza, mancante in parlamento, per modificare un programma non contrassegnato certamente da un sostegno ai ceti deboli, ma, piuttosto, espressione delle banche, del padronato assistito, dei grandi gruppi familiari con i loro giornali e gli altri strumenti di condizionamento dell' unione e di Prodi & C.
Altro che nascita della "Casa Rossa" , altro che rivoluzione, altro che difesa dei più poveri, altro che giustizia sociale.
A vedere la decisa fisionomia dell'esuberante moglie del presidente della camera, intervenuta (manco a dirlo) a titolo personale, ed il simpatico muso da bull-dog dell'ex fascista Pietro Ingrao, si constata come nulla sia cambiato nella società e nella storia e come per i rappresentanti della classe operaia le lancette siano ferme ancora all'orologio del bolscevismo.
Gli arcaici schemi del comunismo, cosiddetto rifondato, ma, nella sostanza, sempre uguale a se stesso, hanno ormai una funzione anestetizzante e conseguono un effetto placebo.
Servono a rassicurare e confortare i poveri fedeli di una Chiesa distrutta, smarriti ma non rassegnati alla perdita della propria madre e di un'utopia sanguinolenta.
I temi della lotta al precariato, quelli per un' informazione libera, un sostegno sociale per i più disagiati, i giovani in cerca di occupazione e per quanti, giorno dopo giorno, divengono vittime sacrificali di un Cartello Bancario, capace soltanto di strangolare i cittadini con tassi usurai generalizzati, non sono appannanggio dei partiti della sinistra estrema.
Sono motivi di profonda insoddisfazione e rabbia per chi abbia a cuore il futuro del paese e delle nuove generazioni.
Il rinnovamento di un sistema sclerotizzato dal punto di vista economico e sociale, il quale ha prodotto finora l'oligarchia di caste piccole e grandi, passa attraverso l'aggregazione dei movimenti che si oppongono a questo governo corporativo e burocratico, liberticida e vampiresco.
Paradossalmente, le scritte inneggianti al ritorno di Berlusconi alla guida del parlamento, vere o fasulle che fossero nell'intento degli organizzatori, sembravano le più appropriate all'interno del raduno.
Per evitare il peggio e sperare in un cambiamento, realisticamente non resta altro che rivolgersi a chi, stando al di fuori dell'establishment plutodemagogico, interpreti l'antipolitica nel segno della società civile e delle riforme autenticamente liberali e popolari.
Per questo la "cosa rossa" fa tenerezza e merita tutta la comprensione possibile.

giovedì, ottobre 18, 2007


A leggere sui giornali le vicende private di un uomo pubblico c'è da sorprendersi.
Ci viene il dubbio che il matrimonio sia ormai un'istituzione inutile o d maneggiare con estrema cura, almeno in Europa, per ministri e capi di Stato.
Una volta si diceva che la moglie di Cesare dev'essere al di sopra di ogni sospetto!
Ora la regola non vale più.
Le mogli importanti, per una sorta di sadica forse inconsapevole vendetta nei confronti del potere esercitato dai mariti, non solo non nascondono le loro simpatie per altri uomini, altrettanto celebri come il coniuge od anche sconosciuti più o meno affascinanti, ma non nascondono neppure le proprie storie sentimentali, come nel caso di Cecilia, la moglie del Presidente francese, tanto da finire sulle prime pagine dei giornali per i tradimenti inflitti al legittimo consorte.
Non esitiamo a dire che si tratta di un peccato grave contro la morale pubblica, l'estetica, il buon gusto, il rispetto reciproco e contro l'amore per la patria così connaturata al popolo francese.
Scusate la retorica, ma noi solidarizziamo con Nicholas, che avrebbe meritato maggior scrupolo e maggiore attenzione da parte della sua first lady, dando la precedenza assoluta al divorzio sulle avventure sentimentali.
Sarebbe stato tutto più semplice se lo scioglimento del matrimonio, infatti, fosse avvenuto in sordina e prima degl'incarichi di prestigio conferiti al marito, tenuto conto che le debolezze delle femme in questione risultano commesse da un bel po' di tempo.
Ora, il personaggio dell'uomo politico più noto ed ammirato d'Europa, un uomo destinato a rinnovare le imprese di Charles De Gaulle ci sembra più fragile ed indifeso di fronte agli avversari e la sua immagine un po' appannata, per non aver saputo governare, da innamorato, le tresche della moglie financo a causa di un misero, insulso pubblicitario, benché charmant.
In altri tempi non sarebbe accaduto. La fedifraga sarebbe stata almeno ripudiata e mandata in esilio dorato all'estero per farsi dimenticare al più presto.

