domenica, ottobre 18, 2009

Io quoto, tu quoti...



'Le distorsioni del linguaggio'
Dire '
Io mi quoto' andava di moda qualche anno fa ed indicava la spontanea, o quasi, autotassazione a favore di qualche persona od ente da finanziare, in mancanza di sovvenzioni pubbliche.
Recentemente, si parla spesso di quote 'condominiali' che l'amministratore è obbligato a recuperare per la gestione dei servizi comuni immobiliari e che, secondo un progetto di legge, dovrebbe garantire, in futuro, con esborsi personali, in assenza di un'azione esecutiva nei confronti dei soggetti morosi.
Non è neanche da molto tempo, che si parla di quote 'rose', che vanno ad aggiungersi alle locuzioni 'in alta quota' o 'bassa quota', collegate ai voli aerei o alle scalate di montagne.
Quello che risulta però del tutto inusitato alle mie orecchie è il verbo 'quotare' nell'uso disinvolto e moderno, che moltissimi tra noi usano come un segno di distinzione dalla massa d'incolti o di analfabeti o semianalfabeti, di andata e di ritorno, a voler significare che si preferisce una opinione o una posizione o un'iniziativa di qualcuno o di qualcuna particolarmente autorevole e persuasivo.
Ero ben fermo fino a pochi mesi fa alle frasi canoniche : 'è una persona quotata, molto quotata, poco quotata', etc.
Ora, non si vedono che pronunciamenti, dichiarazioni, proclami e sentenze, che si sublimano nel fatidico' Ti quoto', ovvero, quoto Tizio, Caio, Sempronio, Filano,etc. lasciando tutti muti e rispettosi.
Dove mi quoti? verrebbe da chiedere all'entusiasta sostenitore. In borsa? Ma, io non sono una società, un'industria, una banca, un'assicurazione: sono un individuo(absit iniuria verbis!) come te. Che mi quoti a fare? Che ho fatto di male? Se insisti, potrei addirittura offendermi e mandarti a quel paese.