venerdì, aprile 27, 2007

Mobbing femminile









E' già da qualche anno che la parola mobbing sta avendo fortuna, almeno come indice di un fenomeno che avanza in tutti i settori della vita sociale.

Lo strano è che il suo uso si accompagna alla conquista di spazi sempre più ampi da parte dell'aggressività femminile.

Ora, lo strapotere di ceti erroneamente considerati deboli non è neanche troppo preoccupante per chi, come il sottoscritto, considera le donne il sale della vita e le vere custodi dei valori virili, un tempo riservati ai soli uomini.

Dopotutto, è stata la rinuncia dei maschi ad esercitare le proprie prerogative a dare spazio al rampantismo muliebre e quindi non è il caso di lamentarsi.

In campo sessuale, inoltre, quest' ondata di machismo alla rovescia aiuta molto le persone pigre ed apre nuovi spazi alle conquiste di cuori solitari, desiderosi di nuove unioni, senza l'impegno complicatissimo da destinare a corteggiamenti, un tempo, lunghi e defatiganti.

Quel che non va bene è invece l'esercizio della violenza a danno dei poveri mariti o sfortunati partner, all'interno della famiglia o delle convivenze di fatto.

C'è un allarme crescente, specialmente tra i padri che hanno perso qualsivoglia funzione all'interno del gruppo familiare, proprio a causa del mobbing esercitato brutalmente e con crudele sistematicità da mogli o compagne virago, raggiungendo livelli di parossismo inimmaginabili.

Uomini denunziati al "Telefono azzurro", finiti sotto le grinfie del Tribunale dei minori con le accuse più infamanti, che vanno dalle lesioni alle molestie sessuali e agli stupri, il più delle volte rivelatesi perfidi strumenti di vessazione, per conseguire l'allontamento dei malcapitati dalla casa e dai figli.

Episodi di persecuzioni sempre più raffinate costituiscono ormai una fase consueta alla separazione, grazie all'opera di femmine scatenate e feroci.

Un povero disgraziato, ad esempio, si è salvato miracolosamente dall'azione corrosiva dell'acido muriatico, sparso, dalla sua ex, sul sedile della propria auto, nel tentativo d'incendiargli le parti intime, al fine manifesto di comprometterne le capacità riproduttive.

Qui si esagera col mobbing e non si tiene conto che sussistono altre possibilità di indirizzare più amabilmente gli eroici furori.

Per favore signore e signorine, evitate di accreditare l'idea che il peggior difetto della donna, come s'insinua troppo spesso, sia quello di credere di avere sempre ragione!

giovedì, aprile 26, 2007

Sigfrido Bartolini









"Sigfrido Bartolini è stato pittore, incisore, critico, scrittore ed insegnante. Era nato a Pistoia nel 1932. Si è formato a Firenze, all’Istituto d’Arte. Dal 1947 ha cominciato a esporre i suoi dipinti in numerose mostre in Italia e all’Estero, ha eseguito bozzetti per il teatro, ha scritto articoli di critica d’arte e saggi, e si è dedicato alle incisioni. Nel 1983 ha curato un’edizione di Pinocchio, illustrandola con oltre 300 xilografie. Le xilografie sono state esposte negli Anni Ottanta in Francia, Germania, Grecia, Italia. Sue opere grafiche si trovano al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi di Firenze e alla Biblioteca Vaticana di Roma. È morto a Firenze il 24 aprile 2007."

