lunedì, dicembre 24, 2007

Auguri





Buon Natale e Buon Anno.

lunedì, dicembre 17, 2007


Che bello vedere Bertinotti che riceve il Dalai Lama!
Sembra di assistere ad una scena memorabile.


L'ex maoista, Presidente della Camera, sfodera sorrisi accattivanti, ma con un occhio particolarmente trasversale, intervistato dal grandioso tg3, che definisce "vivace" "il vecchietto" a capo del Tibet in esilio, ci tiene a precisare che Sua Santità non vuole la separazione dalla Cina, ma solo l'autonomia del suo Stato, il quale - non dimentichiamolo - fu invaso dalla stessa Cina nel 1953, colonizzato, in tutti questi decenni, dal regime comunista cinese, che aveva ed ha un solo scopo: la sua distruzione.


E' soddisfatto Fausto.


Come a dire: "in fondo non vuole ribellarsi, ma dialogare. E' dialogo è sempre la cosa migliore".

Siamo tutti in pace...


Comodo ragionamento, quando si ha a che fare col gatto che gioca col topo.


Ma questo non si dice.Sarebbe scorretto nei confronti di un grande impero con cui facciamo affari, nonostante la vituperata globalizzazione e i danni all'ambiente, che il colosso giallo infligge al resto del mondo.
Provate a chiedere all'elegante rifondarolo comunista se è capace di proporre di boicottare le olimpiadi per protesta e per segnalare la forte necessità di garantire un'autonomia effettiva del Tibet, proteggendo la cultura e la religione di quel paese, a cui perfino s'impone per decreto del governo cinese il prossimo Dalai Lama.


Figurarsi.


Da noi si gioca a biliardo davanti all'orrore della persecuzione sistematica al subdolo o manifesto genocidio dei buddisti.


Facciamo qualche gesto rispettando il fair play fasullo della politica politicante, per apparire liberali di fronte ad un'opinione pubblica distratta, in cerca di una via per sopravvivere alla casta.


E, dopo la carambola, continuiamo a fare affari sporchi con la Cina.

E' pur sempre cosa rossa, no?

giovedì, dicembre 06, 2007

Nuovi rapporti



Renato Mannheimer ha presentato le sue proiezioni sulle percentuali di voti che i vari partiti potrebbero raccogliere in caso di elezioni nell’ipotesi di una riforma o col proporzionale tedesco o con quello spagnolo.
Certamente i risultati proposti al pubblico sono tutti da verificare. Ma se con buona approssimazione i partiti di centro-destra si presentassero disuniti, Il nuovo movimento di Berlusconi difficilmente raggiungerebbe da solo il quorum per governare, mentre il Partito Democratico sarebbe quello di maggioranza relativa intorno al 46%.

Che cosa si può dedurre per il futuro dei moderati? Che occorre instaurare nuove alleanze con i vecchi partiti della Casa della Libertà, Lega esclusa, per competere con possibilità di successo con il centro-sinistra.

Il cavaliere farebbe bene a riallacciare i rapporti con gli ex alleati e dar vita al popolo della libertà senza ulteriori indugi.

Molti devoti sostenitori della svolta del predellino, ritengono di potercela fare da soli confidando nell’accordo tra Silvio e Walter, magari nella prospettiva di una grande coalizione. E guardano con dispetto ad una ricucitura con Casini e Fini, magari facendo qualche passo indietro rispetto ad una rifondazione popolare di Forza Italia, che peraltro non può procedere al suo scioglimento, ma semplicemente confluire nel nuovo contenitore politico come dovrebbero fare AN e UdC.

Solo con la riunificazione del centro-destra ed una compatta mobilitazione elettorale il leader dell’opposizione può vincere la battaglia, sfruttando anche le opportunità referendarie.

La maggioranza degli elettori di quest’area non vuole liti da cortile.
Quando dico che non ci vogliono "liti da cortile", intendo riferirmi al superamento delle contese meramente personalistiche, che non tengono conto della reale volontà dei moderati. E' un lusso che non ci si può permettere, se si vuol superare l'attuale impasse, evitando il ritorno alla prima repubblica.Vi pare che ci siano senza pecche tra i capi dei partiti della vecchia CdL?