domenica, ottobre 14, 2007

S'ode a destra...


Un forte segnale contro l'antipolitica è giunto ieri dall'imponente manifestazione tenutasi a Roma, al Colosseo, da Alleanza nazionale sui temi incandescenti dell'oppressione fiscale e l'esigenza di sicurezza nelle città e nel Paese.


Finalmente qualcosa si muove nell'ambito della Casa delle libertà e la presenza dei circoli della Brambilla all'incontro nella capitale è un altro indizio della capacità di reagire all'immobilismo, che per troppo tempo ha caratterizzato il centro-destra, sollevando dubbi sulla sua esistenza reale nella società, tra la gente.


Il principe dei politologi dell'unione, l'onnipresente, onnisciente ed onnivoro professor Giovanni Sartori non ha mancato occasione di sottolineare, dagli spalti del Corriere e dalla televisione corriva l'avvento del grillismo come fenomeno salutare, capace di rinnovare la sinistra ormai decotta, anche in confronto ad una destra che "pensa solo a fare i soldi!"


Gli ha fatto eco il curiale opinion maker del capital-progressismo dalle colonne di Repubblica e dalla ribalta dei grandi circuiti mediatici dei poteri forti, nonché direttore del Mulino, Edmondo Berselli, raccomandando quel che rimane dell'elettorato radical chic di tenere presenti le istanze raccolte dal comico genovese, nella previsione della nascita della cosa nuova, il partito democratico, aggiornato strumento di potere per la plutodemagogia dei Caracciolo - DeBenedetti & Company.


In questo panorama, vedere affluire in piazza cinquecentomila sostenitori dell'area moderata, esponenti della intramontabile maggioranza silenziosa, discendente diretta e più copiosa della marcia dei trentamila organizzata a Torino, alla fine degli anni ottanta, da Sergio Ricossa, Antonio Martino e Gianni Marongiu, rappresenta una riconquista della scena politica ed una sorpresa positiva da parte dell'opposizione, soprattutto se sarà seguita da una organizzazione articolata e coerente e da concrete, fattive iniziative tendenti a rinnovare sul serio, alla radice, la classe politica alternativa alla maggioranza governativa, sulla base della selezione delle qualità e dell'esempio virtuoso dei comportamenti, in vista di possibili consultazioni elettorali a breve termine.


Al di fuori e contro la Casta (o le Caste) per venire incontro alle esigenze più profonde della comunità nazionale, che chiede disinteresse personale, onestà, spirito di servizio e senso dello Stato da parte dei rappresentanti politici, a tutti i livelli dell'amministrazione pubblica.


Ci sarà spazio per superare le contraddizioni e gli ostacoli della partitocrazia?


Tutto dipenderà da quanto, in campo, riuscirà a fare il popolo della Casa delle libertà, un movimento nato, ricordiamolo, per vincere le oligarchie di chi non avendo ideali, ma sete di potere, soffocava le energie del consorzio civile, all'ombra di tangentopoli.