*****


Le scarne notizie biografiche, tratte dal comunicato della casa editrice Polistampa, non rendono onore alla complessa personalità dell'artista, formatosi alla scuola dell'indimenticabile Ardengo Soffici, né al carattere dell'uomo, alle sue qualità, al suo talento d'incisore, pittore, critico d'arte e scrittore, a cui mi legava una profonda amicizia, nonostante le differenti generazioni.
Una volta conosciuto non poteva mancare l'apprezzamento alla sua chiarezza morale ed intellettuale, alla sua schiettezza di vero toscano, al suo anticonformismo, al suo radicato attaccamento alla tradizione in campo culturale.
Mi duole ricordarlo a poche ore dalla sua scomparsa, mentre avrei voluto dedicargli parole meritate di stima e di affetto in sua presenza, durante la sua laboriosa ed infaticabile esistenza.
Purtroppo le circostanze della vita ci hanno tenuto lontani e non ci hanno consentito una frequentazione assidua come la squisitezza della sua persona, il gusto aristocratico e popolare insieme avrebbero meritato.
Ho due quadri, contrassegnati da dediche sobrie e preziose per l'attenzione che sempre poneva nel significati delle parole, espressione della sua palpitante creatività e del suo ingegno pittorico, che testimoniamo l'impronta indelebile della Toscana, come microcosmo universale.
Una volta mi disse che il segreto per apprezzare un'opera era sentirsene compartecipe.
"Se ti piace e la senti nell' anima vuol dire che vale".
Dette da da lui, che era uno spietato ed immacolato scopritore di truffe ed un critico competente e rigoroso, queste parole risuonano come un insegnamento kantiano (un filosofo con cui aveva attinenze insospettabili in campo morale ed estetico).
Le sue mani erano consunte dal lavoro artigianale, scrupolosamente eseguito con metodo antico, al fine di ricavarne incisioni uniche, imperdibili, superbe per nerbo e capacità rappresentativa (basta riferirsi al capolavoro delle illustrazioni del Pinocchio di Collodi e alle incisoni dedicate alle tematiche religiose).
Adesso riposa in un cielo ricoperto dei colori dei suoi quadri, soffusi di malinconia e segnati dalla passione per la purezza e la semplicità.
"La vera aristocrazia ha l'onestà dipinta in fronte" diceva Mozart.
Queste parole mi sembrano oggi le più appropriate per ricordare la sua vita.
Addio Sigfrido.


martedì, aprile 24, 2007

Lotta alla povertà


In attesa degl'inevitabili vantaggi economici, legati ai progressi del mercato cinese, il governo di quel paese procede, con determinazione, a sperimentare nuove soluzioni contro la miseria, tuttora presente in larghe plaghe dell'impero del drago.

Come noto, le famiglie non abbienti hanno diritto ad un solo figlio.

Chi concepisce in sovrannumero deve assoggettarsi all'aborto di stato fino al nono mese di gravidanza.

Mao, all'epoca de "Il numero è potenza", aveva assicurato una ciotola di riso per ogni cittadino.

Nell'era della globalizzazione, si vuole creare la società dei consumi, nella quale non è bene, se non si può spendere, affacciarsi alla soglia del mondo.

La rivoluzione culturale, è comunque ancora in cammino.

Sempre nel nome del cosiddetto "interesse generale" (concetto privo di significato concreto, ma denso di fascino misterioso, sia in occidente che in oriente), si è passati dall'anticapitalismo al darwinismo sociale.

Non sarà più il puro proletario a sopravvivere, ma il puro consumatore.

Chi ha detto che non si combatte la povertà ?

giovedì, aprile 19, 2007

Divorzio con querelle


L'emerito giudice si occupa di un caso abbastanza frequente in tempi di crisi dell'istituto matrimoniale: "divorzio con querelle".

Vale a dire disputa su un assegno divorzile richiesto da Lei a Lui, all'atto della richiesta di scioglimento consensuale del matrimonio da parte del marito.


L'unione consacrata dalla legge è durata sei anni, la separazione dura da cinque, ma, anche se i due ormai s'impipano uno dell'altra, questi anni si sommano ai precedenti. In totale quindi sono undici anni di vincolo, che pesano sulla sentenza di divorzio, insieme con la dichiarazione dei redditi di ciascuno dei coniugi.


Orbene, la donna dopo aver perso il lavoro con una liquidazione di diecimila euro, ne ha trovato un altro da seicento euro mensili.

All'atto della separazione il marito le ha già donato la metà dell'appartamento acquistato in comunione per un valore di duecentocinquantamila euro (valore complessivo dell'abitazione, quindi, un miliardo di vecchie lire).

L'uomo (si tratta di una coppia eteresessuale) aveva il vizio di ammirare altre donne, sicché la moglie, indispettita, decise di metter fine al rapporto coniugale, chiedendo la separazione (ma non l'assegno di mantenimento, in quanto, al momento della prima decisione, ella lavorava e non riteneva dovuto né decoroso farsi mantenere dallo sposo).

Si sappia che ancora oggi chi ha tendenze eterofedifraghe ha il destino segnato.
Per sempre.

Chi guarda un uomo e si accorge di avere una certa omofilia è forse più giustificato di chi guarda le donne, e prova ad intrattenere una relazione biblica con loro?

Andatelo a chiederlo a Cecchi Paone, che ha lasciato la moglie per un compagno, magari senz'assegno di mantenimento per la sua ex, neanche a titolo d'indennizzo morale.


Il consorte, inoltre, svolgeva un'attività d'imprenditore edile
ed è un altro neo.