C’è qualcuno che ritiene veramente che il cavaliere non abbia commesso qualche imprudenza nello "strappo", disorientando in parte, anche, i propri elettori e snobbando collaboratori di riguardo come, Ferdinando Adornato? Il laboratorio creato con la fondazione liberal merita diessere trascurato, dopo anni di sapiente tessitura culturale, per elaborare un programma comune a tutte le componenti del centro-destra?
Senza idee e programmi di ampio respiro non si mantiene il consenso. Gli umori della folla vanno incanalati e corroborati da valori e progetti di livello elevato. Se il popolo della libertà vuole consolidare ed aumentare la propria presenza nella società e al governo deve rappresentare un’alternativa credibile ed efficace coinvolgente nei confronti della sinistra. Altrimenti sarà una copia riverniciata di Forza Italia, con gli stessi difetti partitocratrici.

E poi non vi sembra che un programma condiviso e l‘esposizione di princìpi chiari ed iniziative da assumere nei prossimi mesi sia il modo migliore per fare i conti con i vecchi alleati, sconfiggendo gli alibi dei possibili nuovi partner.

Io penso che, per vincere le battaglie, ci sia necessità di una strategia e non solo di una tattica e finora il cavaliere ha fatto solo mosse tattiche.
Il disegno strategico, per la concreta costruzione del "nuovo progetto politico", a mio avviso, non è ancora chiaroed ho l'impressione che, all'interno del neonato movimento, crescerà l'incertezza, se non si terrà conto delle percentuali di voto da raccogliere, con l'apporto degli altri partiti dell’ex Casa della Libertà, per ottenere la maggioranza alle elezioni.
I sondaggi sulle tendenze dell'elettorato, svolti da Mannheimer, reclamano, a tal fine una confluenza di AN e UdC, nel Popolo della libertà, per conquistare la vittoria.

venerdì, novembre 23, 2007

Il cavaliere e la gente


Intervistato ad Otto e mezzo, il leader del partito della libertà crediamo abbia tranquillizzato i suoi sostenitori su buona parte degl 'interrogativi sorti all'indomani dell'annuncio di perseguire l'accordo per una legge elettorale proporzionale, insinuando alcuni dubbi sulla validità della scelta, anche tra chi aveva accolto entusiasticamente la nascita del nuovo movimento come strumento adatto per trarsi fuori dalla palude partitocratica. Il cavaliere ha ribadito il concetto fondamentale del bipartitismo come pilastro del nuovo sistema da costruire con una nuova legge elettorale, ma non ha precisato in quali termini eviterà il formarsi di compagini di modeste dimensioni, destinate a condizionare il parlamento nella formazione e nella vita dei governi. Non credo che sfugga alla sua intelligenza politica che i patti elettorali tra i partitini possano superare con relativa facilità le piccole soglie intorno al quattro, cinque per cento e, quindi, rientrare in gioco con gli stessi rischi del sistema attuale. Né pare una svolta significativa quella di delegare alle manovre parlamentari la scelta del premier e le sue allenze, utilizzando un po' troppo discrezionalmente la delega ricevuta dai cittadini, i quali desiderano soprattutto votare un programma ed un presidente del consiglio, per un periodo abbastanza lungo, tale da coprire la durata di una legislatura. Che senso ha votare, per poi vedere manipolare la propria scelta con accordi che non tengono conto degl'indirizzi assunti, sui grandi temi della politica interna, estera, economico-finanziaria, dai partiti con i propri elettori?

Come si potrebbero realizzare le aspirazioni dei liberali, dirette a restituire allo Stato le funzioni fondamentali, limitandone l'interventismo, con quelle dei sostenitori dell'allargamento della protezione statale?
La motivazione principale del consenso al gesto di Berlusconi consiste proprio nell'aspettativa che l'Italia divenga una democrazia avanzata e non rimanga un paese di sudditi, come le manifestazioni dell'antipolitica hanno prepotentemente messo in luce.
Le dichiarazioni di piazza S.Babila sono state accolte come l'espressione di una rivolta del popolo moderato contro le aberrazioni del sistema partitocratico e contro le caste, nella speranza che l'unico leader non professionista della politica faccia proprie le istanze della gente comune, per un cambiamento serio, effettivo delle istituzioni, senza dimenticare le differenze esistenti tra una nazione e l'altra in Europa e fuori. Una veste costituzionale adatta ad un popolo non lo è per un altro. Gl'italiani non sono i tedeschi. La vocazione al trasformismo è una tabe antica, i particolarismi, i personalismi della classe politica sono sotto gli occhi di tutti. La distinzione e la dialettica tra governo ed opposizione, essenziali per il sistema democratico verrebbero immediatamente compromesse da una "grande coalizione", che mentre costituisce in Germania un'eccezione, in Italia si presenta come versione aggiornata del "compromesso storico", esempio certamente non edificante nella nostra storia parlamentare.