Intanto ci pare che i temi sollevati da Fini costituiscano punti di un programma condivisibile e da perseguire col contributo di tutti gli appartenenti al centro-destra, per realizzare una svolta efficace ed attuare un ammodernamento effettivo del sistema: tassazione proporzionale ai servizi che lo Stato fornirà al cittadino; lotta per la legalità e contro le infiltrazioni mafiose nell'economia e negli apparati amministrativi e dei partiti; difesa della libertà e riforma della giustizia a fronte di un riconoscimento della responsabilità e dei doveri individuali; meritocrazia e solidarietà; istituzioni rivolte all'interesse nazionale e quindi superamento degli egoismi e delle conflittualità di classe; rinvigorimento della cultura anti-utopistica e post-sessantottina; una nuova disciplina dell'immigrazione dei lavoratori stranieri, che limiti la delinquenza e favorisca l'inserimento nell'ambito produttivo, a parità di diritti con i cittadini italiani, secondo le possibilità offerte dal mercato; un'attenta presa di posizione contro le speculazioni finanziarie del grande Capitale, funzionale, soprattutto, all'attuale Governo ed incentivi mirati per l'impresa, le famiglie, gli anziani ed i giovani.


Dalle parole del leader di An e dalle immagini di un pubblico intergenerazionale ed interpartitico, entusiata e motivato, si è avuta l'impressione che la riscossa della Politica vera, limpida, capace di ricreare ideali, con nuovi fermenti per un'Italia identitaria e futuribile, continuatrice di una rispettata tradizione storica e culturale nell'ambito europeo, sia ancora possibile.


Sta alle varie componenti del "Partito della Libertà" sviluppare dal basso la scintilla di nuove aspettative ed impegni elevati, a dispetto della supponenza dei vari Sartori e Berselli.

venerdì, ottobre 12, 2007

Ci sono giudici ad Hannover!


Sbaglierebbe chi si affrettasse a dare valutazioni negative sulla sentenza che ha riconosciuto attenuanti etniche e culturali a Maurizio Puxeddu da Cagliari, il cameriere ventinovenne che ha compiuto violenze di vario tipo nei confronti dell'ex fidanzata lituana, colpevole a quanto pare di tradimento.


Purtroppo sull'onda dei commenti della stampa, improvvisati ed approssimativi come accade a volte, quando la notizia è ghiotta e suscettibile di valutazioni politiche, più che tecniche, la televisione ed i giornali hanno avuto il destro di accusare di razzismo ed arretratezza mentale il povero giudice di Hannover, il quale oltre ad avere il torto di essere tedesco è anche un barone della vecchia aristocrazia germanica.


Facile dire che, avendo a che fare con due stranieri, un italo-sardo ed una lituana, non gl' importasse poi molto di fare giustizia seria ed appropriata al caso concreto.


Forse, si penserà, è un segreto ammiratore del conte di Gobineau e del divin marchese, un personaggio che in camera di consiglio si esalta di fronte alle brutture commesse dall'imputato ai danni di una donna e, pertanto, non sia da escludere, per tali motivi una propensione ideologica allo sconto di pena per ragioni etnico-sessuali.


Ma siamo sicuri che la fattispecie giuridica sia proprio quella descritta dai mass media?


Non è la prima volta che il giornalismo gridato e direttori zelanti, ultrasensibili ai temi dell'eguaglianza prendano grossi granchi e siano costretti, successivamente, a ritrattare o correggere le proprie avventate opinioni come i trinariciuti di guareschiana memoria.


Accade per le sentenze emesse in Italia e figuriamoci se non possa capitare per le decisioni della magistratura straniera, specialmente se crucca.


Buon senso avrebbe voluto che, prima di precipitarsi a firmare mozioni di condanna per presunte discriminazioni, onorevoli, senatori, giornalisti e sociologi e qualche giurista distratto avessero letto la sentenza, non ancora tradotta in italiano, e si fossero riferiti alla giurisprudenza (e alla dottrina penalistica tedesca) intervenuta per decidere casi analoghi, anche con imputati o vittime tedeschi, magari bavaresi.


La portavoce del giudice, ora sotto accusa, ha infatti reso noto che il verdetto non discrimina in base a criteri razziali, ma è coerente applicazione delle attenuanti previste dall'ordinamento tedesco nei confronti di qualsiasi responsabile fosse pure nato, cresciuto ed educato in Baviera, aggiungendo fra l'altro che lo sconto di due anni al turpe cagliaritano non declassa la pena, di per sé rientrante nella fascia medio- alta delle sanzioni.