L'edilizia è un campo delicato, tanto che, per evitare il fallimento dell'azienda, fu costretto a chiuderla.

E' vero che diede le giuste liquidazioni agli operai e che divenne dipendente della ditta acquirente le sue proprietà, per non esser dichiato fallito e farla comodamente franca con creditori e collaboratori.

Ma, siccome titolare della nuova impresa è la sua attuale compagna (prossima madre di un figlio concepito in comune), l'ex imprenditore è gravemente sospetto, e cumula su di sé un altro fattore controproducente in questa complessa materia.

"Vuoi vedere che il furbetto si sta costruendo un'altra esistenza (non solo sentimentale, ma anche patrimoniale), in vista del divorzio?"
E' la domanda che sorge spontanea sulla bocca dei più.

Insomma:
questi comportamenti puzzano lontano un miglio di manovre diversive nei confronti della legittima (anche dopo anni cinque di vita separata) consorte e sorge impellente la necessità di castigare.

Non importano l'appartamento regalato e che la donna quarantaseienne abbia un cespite, non proprio misero, lavorando.

Interessa invece il ruolo dell' uomo, il quale pensava di avere il diritto di starsene tranquillo, dopo aver sistemato le proprie obbligazioni naturali verso la moglie, all'atto della separazione, ed, in procinto di diventare padre, riteneva di non dover versare il dazio per un nuovo matrimonio.

E No!

Vuoi scioglierti dai ferri? Ebbene paga.

La sentenza, considerando la prima moglie parte debole, nonostante una sinecura di cinquecentomila euro ed una retribuzione di seicento euro al mese, le attribuisce un assegno di ulteriori seicento euro mensili.

Così è deciso.

Ben fatto, così impari a divorziare, uomo ingenuo e speranzoso...

Eppure, il grande Pietro Germi l'aveva ben individuata, in uno dei film più famosi, la via italiana al divorzio...


Il matrimonio in Italia è, soprattutto, un'assicurazione contro la vecchiaia.

Occorre ricordarselo prima di sposarsi e prima di divorziare
.

domenica, aprile 15, 2007

Caro Totò








Sono passati quarantanni dalla scomparsa del nostro più grande attor comico, multiforme talento dello spettacolo.
Tutto il mondo magnifica Chaplin?
Noi abbiamo Toto', che non invecchia e rappresenta vizi e virtù degl'italiani nella maniera più aderente alla realtà.
Sì, è vero, siamo un popolo alla ricerca della propria identità, ma inevitabilmente legato a quanto di autenticamente nobile e plebeo è presente da secoli nel nostro Dna.
Peccato che i decenni trascorsi dalla scomparsa del Principe De Curtis, figlio clandestino, ma genuinamente nobile, quanto a sentimenti, gusti, ironia e saggezza come un antico Borbone, siano stati terribilmente sconvolgenti per le nostre radici.
Quell' indimenticabile personaggio aveva avuto il merito di rappresentare i vari aspetti della nostra società, sia al nord che al sud, onesti o disonesti che fossero, riuscendo a darne un ritratto unitario, proprio come gli sforzi collettivi del secondo dopoguerra, negli anni della ricostruzione e del miracolo economico (e no) avevano modellato una struttura sociale complessivamente solida e ben caratterizzata dalla persistente distinzione tra bene e male.
Era chiara allora la differenza tra furbi e fessi, napoletanamente intesi e riportati scrupolosamente nel "Codice della vita italiana" da Giuseppe Prezzolini:la nostra comunità rimaneva ben ancorata a principi positivi, semplici, ingenui e chiari per tutti.
Oggi tra le rovine di quel tempo, si aggirano soprattutto volpi e iene pronte a ghermire, sghignazzando, qualsiasi preda, pur di raggiungere i miseri status symbol, a cui ci siamo fin troppo abituati, nel segno del compromesso e della confusione delle lingue.
Gli esempi portati nello schermo da Totò rappresentavano categorie umane eterne, indissolubili e soprattutto infungibili.
Oggi tutto questo sembra dimenticato ed ognuno è fungibile, in nome del successo fasullo, conquistato a qualsiasi prezzo.
Quelli che un tempo erano gli eroi, sono stati relegati ai margini della memoria comune, per lasciare il posto ai miti capovolti dello starsystem.
Non certamente alla maniera degli atleti greci classici, dediti con sacrificio alla conquista di traguardi di fama e considerazione generale, le generazioni attuali sembrano privilegiare, nei loro orizzonti, l'accesso al "Grande Fratello", come baluardo da possedere per raggiungere la celebrità senza fatica, fosse solo per un giorno, ed entrare trionfalmente nel tritatutto massmediatico.
Totò apparteneva ad un altro mondo, dove la nobiltà naturale aveva ancora un valore indefettibile.
Per questo che non tramonterà mai.
Nonostante l'evoluzione del costume, i suoi film attirano, divertono ed insegnano senza intellettualismi.
Forse un segno di sopravvivenza dell'originario genoma.


sabato, aprile 14, 2007

Sua Maestà, ci faccia il piacere!