Non per nulla tra i più convinti fautori della legge eletterole alla tedesca c'è niente meno che Fausto Bertinotti...
Qualche giorno fa Daniele Bellasio, vice-direttore del "Foglio", si augurava sullo stesso quotidiano che Silvio raccontasse una bugia nel rendersi disponibile al proporzionalismo.
Che la sua sia una tattica, ce lo auguriamo anche noi, nell'interesse della gente che rappresenta, la quale siamo certi vorrebbe percorrere la strada maestra e senz'ambiguità del referendum elettorale.

giovedì, novembre 22, 2007

Una primula all'Università


Fu al tempo dell’università.

Correva l’anno 1968.

Mitico, meno mitico.Rivoluzionario o no.

Chi può dirlo oggi con vera conoscenza del clima e dell’ambiente studentesco?

Credo pochi.

Per molti fu un anno di letizia e di allegre scorribande fra le aule occupate, più per imitazione che per scelta meditata.

Mi trovai un giorno davanti al cancello d’ingresso della facoltà di legge, chiuso con un lucchetto dall’interno.
Non si poteva entrare.

Dovevo rispondere all’appello di non so quale esame, e mi trovai di fronte a una diecina circa di studentelli ben vestiti e ben pasciuti, iscritti, per tradizione familiare, alla mia stessa sede, provinciale, tranquilla, ben organizzata con pochi frequentatori, posti in grado di seguire da vicino, in piccole aule da non più trenta- cinquanta persone, docenti e lezioni.

I figli di papà facevano la rivoluzione snob e noi che dovevamo studiare e superare i colloqui per arrivare alla laurea, eravamo tenuti fuori.

Ci era impedito l’accesso perché, lorsignori, dovevano fare baruffa, e passare giocosamente il tempo, sentendosi un po’ giacobini.

Noi eravamo quattro o cinque in quel momento, provenienti dalla casa dello studente, o arrivati con la macchina o col treno dalle cittadine più o meno lontane per fare il nostro dovere.

I padroni della situazione potevano permettersi altri lussi: studiare quando volevano, presentarsi nella sessione che più gradivano. Intanto erano lì ad innalzare cartelli incomprensibili, inneggianti all’occupazione contro i baroni e per il diritto allo studio (sic!).

Che fare?


Mi diressi verso le sbarre d’ingresso e vidi una faccia rossastra di un collega più anziano, figlio di un avvocato conosciuto in città ed esponente dell’intesa universitaria , un partito che aderiva all’opera di boicottaggio, sbarrando il passo a professori, rettore ed altri ignari studenti.

Mi avvicinai ancora e lo apostrofai, dicendogli, tra un’asta metallica e l’altra, che io dovevo entrare per sostenere l’esame.

Mi disse, tracotante, che non si passava e che l’avrebbero deciso loro quando si poteva avere libero il passaggio.

Aveva graziosamente in mano i quattro codici della Hoepli, dotazione necessaria per ogni aspirante alla laurea in diritto.
Dalla giacca blu di buon taglio fuoriusciva un’elegante cravatta regimental. Un ciuffo di capelli rossi lunghi pendeva sul lato sinistro della fronte, punteggiata di efelidi e piccole escrescenze.

Ripetei che io e i miei amici avevamo deciso di dare l’esame e che dietro di noi, in atto di scendere dall’auto blu, c’era il rettore , impegnato nella discussione delle tesi.

Cominciò a sbraitare, squittendo di non rompergli i cosiddetti, perchè quella decisione era ormai inoppugnabile, aggiungendo col pugno chiuso che, ad insistere, rischiavamo le botte.

Allungai una mano sul bavero della giacca, traendo verso di me la sua testa, che s’incastrò, quasi perfettamente, tra le sbarre, mentre, con l’altra, mi appropriai del ciuffo pendente, destinato ad essere il mio scalpo.