Prima di continuare a strepitare ed assumere iniziative inopportune, si renderebbe necessaria una valutazione attenta dei fatti e e delle norme discendendenti dalla cultura del cosiddetto delitto storico, richiamato saggiamente dall'emerito Prof. Cossiga.


Egli da corretto costituzionalista ha affermato che i principi a cui si è rifatto il magistrato di Hannover si riferiscono alla cultura di una regione (concetto applicabile a qualsiasi regione del mondo), con le sue peculiarità storiche ed ambientali, costituenti un portato oggettivo del costume e della mentalità di una popolazione, e non certamente al singolo individuo.


Quindi, per l'ex Presidente della Repubblica, si tratta di regulae juris, derivanti da una particolare concezione giuridica di scuola tedesca, che hanno trovato spazio razionale nella sentenza, e non di razzismo nei confronti dei sardi.


Questi ultimi, d'altra parte, ben conoscendo il costume matriarcale dell'isola e il rispetto secolare dovuto alla donna perfino dal banditismo tradizionale, avrebbero attuato a carico del colpevole le prescrizioni dettate dal diritto barbaricino, che non prevede giustificazione alcuna in subiecta materia.


Un consiglio disinteressato al Puxeddu e alla sua avvocata ci sentiremmo comunque di darlo: l'imputato sconti la pena in Germania e cambi possibilmente identità.


Se dovesse rientrare nella sua terra, non sarebbe accolto affabilmente come capitò (al termine della lunga detenzione) al fuorilegge- gentiluomo Graziano Mesina, il quale ha sempre
considerato, da buon balente, semplicemente abominevole il sequestro di una donna.

giovedì, ottobre 11, 2007

Le donne amano soprattutto...il matrimonio


Nel giro di pochi mesi, due mie ex, che spasimavano d'amore per me, si sono convertite ad altri partner.

Come mai?


Semplice.

Pur non avendo una grande attrazione per i miei succedanei, né fisica né mentale né sentimentale né culturale né emotiva, essi avevano un asso nella manica: la dichiarazione di matrimonio!

Una carta per me semisconosciuta.

Dopo la mia prima esperienza giovanile, infatti, di cui porto ancora i segni visibili ed un trauma gravissimo post-suocera (che Dio la protegga, beninteso...), non ho avuto più la forza di ripensare allo sposalizio.

Per me, la convivenza basta ed avanza ed è la forma più elevata di lealtà ed affetto verso l'altro o l'altra.


La natura umana è ipocritamente convertibile alla schiavitu'.


Una variante del servilismo tipica di certi maschi è, per l'appunto, la prostrazione ai piedi di una donna (per altri versi irraggiungibile) con una richiesta antiquata ma sempre efficace che si condensa in due parole: Voglio sposarti!


E la donna - che mantiene dentro di sé l'inclinazione romantica ed, al tempo stesso, pragmatica alla vita coniugale - di fronte ad un'affermazione del genere, capitola volentieri e repentinamente.


Soprattutto di questi tempi, poco propizi all'istituto matrimoniale, ma pur sempre aperti al trionfo della norma, della regola, della convenzione e ... del compromesso (storico o no), non c'è strumento migliore per accattivare la simpatia e l'attenzione, ottenere la comprensione ed il consenso femminile.


Se poi l'evento avviene in chiesa, si raggiunge l'apoteosi (uno, indissolubile, categorico è il matrimonio cattolico: chi si unisce col rito apostolico e romano è come suol dirsi in una botte di ferro!).

E l'amore? Direte voi.

Per quello c'è sempre tempo e spazio, ma viene in seconda linea, dopo i fiori d'arancio e la genuflessione...

mercoledì, ottobre 10, 2007

La Sardegna è un continente



Pino Arlacchi, professore di sociologia presso l’Università di Sassari, ha dato recentemente alle stampe un libro interessante, che raccoglie i risultati di studi e ricerche, condotti per lungo tempo sul campo e che si rivelano esemplari per la conoscenza della società sarda e dei suoi rapporti con la tradizione, il costume, l’economia e la criminalità, mettendo in evidenza e confermando quel che da molti è considerato l’aspetto fondamentale dell’isola, quello di caratterizzarsi come un piccolo continente.