Vittorio Emanuele di Savoia è intervenuto alla televisione per parlare delle vicende giudiziarie iniziate a Potenza e non ancora concluse, nel tentativo di ristabilire la propria immagine, dopo la catastrofica ondata di pettegolezzi ed accuse che l'ha travolto alcuni mesi fa.

L'impressione suscitata dal principe non è stata quella che ci si sarebbe aspettati dall'ultimo custode della monarchia sabauda, che, nel bene e nel male, ha contribuito in maniera determinante alla realizzazione dell'unità d'Italia.

Ci scusiamo nel dirlo, ma l'esibizione è stata semplicemente penosa ed ha quasi (avverbio da usare per carità di patria, perché oggi parlar male dei Savoia è come sparare sulla Croce Rossa) del tutto dissolto il residuo patrimonio di credibilità dell'antico casato.

Ostacolato da una conoscenza approssimativa della lingua italiana e da una erre moscia su cui incespica ad ogni pie' sospinto, proprio come un nobile decaduto, con levità degna di miglior causa, e per niente aristocratica, egli ha riferito delle battute goliardiche, riportate nelle intercettazioni telefoniche e dei suoi gusti sessuali (portandolo a dire, scherzosamente, al magistrato inquirente che lui è, semplicemente, un maniaco ).

Non è mancato l'atteggiamento vittimistico, allorchè ha ricordato di esser stato tratto in inganno (sottraendolo ad un appuntamento semi- mondano piuttosto importante) da alcuni sbirri, i quali lo hanno, manco a dirlo, oltraggiato, trasportandolo, fino a Potenza, su un'auto piccolo- borghese come la Uno.

Per finire, poi, indecorosamente dentro il carcere lucano, contornato da curiosità ed attenzioni da parte di secondini e visitatori, ai quali, come passatempo, rilasciava autografi ed attestazioni di simpatia, nel più puro ed inconfondibile spirito regale.

L'anziano rampollo ha tralasciato, per fortuna, di approfondire il tema dei rapporti familiari, dalla moglie alla sorella al cugino, limitandosi a sottolineare la propria superiorità, su tutti e tutto, con sonore risate ed affettata nonchalance, riaffermando, peraltro, che quanto da lui stesso subito non ha prodotto alcun rancore od acrimonia nell'animo suo.

Alla fine dell'apparizione, penso siano stati in molti a chiedersi come sia possibile allestire, in una manciata di minuti, una così grottesca manifestazione d'insipienza, mettendo in luce una personalità talmente inconsistente e sprovvista di senso della realtà, da far rimpiangere la rivoluzione francese e la ghigliottina, anche per chi, come il sottoscritto, non ha mai avuto eccessive simpatie per i giacobini.

Sua Maestà ci faccia il piacere: la prossima volta rimanga a casa!

mercoledì, aprile 11, 2007

D'Annunzio e poi?















A rileggere "Il piacere" c'è da restare meravigliati dalla ricchezza del linguaggio e dalla capacità espressiva di Gabriele D'Annunzio.

Seppure ci s'impegni di trovare scrittori con gli stessi pregi, la forza evocativa di sensazioni, sentimenti, impressioni, emozioni, l'inconfondibile stile descrittivo di ambienti e persone e la penetrante analisi dell'animo umano, nella decadente società del novecento, non si trova l'eguale.

Beninteso, non considero il poeta pescarese un grande, un genio delle lettere, ma semplicemente un autentico artista della parola, vale a dire un maestro di tecnica dello scrivere, un talento che domina la lingua italiana, la forgia, adattandola a tutte le esigenze, con impareggiabile abilità, per raggiungere esiti formali di superba bellezza.

Tratte dalla sua vastissima produzione, rimangono nella mia memoria di ex liceale, in un tempo in cui l'antidannunzianesimo era la regola, come simbolo d'intensa sensualità le rime pagane della "Pioggia nel Pineto", ma ritengo che sarà doveroso riferirsi alle molte sue opere come testimonianza ineccepibile di un'epoca controversa e complessa della nostra storia.