Gli urlaii, sillabando con forza dentro l’orecchio sinistro, che avrebbe dovuto aprirci l’ingresso, se voleva liberare la sua testa dal cancello, a cui nel frattempo avevo annodato la splendida cravatta.

Gemette per il dolore al collo e al cuoio capelluto, facendo scivolare i codici, divenuti inutili, sul gradino della scala d’accesso, e immediatamente dopo si convinse di spalancare i cancelli, che rimasero finalmente aperti per tutti.

Ero reduce da una lezione di filosofia del diritto, tenutasi il giorno prima, a cura di un professore emerito , tutta dedicata al concetto della libertà e della fede nella persona umana, come soggetto autonomo della comunità civile.

Mi aveva colpito la profondità dei concetti espressi con fermezza dal vecchio docente, il quale invitava i giovani ad avere fede nelle proprie convinzioni e a difenderle con senso di responsabilità.

Mi sentii come la primula dei romanzi di cappa e spada nel momento in cui, in coerenza con l’insegnamento ricevuto, ero riuscito con le" buone maniere" a rintuzzare la violenza di chi" lottava" per impedirci di proseguire nel piano di studi e ad aprire il varco ai colleghi, ben intenzionati a laurearsi senza perdite di tempo prezioso, che non potevamo permetterci.














giovedì, novembre 15, 2007

Che pena "Anno Zero"!


Nell’ultima trasmissione di Michele Santoro è stata scritta una delle pagine più penose della televisione di Stato, destinata a svolgere un servizio pubblico, finanziato forzosamente col canone degli abbonati, i quali però non possono interferire minimamente sulle scelte dei programmi, i quali risultano pertanto imposti dal consiglio di amministrazione per ragioni esclusivamente ideologiche o di partito.
Ora, credo che a nessuno possa essere sfuggito il fatto che il presentatore miliardario di Anno Zero si sia allestito una centrale di propaganda comunista, grazie ad un’équipe di collaboratori tanto ideologizzata quanto ignorante, con alcuni apporti di personaggi discutibili dal punto di vista morale e professionale, ma in grado di svolgere la funzione di agit-prop, per la grande causa della rivoluzione e della lotta di classe. In più qualche utile idiota si presta, una puntata sì e l’altra no, a fare il gioco del burattinaio rosso, rimanendo il più delle volte buscherato nella propria dignità e credibilità.
Nella serata dedicata ad Enzo Biagi c’era d’aspettarsi la solita provocazione all’intelligenza e al buon gusto, ma si è voluto strafare, per eccesso di bile, di rabbia antropologicamente congenita nel compagno trinariciuto, indefesso portatore di malafede, menzogne, falsità, malcelati complessi d’inferiorità ed insopprimibile carica di violenza nei confronti dell’avversario.
L'homo marxianus è portatore sano di bestiale malvagità nei confronti di chi non è allineato, non pensa per schemi, non ha portato il cervello all’ammasso dell’ideologia dogmatica, progressiva, onnipotente e salvifica di cui è fedele servitore a costo della vita (si fa per dire…) ed accresce la propria ferocia belluina, man mano che accumula ricchezza, ovviamente in modo parassitario, principalmente alle spalle del contribuente, servendosi di quelle sinecure, solitamente accordate a chi ha la fortuna di avere in tasca la tessera di un partito di regime, che consente di attingere a piene mani dalla munificenza di qualche inutile ente pubblico, segnatamente da Mamma Rai, con la conseguenza di maturare, per il denaro mal guadagnato, un acuto senso di colpa nei riguardi dei ceti deboli, al cui riscatto egli è paradigmaticamente preposto almeno a parole, convinto, da buon dritto, di poterla dare a bere al prossimo, salvando le apparenze.
La grande serata funebre, è stata un oltraggio prima di tutto per il grande giornalista scomparso, squinzagliando ai funerali i baffi da tricheco del fedele scudiero intervistatore, il quale in un attacco di monomania antiberlusconiana, chiedeva, a destra e a manca, tra i politici al seguito del feretro, che cosa volessero fare per risolvere il problema dei problemi del nostro paese, il conflitto d’interessi del capo dell’opposizione con le proprie televisioni.
Colti di sorpresa, i tapini parlamentari farfugliavano risposte senza senso, con lo sguardo attonito per la miserevole spudoratezza dell’inviato di Santoro, per il quale evidentemente il cordoglio per la dipartita di Biagi ed un minimo di rispetto per la forma erano semplici optional.
In studio, regnava un’aria semi-goliardica, con Travaglio, intento a tirar fuori dal suo vecchio repertorio battutine banalissime sui collaboratori mafiosi dell’ex presidente del consiglio e le smorfie grottesche della Guzzanti, tesa ad imitare se stessa, con un viso appesantito da un trucco degno della buonanima di Wanda Osiris, la quale, a commento dell’intervento dell’ingenuo cardinal Tonini, contestava la scelta intollerabile della Chiesa cattolica di beatificare i martiri dei massacri della guerra civile spagnola, in quanto aderenti (magari post mortem!) alla dittatura franchista.
A nulla serviva la presenza vaniloquente della parlamentare europea Gruber, che ricordava le lotte condotte all’interno della Rai per la vittoria della libertà di opinione, non si sa bene contro quali censure, considerato l’assetto bulgaro, pressochè costante dell’ente, così ben rappresentato proprio dall’ex conduttrice del TG2 e da un impacciatissimo Mentana, il quale, sistemato sul proscenio come un birillo, per evitare di essere colpito dalle palle di bowling degli interlocutori schierati a commemorare le vittime del centrodestra falciate con cinismo alla radiotelevisione, negli anni del governo Berlusconi, non trovava di meglio che cantare le gesta dei maestri di giornalismo, alla cui saggezza e competenza si era abbeverato, fin dalla più tenera età, all'interno della televisione pubblica, guardandosi bene dal rammentare le lottizzazioni dei partiti della prima repubblica, nel segno dell’immarcescibile compromesso tra Dc, Pci, Psi e la revanche presente, sotto la direzione dell’inamovibile Petruccioli.
Con un pizzico di protervia, avrebbe potuto anche chiedere dove sta scritto che la compagine che guida quel carrozzone politico-clientelare debba essere per diritto divino trasmessa da padri e figli della cosa rossa e debbano essere profumatamente pagati, senza merito alcuno, a spese dei cittadini.
Si è trattato, in definitiva, di uno spettacolino penoso, ma anche di una pagina di vergogna per chi non fa parte del popolo di beoti.