Il volume reca il titolo significativo “Perché non c’è la mafia in Sardegna" e costituisce una presa d’atto importante, per distinguere i connotati di una regione mediterranea, che pur avendo legami correnti e collegamenti saldi con il resto dell’Europa, mantiene un ruolo assolutamente originale riuscendo a coniugare le proprie antichissime radici di eminente civiltà pastorale con il progresso, la modernità, la globalizzazione.


Conservare la propria identità culturale, la quale affonda la sua storia nel mondo classico e deriva il proprio ethos direttamente da Omero e dalle repubbliche montanare di Braudel è già di per sé un fatto notevole nell’età del globalismo.
Se poi si aggiunge che i fenomeni della delinquenza organizzata di tipo mafioso, nonostante i tentativi di colonizzazione, non hanno avuto mai la possibilità di realizzarsi in questa terra, a causa della persistente attitudine alla costante resistenza contro le dominazioni (secondo una tesi ampiamente accreditata sul piano storico-scientifico e segnatamente riaffermata dal noto archeologo Virgilio Lilliu, per il quale ” i sardi, nella confusione etnica e culturale che li ha inondati per millenni, sono riemersi costantemente nella fedeltà alle origini autentiche e pure”), si delinea un quadro di civiltà autoctona, che costituisce un’eccezione rimarchevole nel panorama generale, piuttosto deprimente, delle connessioni tra mafia, affari, politica, economia, che non hanno risparmiato neppure regioni ritenute apparentemente impermeabili a tali infiltrazioni criminali, come per esempio la Val d’Aosta.


L’opera, fra i vari pregi, presenta quello di contribuire a convalidare alcuni esiti scientifici, acquisiti in anni di sofferte fatiche intellettuali da eccellenti studiosi come Antonio Pigliaru, incisivo filosofo del diritto e magistrale ricercatore dei tratti distintivi del cosiddetto pastoralismo (o il mondo del “noi pastori”, fondato, prima dello Stato ed in alternativa allo stesso, sul codice comportamentale barbaricino, un vero e proprio ordinamento giuridico, nato all’interno della Barbagia, sul quale si è retta per secoli, ed in parte tuttora si regge la vita sociale, assicurando sistematicamente e tenacemente il rispetto della dignità della persona (l’onore) e della giustizia sostanziale (la vendetta biblica) nella comunità sarda (al pari della celebrata Carta de logu, frutto della sapienza giuridica medievale , che ha informato di sé il costume isolano fino alle soglie dell’età moderna con notevoli influenze sulla elaborazione codicistica del nostro paese).


L’osservatorio privilegiato dall’indagine sociologica dell’autore è il tessuto di un’economia autosufficiente, basata sullo scambio non classista e la coesione fra i vari ceti, nel segno della generosità, del dono reciproco e della solidarietà, dove l’imprimatur capitalistico ha consentito l’evoluzione del sistema di produzione, senza determinare conflitti sociali.


La differenza tra la Sardegna e le regioni meridionali colpite dalla delinquenza organizzata (Campania, Calabria, Basilicata, Puglia e Sicilia) consiste soprattutto nella visione elementare, diremmo istintiva, del diritto da parte della popolazione.


Il codice d’onore delle società segrete ( mafia, ‘ndrangheta, camorra, etc.) è volto principalmente al predominio e all’oppressione sul proprio simile, senz’alcun rapporto con i valori della giustizia.
L’ anarchia ordinata del codice barbaricino, nasce viceversa dall’esigenza dell’autogiustizia e, come sottolinea egregiamente Arlacchi, ”dall’irriducibilità dei sardi alla subordinazione nei confronti della forza altrui“.

giovedì, ottobre 04, 2007

Toscani e la moda


Oliviero Toscani non mi piace.