A riflettere sulle donne descritte da Andrea Sperelli, nel romanzo citato, c'è da chiederesi se, ancora oggi, ci sia da scoprire qualcosa di nuovo dell'universo femminile più intimo, tante sono le sfaccettature della personalità muliebre, che
il vate ha saputo cesellare con dovizia di accenti, acutezza e perspicia di fine psicologo.

Al confronto la messe di manuali, saggi e scritti di vari specie e natura che affollano da decenni le librerie del mondo letterario o scientifico, non apportano alcuna originale idea sulle categorie dell'eterno femminino, visitate e rappresentate da questo inimitabile personaggio, che ha saputo incantare e stupire generazioni d'italiani ed europei, quasi fosse un novello Oscar Wilde o un intramontabile Capitano di ventura.

Quali altri esempi di letterati eruditi e creatori del mito fondato sul principio della vita come opera d'arte avete incontrato dopo di lui?




lunedì, aprile 09, 2007

Una Pasqua vera









Erano anni che questa festa non risaltava davanti ai miei occhi.
Mi era parsa una ricorrenza destinata a tramontare nel bailamme contemporaneo, fatto di consumi eccessivi e di viaggi esotici e spensierati verso l' Estate , considerata l'unica stagione vivibile per le specie moderne, evolute e presuntuose, in forsennata ricerca, ovunque sia della superficialità e dell'effimero, le sole riconosciute religioni delle società opulente e vuote.
Non che certe abitudini siano mutate.
Sciami d'inconsapevoli turisti per caso svolazzano da una parte e dall'altra del globo, alla ricerca del mare e delle spiagge, in anticipo sui tempi naturali, perché così dettano le mode e così fanno le persone importanti .
Ma qualche segnale diverso proviene dalla gente comune e semplice, tuttora esistente, seppure non sia calcolata dal cosiddetto immaginario collettivo, composto di miti fasulli, vallette e calciatori, politicanti e riccastri, affaristi d'accatto, costituenti il nostro universo possibile, grazie a certe televisioni e riviste, e a tutti gli strumenti della bassa e volgare comunicazione.
Io ho ricordi precisi della mia infanzia, trascorsa, dall'asilo alle scuole elementari, presso l'illustre "Istituto S.Vincenzo" - dove, dalla madre superiora, proveniente dalla Svizzera, fino alle consorelle insegnanti, tutto il tempo era dedicato alle varie branche del sapere, all'educazione ed ai forti richiami del cattolicesimo, ma anche al divertimento senza fronzoli e alla socializzazione senza distinzioni di censo o di classe, in un ambiente armonioso, ordinato e un po' severo, fuori dal tempo e dallo spazio, compiutamente racchiuso tra la cappella, i giardini, le aule, il teatro, il refettorio e la statua della Vergine, amorevolmente scolpita in un candido marmo, contornata da gigli sempre in fiore e collocata all'entrata dopo l' alto cancello attentamente lavorato nel ferro.

I ricordi e l'immagine della mia Pasqua sono legati a quel periodo.
Letizia, gioia, allegrezza suscitavano il suono delle campane, finalmente sciolte dal dolore del lutto, all'alba della resurrezione.
Ora che si parla di credenti non cristiani , quella festa appare lontana e irripetibile.
Le vicende dell'esistenza mi hanno in seguito portato allo scetticismo e al dubbio, ad una concezione laica della vita, ma con un profondo rispetto per lo spirito religioso.
Quest'anno, però, una sensazione nuova affiora, l'antica ricorrenza nella sua verità eterna sembra rinascere, si ha l'impressione di una palingenesi delle coscienze ammaestrate dalle parole di un Papa, che ha lo sguardo rivolto alla tradizione più risalente, ed è fermamente intenzionato a riaffermare i princìpi ultramondani della dottrina.

Sono dunque grato alle manifestazioni di un segno diverso, in controtendenza rispetto allo scontato cammino della Storia, finora contrassegnata da una globalizzazione priva d'identità e di significato, che consuma tutto o nel troppismo del benessere, o nella miseria senza riscatto.
Credo che l'esempio, anche minoritario, di una chiesa orgogliosa di se stessa abbia in sé un valore positivo, per tentare di sottrarsi al totalitarismo monocorde della secolarizzazione e alla massificazione dell'uomo.