Ben tornato indimenticabile "Borghese"!


Da pochi giorni in edicola è tornato “Il Borghese“.
Il glorioso periodico fondato da Longanesi e diretto, dopo la scomparsa del geniale maestro, da Mario Tedeschi, per numerosi anni affiancato dal fior fiore dell’intelligenza non conformista, si riaffaccia con periodicità mensile, nel segno della continuità con l’illustre tradizione, per la pervicace volontà di Claudio Tedeschi, suo nuovo direttore, determinato a ristabilire il prestigio della rivista paterna, assoggettata in passato a varie iniziative editoriali, fra le quali spicca, come più commendevole, quella di Vittorio Feltri, prima della nascita di “Libero“.
Ritrovare un Tedeschi alla guida del brillante giornale anarco - conservatore, vera fucina di libertà di pensiero e di coraggiose inchieste contro il malcostume politico, non può che essere una garanzia di qualità e di nuova linfa per la stampa “no politically correct” di cui il nostro paese ha estremamente bisogno, e speriamo che, tra vecchi (nobilissimi, come Isidori e Nistri) e nuovi valenti collaboratori, l’impresa consegua, pur tra le inevitabili difficoltà di chi non ha padrini e comparaggi di sorta, la fortuna che merita.
Ce lo auguriamo di cuore, perché l’ inimitabile e straordinaria testata, ha avuto, fra l’altro il merito di formare generazion di intellettuali impegnati a contrastare le verità prefabbricate della pubblicistica e della politica marxista e partitocratica, stimolando la critica e la ricerca dell’obiettività, contro la vigliaccheria dei trasformisti e dei camaleonti, degli opportunisti e di quanti hanno l’ unica aspirazione di correre in aiuto dei vincitori di turno o dei padroni del vapore.
Abbiamo ricordi preziosi legati alla giovanile lettura e possiamo dire, oggi, che se idee liberali e moderate hanno trovato spazio in Italia, molto lo si deve all’opera svolta dal “Borghese” nel seminare i propri princìpi di etica politica, di eterodossia nei confronti dei luoghi comuni, di costante apertura alla voce delle minoranze colte e nella rivalutazione di scrittori e pensatori che, altrimenti, nella programmata azione di disinformazione e di annientamento della cultura non ufficiale e non allineata col verbo catto-comunista, sarebbero rimasti esclusi o destinati all’oblio per sempre.
Aattraverso la monopolizzazione dell’editoria, dell’arte, del cinema, della scuola, della radio e della televisione, nonchè di tutti canali privilegiati per la massificazione dell’opinione pubblica, legati direttamente od indirettamente al PCI, quale nuovo principe, al quale rendere organicamente servigi, la strada per la conquista gramsciana della società e del potere appariva senza ostacoli, senza la resistenza, via via sempre più agguerrita, di una pattuglia di redattori ed una rete di esimi ed indomiti collaboratori, dotati di chiaro intelletto e di un patrimonio d’idee forti e non contrabbandabili per alcun motivo al mondo.
E così apparivano sistematimente, accompagnati da bordate memorabili di cannone, contro la banalità e l’arroganza dei potenti, gli articoli di firme prestigiose come quelle di Prezzolini, Montanelli, Ansaldo, Furst, Nemi, Preda, Buscaroli, Giovannini, Accame, Giusti, Scalero, Brin, Peirce, Beltrametti, D’Andrea, De Biase, Guareschi, Artieri, Cirri, Quarantotto, citando alcuni nomi soltanto.
Ho vivo, nella mia mente di liceale di allora, il successo di vendite e di diffusione raggiunto negli anni sessanta dall’ebdomario più compulsato e temuto d’italia, all’indomani della caduta del governo Fanfani per un’impudente ed improvvida intervista, favorita dalla moglie dell’allora presidente del consiglio, rilasciata dal prof. La Pira, sindaco prodigo e mistico della città di Firenze, a Gianna Preda.
Ed è stampata nella mia memoria l’inizio della collaborazione, durata fino alla sua morte, di Giovannino Guareschi, dopo la brusca interruzione delle pubblicazioni di quell’altro capolavoro giornalistico che fu il ”Candido“, abbandonato senza scrupoli , per ragioni di bassa cucina politica, dal commendator Rizzoli.
La penna del popolare scrittore emiliano contribuì a rendere “Il Borghese“ un caposaldo insostituibile nella battaglia culturale condotta nei confronti del clerico-marxismo, aprendo nuove vie alla libertà d’opinione non irregimentata dalla partitocrazia, anche con critiche spregiudicate agli schieramenti di destra, in nome di valori legati alla tradizione occidentale.
Bentornato, dunque, tra noi, indimenticabile “Borghese”!