E' un personaggio ambiguo, che gioca sull'equivoco: le sue immagini choc banalizzano il male che vorrebbe combattere.

Alla fine, è solo un'operazione commerciale una foto che rappresenta la sofferenza e la diversità.

Mettere in evidenza la figura di un'anoressica non serve a richiamare l'attenzione sulla malattia, ma a renderla accettabile, ordinaria, usuale, banale ed a fornire un alibi morale agli stilisti che disegnano abiti per taglie normali o forti.

Non è un caso che i manifesti di Toscani abbiano sempre una connessione con qualche trovata mercantile, che si accompagna o segue le foto eclatanti, che contrappuntano la sua carriera di fotografo.

Tra qualche anno, magari, sarà la volta di una bulimica a segnare il ritorno all'esile al sottile al filiforme nelle passerelle di nuovi modelli
...

"Ragazzo" di Massimo Fini


Non è la storia di una vecchiaia, come vorrebbe far intendere il sottotitolo, che Massimo Fini ha voluto dare al suo ultimo libro.

Si tratta piuttosto della vivace e drammatica autobiografia di un ribelle, giornalista-scrittore, della generazione del sessantotto, un periodo che appartiene, com'egli riconosce, alla storia minuscola dell'Italia e dell'Europa occidentale.

Vivace la scrittura e l'indubitata intelligenza dell'autore, il quale però è afflitto dal mal de vivre fin dalla nascita.

I risultati del suo catastrofico pessimismo e del suo irrimedibile cinismo sono evidenti in ogni pagina del pamphlet agile, scorrevole, denso di episodi interessanti e percorso da un infantilismo un po' narcisista, da una consapevolezza "dolorosamente innocente" dal punto di vista morale.

Siamo estimatori di Fini per la sua opera di acuta e profonda divulgazione storico-filosofica non conformista e le sue prese di posizione non politically correct, che ne fanno uno dei pochi esemplari d'intellettuale libero e coraggioso del nostro tempo.

Il guaio è che la sua generazione (a cui appartiene anche Giampiero Mughini, geniale megalomane , incessante ricercatore del senso nascosto dei formidabili anni della contestazione dei figli di papà...) non ha avuto esperienze di grande rilievo culturale e di costume, come quella dei padri.

La cesura nasce nel secondo dopoguerra e negli anni della democrazia ritrovata, e quasi immediatamente trasformata in partitocrazia, in quelli del consumismo di massa, dell'omologazione, della perdita dell'identità e di ogni gerarchia valoriale, un'età in cui trionfa l'etica del signorino soddisfatto, come chiamava Ortega y Gasset l'avvento al potere della folla indistinta ed informe, senza educazione né princìpi.

E' l'epoca durante la quale si consolida il mito del guadagno ad ogni costo, del denaro come simbolo del successo e la progressiva secolarizzazione della società, insoddisfatta dei limiti imposti da una civiltà agro-pastorale, radicata nella campagna o nel borgo e nei valori pre-industriali, scarsa di beni materiali, ma, tutto sommato, economicamente autosufficiente ed ancora legata con un filo sottile all'ethos classico, nonostante l'avanzare della rivoluzione capitalistica e della modernizzazione.

Ci sono ricordi memorabili in Massimo Fini, espressi con la nostalgia, appena accennata, della propria famiglia e, soprattutto, s'intravedono i lasciti di emozioni ed attitudini, convinzioni e scelte ideali, elaborati anche attraverso le vicende sociali cui hanno attinto i suoi genitori, lasciando tracce profonde nel suo carattere.

Il babbo, direttore di giornale, ha vissuto la tragedia della guerra e il dramma della palingenesi politica del fascismo e della resistenza.

E a lui, al figlio, quei grandi eventi con il carico di responsabilità individuale e d'insegnamenti elevati (all'onore, alle virtù civiche, al coraggio, alla coerenza e all'onestà intellettuale) sono invece stati negati per ragioni temporali.

Vive ed ha vissuto in un periodo di banale conformismo, di snobismi piccolo-borghesi, d'ipocrisia sociale, senz'aver avuto la possibilità eroica di un riscatto dal grigiore e dal tran tran quotidiano.