Viva la Pasqua
.

martedì, aprile 03, 2007

Bocca il provinciale



Su "L'Espresso" , leggo un articolo di Giorgio Bocca, dedicato ai nuovi ricchi e alla decadenza del nostro paese, nonché l' intervista in cui rievoca le speranze e le istanze dell'Italia degli anni ottanta, descritte ne "Il provinciale", libro ristampato di recente, del quale sottolinea le illusioni sulla rigenerazione dell'Italia e della classe dirigente, con affermazioni totalmente pessimistiche se non catastrofiche sulla realtà di oggi.

Difficile dare torto al giornalista piemontese, protagonista acuto e fortemente impegnato nella vita politica e culturale dell'ultimo cinquantennio, quando - a bilancio della propria attività di militante - finisce con l'osservare come siano stati dei fallimenti la resistenza, le esperienze istituzionali del dopoguerra, durante gli anni della democrazia cosiddetta "parlamentare," fino ai giorni nostri.

Ma la distruzione dei miti, coltivati nell'animo suo e in quello della generazione allevata nella lotta partigiana, da che cosa deriva in particolare?

Saremmo tentati di dire esclusivamente dal carattere degli italiani: non a caso la rubrica di Bocca s'intitola l'Antitaliano.

E' senz'altro vero che - dopo il tanto celebrato miracolo economico degli anni sessanta - il nostro popolo ha mostrato sempre più vistosi segni di cedimento ad una logica scarsamente comunitaria, disperdendo nel nulla quel che rimaneva del senso dello Stato ereditato dall'età post-risorgimentale, umbertina e fascista, per acquietarsi nel proprio "particulare"e trovare uno scopo esistenziale unicamente nella possibilità di fare denaro, magari con l'aiuto del welfare, dell'insano connubio tra capitalismo e sindacalismo, attraverso il compromesso storico di berlingueriana memoria, a tutto danno del ceto medio- piccolo, della libertà d'impresa e dell'evoluzione in senso autenticamente democratico del nostro ordinamento.

Va aggiunto che Bocca rimane attestato sull'idea di un Piemonte curiosamente sabaudo (modello di virtu' ed efficienza sia in campo privato che pubblico), che avrebbe dovuto informare di sé tutta la nazione italiana, a dispetto di quanto avvenne dopo il risorgimento, in un'azione di governo visione prettamente annesionista delle altre regioni italiane, per le quali egli non nasconde un senso di fastidio, di ripulsa e, addirittura, un vero e proprio razzismo come quando parla di Napoli.

Al Nostro non viene in mente che una parte rilevante di responsabilità viene proprio dalla classe politica, la quale è stata pure formata da piemontesi i quali, con l'eccezione di Einaudi, stimato Presidente della Repubblica ed inutile predicatore di una politica economica non inquinata da sovrabbondanti interventi statali, non hanno saputo impedire lo strapotere dei partitanti, concausa della burocratizzazione imperante e della proliferazione del nepotismo.

Semmai doveva essere evitato, in uno sforzo unitario, che la partitocrazia mettesse radici ovunque, soffocando energie ed entusiasmi individuali e collettivi, espropriando lentamente, ma inesorabilmente, le strutture di uno Stato imparziale e al servizio di tutti i cittadini, per consegnare, pezzo dopo pezzo, la società ai nuovi famelici clientes, a soggetti pubblici, parastali o nazionalizzati, tuttora padroni dell'economia e supremi regolatori della vita dei sudditi, con vessazioni fiscali e burocratiche, come al tempo degli antichi feudatari.

Già l'insigne sociologo Vilfredo Pareto aveva individuato nell'alleanza innaturale tra capitale e ceti operai uno dei vizi della società italiana, alla fine della prima guerra mondiale.

Ma negli anni a cavallo tra il 70 e l'80, l'illustre giurista Giuseppe Maranini aveva denunziato la mostruosità di un sistema politico, che favoriva la nascita ed il rafforzamento di enti di fatto, come i partiti, quali nuovi centri di potere del tutto lontani dalla Costituzione e sicuramente responsabili del radicamento di un nuovo Leviatano.

Senza tacere della diagnosi perspicace ed attenta di uno degli intellettuali più lucidi disincantati, come Panfilo Gentile, che aveva individuato la tabe del nostro Stato in quella che veniva definita una democrazia mafiosa.

Come ha fatto Bocca a non accorgersene?

C'è da chiedersi se non sia proprio il suo carattere provinciale, tutto arroccato nella celebrazione della piemontesità e dello spirito resistenziale faziosamente legato al fratricidio della guerra civile, ad impedirgli di vedere tutte le cause del nostro decadimento come popolo libero e civile.