La viltà dell'Occidente


C'è qualcuno che ricorda la viltà dell'occidente, durante i moti della rivoluzione ungherese nel 1956 contro il regime comunista?Se non erro, la "ragion di stato" prevalse nel mondo libero: ero piccolo, ma la sensazione di una popolazione abbandonata a se stessa, mi è rimasta impressa nella memoria.In quella ed in tante altre occasioni, in cui le cosiddette "democrazia liberali" dovettero rimanere immobile, di fronte alle tragedie di popoli sottomessi e troppo deboli per vincere dittature repressive e sanguinarie ed omettere, anche soltanto, d' imporre sanzioni, magari simboliche, in segno di solidarietà con le vittime del totalitarismo, ho sentito il peso della sconfitta morale.
C'è voluto il crollo del muro di Berlino per consentire ai più di vedere e richiamare la verità, compresi gli ex o i post comunisti.Credo che il Capo dello Stato sia oggi sincero nei suoi atteggiamenti, così come era coerente nelle sue scelte sbagliate, durate oltre cinquantanni.Se non altro non ha perseverato nell'errore ed ha avuto il coraggio di compiere un gesto di contrizione, mostrando, nel complesso, nello svolgimento del suo incarico, la dignità del ruolo "super partes" ed il convinto rispetto per la nazione, col superamento della faziosità ideologica del suo vecchio partito.Quel che mi fa rabbrividere è chi oggi celebra la "rivoluzione d'ottobre", non avendo timore di apparire patetico e fuori dalla storia. E quel che m'indigna, ancora una volta, è l'inazione dei paesi occidentali di fronte all'imperversare delle violenze liberticide ed assassine nei confronti delle minoranze politiche e religiose.Mi riferisco agli ultimi esempi vergognosi della Birmania e della Cina nei confronti delle minoranze buddiste e del popolo tibetano.Questi stermini programmati (così come quelli contro i cristiani) possono perpetuarsi, nella pressoché totale indifferenza e non vengono minimamente contrastati, neppure boicottando adeguatamente le prossime olimpiadi, per quanto riguarda i crimini cinesi.Non è tanto l'odio che serve, ma il coraggio di combattere questi mali con la forza che necessita per tentare di cambiare le situazioni interne ed internazionali, proprio nel nome della verità e della libertà (non solo teorica).Ben vengano quindi le commemorazioni, ma cerchiamo d'imparare dalle lezioni del passato che non si difende lo stato (della libertà) "cum parole", come avrebbe detto Machiavelli, ma reagendo con i fatti, attivamente, con lucida consapevolezza e senso di responsabilità, individuale e collettiva, a quello che è sotto gli occhi di tutti, prima e dopo il crollo delle ideologie: il suicidio dell'occidente come sistema di valori universali.
P.S.
..... Ma è morta, a Budapest, anche la nostra “reazione”. Non ce n’era sulle barricate, fra i protagonisti del più bello e nobile episodio della storia europea di dopoguerra. Non ce n’era né in senso fisico, né in senso metafisico. La libertà e il socialismo che irrigidivano quelle folle nere e silenziose, compatte come macigni, contro il sopruso e l’aggressione, sono una religione nuova, incubata in un decennio di sofferenze, di cui noi non abbiamo l’idea, e che un giorno ci conquisterà: non facciamoci illusioni. Non perché essa porti “istanze” più moderne e originali, programmi più validi e arditi; ma perché porta, nell’affrontare i problemi, una serietà, un impegno, una decisione, una devozione, insomma un clima morale, di cui noialtri occidentali s’è perduto il ricordo.....
(“Esame di coscienza dinanzi al popolo ungherese” di Indro Montanelli, Corriere della sera, 25 novembre 1956)

lunedì, ottobre 22, 2007

Che tenerezza "la cosa rossa" !