Ha avuto la fortuna di aver trascorso un'infanzia dorata, da cui è faticoso staccarsi: ne sono prova le iperboli che punteggiano il libro ed i giudizi impietosi e sommari distribuiti ad amici, amiche, personaggi noti e meno noti, con la stizza di chi, stancatosi del giocattolo divenuto noioso, vuole farlo a pezzi per vedere cosa c'è dentro (ma non si nasconde alcunché d'interessante all'interno di esso).

Al termine della lettura, lascia disperati il suo accanirsi contro la vecchiaia e verso la vita che scorre inevitabilmente, travolgendo tutti in un mare oscuro, nel nulla ineluttabile.

Dispera la sua disperazione così netta ed inflessibile, senza il soffio di una fede, neppure alimentata dall'ansia del mistero della morte e di un possibile assoluto.

Fini è nato ateo.

Forse è un pagano a cui è rifiutata la visione dei Campi Elisi, popolati da divinità ed eroi, un paesaggio incantato a cui accede solo l'anima immortale.

Non ha nessun dubbio.

La sacralità della vita, il senso religioso non trovano spazio nel suo patrimonio spirituale.

Colpa del sessantotto, oseremmo dire, con i suoi lumi riflessi di materialismo storico e determinismo meccanicistico, che fanno tabula rasa di qualsiasi sentimento trascendente e, perfino, dello spirito di ricerca del vero, del bello e del buono, del più sottile e problematico agnosticismo.

La sua critica al mondo è senz'appello: meglio sarebbe non essere mai nati.

Nonostante questi limiti e le stigmate di una generazione incolpevolmente orfana di elevato sentire, per la quale il sesso, il denaro, la psicanalisi e la sociologia costituiscono tutto l'universo, il nostro autore mantiene un nobile distacco dalle viltà contemporanee e si fa apprezzare per le sue qualità d'altri tempi: la sincerità sfontata, il desiderio di libertà, il senso della giustizia, la ricerca della verità effettuale.

Alle conclusioni negative cui perviene, vorremmo non fosse mai arrivato.

A nostro conforto, per bilanciare il disappunto dello scacco, rimangono le figure di vecchi fusti, malfermi in salute e con mille acciacchi, ma avvolti nella splendida luce di saggezza, spiritualità, ostinatezza ed amore, nell'affrontare i giorni e le stagioni che passano.

Uomini, donne comuni e personaggi pubblici, individui anonimi e celebrità nei più svariati campi, i quali mantengono, nonostante tutto, il piglio dell'adolescenza.

Che avrebbe detto Marguerite Yourcenar delle tesi nichiliste del libro?

Lei, amante del mondo classico, dal raffinatissimo senso estetico, dalla chiara ragione e dalla curiosità inesauribile, non credente, ma con l'anima permeata dal sacro: ineguagliabile femme savante volle vivere fino in fondo la propria unica esistenza ( unica come quella di ognuno di noi) ad occhi aperti.

lunedì, ottobre 01, 2007

Flores D'Arcais e Maranini


Paolo Flores D’Arcais ha avuto buon gioco a difendere Beppe Grillo, anche con politologi del livello di Gianfranco Pasquino, nella trasmissione di Ferrara dedicata al V-day.


Mi ha colpito come, con argomentare serrato e inappuntabile, il direttore di “Micromega”, pur provenendo dalla fazione comunista, cui appartenne in età giovanile, parli a ruota libera della partitocrazia, termine impronunciabile trentanni addietro.


Chi l’avrebbe detto che la parola coniata dall’illustre costituzionalista Giuseppe Maranini, negli anni settanta o giù di lì, sarebbe divenuta usuale nel linguaggio dei post marxisti?


Pronunciarla allora equivaleva ad una bestemmia, oggi non meraviglia più nessuno, anche se la sua etimologia politica rimane nascosta ai più.


Bene. Speriamo che prolifichi ancora, nell’interesse di una riforma seria, profonda ed autentica delle istituzioni
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