La sinistra pura ed intransigente è scesa finalmente in piazza per protestare - ufficialmente - non tanto contro se stessa ed i propri rappresentanti al governo, quanto per ribadire i propri princìpi ideologici e la validità della lotta di classe, nell'epoca del crollo delle ideologie e della globalizzazione.
Una manifestazione, quella di Roma, del tutto prevedibile e un po' patetica, tesa a nascondere, soprattutto, l'impotenza dei partiti comunisti a gestire il cambiamento traumatico, che ha portato il vecchio e nuovo proletariato dalle barricate, seppure metaforiche, contro il sistema capitalistico ( in nome di un inveterato marxismo - leninismo, da custodire, nei secoli a venire, come una teca sacramentale, anche dopo la caduta verticale dell'Urss), a collaborare col Potere, in una maggioranza variegata e folcloristica, dove c'è tutto ed il contrario di tutto e le proprie limitatissime chance mettono a rischio di grave perdita, fra l'elettorato più attento, consensi e credibilità.
Il corteo, con cartelli e striscioni dagli slogan per lo più prevedibili, e dichiarazioni dei leader scontate e banali è stato, quindi, una trovata un po' ingenua per ottenere un po' di autostima, nella speranza che l'investitura della massa (tutto sommato poco corposa) dei militanti possa apportare quella forza, mancante in parlamento, per modificare un programma non contrassegnato certamente da un sostegno ai ceti deboli, ma, piuttosto, espressione delle banche, del padronato assistito, dei grandi gruppi familiari con i loro giornali e gli altri strumenti di condizionamento dell' unione e di Prodi & C.
Altro che nascita della "Casa Rossa" , altro che rivoluzione, altro che difesa dei più poveri, altro che giustizia sociale.
A vedere la decisa fisionomia dell'esuberante moglie del presidente della camera, intervenuta (manco a dirlo) a titolo personale, ed il simpatico muso da bull-dog dell'ex fascista Pietro Ingrao, si constata come nulla sia cambiato nella società e nella storia e come per i rappresentanti della classe operaia le lancette siano ferme ancora all'orologio del bolscevismo.
Gli arcaici schemi del comunismo, cosiddetto rifondato, ma, nella sostanza, sempre uguale a se stesso, hanno ormai una funzione anestetizzante e conseguono un effetto placebo.
Servono a rassicurare e confortare i poveri fedeli di una Chiesa distrutta, smarriti ma non rassegnati alla perdita della propria madre e di un'utopia sanguinolenta.
I temi della lotta al precariato, quelli per un' informazione libera, un sostegno sociale per i più disagiati, i giovani in cerca di occupazione e per quanti, giorno dopo giorno, divengono vittime sacrificali di un Cartello Bancario, capace soltanto di strangolare i cittadini con tassi usurai generalizzati, non sono appannanggio dei partiti della sinistra estrema.
Sono motivi di profonda insoddisfazione e rabbia per chi abbia a cuore il futuro del paese e delle nuove generazioni.
Il rinnovamento di un sistema sclerotizzato dal punto di vista economico e sociale, il quale ha prodotto finora l'oligarchia di caste piccole e grandi, passa attraverso l'aggregazione dei movimenti che si oppongono a questo governo corporativo e burocratico, liberticida e vampiresco.
Paradossalmente, le scritte inneggianti al ritorno di Berlusconi alla guida del parlamento, vere o fasulle che fossero nell'intento degli organizzatori, sembravano le più appropriate all'interno del raduno.
Per evitare il peggio e sperare in un cambiamento, realisticamente non resta altro che rivolgersi a chi, stando al di fuori dell'establishment plutodemagogico, interpreti l'antipolitica nel segno della società civile e delle riforme autenticamente liberali e popolari.
Per questo la "cosa rossa" fa tenerezza e merita tutta la comprensione possibile.

giovedì, ottobre 18, 2007


A leggere sui giornali le vicende private di un uomo pubblico c'è da sorprendersi.
Ci viene il dubbio che il matrimonio sia ormai un'istituzione inutile o d maneggiare con estrema cura, almeno in Europa, per ministri e capi di Stato.
Una volta si diceva che la moglie di Cesare dev'essere al di sopra di ogni sospetto!
Ora la regola non vale più.
Le mogli importanti, per una sorta di sadica forse inconsapevole vendetta nei confronti del potere esercitato dai mariti, non solo non nascondono le loro simpatie per altri uomini, altrettanto celebri come il coniuge od anche sconosciuti più o meno affascinanti, ma non nascondono neppure le proprie storie sentimentali, come nel caso di Cecilia, la moglie del Presidente francese, tanto da finire sulle prime pagine dei giornali per i tradimenti inflitti al legittimo consorte.
Non esitiamo a dire che si tratta di un peccato grave contro la morale pubblica, l'estetica, il buon gusto, il rispetto reciproco e contro l'amore per la patria così connaturata al popolo francese.
Scusate la retorica, ma noi solidarizziamo con Nicholas, che avrebbe meritato maggior scrupolo e maggiore attenzione da parte della sua first lady, dando la precedenza assoluta al divorzio sulle avventure sentimentali.
Sarebbe stato tutto più semplice se lo scioglimento del matrimonio, infatti, fosse avvenuto in sordina e prima degl'incarichi di prestigio conferiti al marito, tenuto conto che le debolezze delle femme in questione risultano commesse da un bel po' di tempo.
Ora, il personaggio dell'uomo politico più noto ed ammirato d'Europa, un uomo destinato a rinnovare le imprese di Charles De Gaulle ci sembra più fragile ed indifeso di fronte agli avversari e la sua immagine un po' appannata, per non aver saputo governare, da innamorato, le tresche della moglie financo a causa di un misero, insulso pubblicitario, benché charmant.
In altri tempi non sarebbe accaduto. La fedifraga sarebbe stata almeno ripudiata e mandata in esilio dorato all'estero per farsi dimenticare al più presto.

domenica, ottobre 14, 2007

S'ode a destra...


Un forte segnale contro l'antipolitica è giunto ieri dall'imponente manifestazione tenutasi a Roma, al Colosseo, da Alleanza nazionale sui temi incandescenti dell'oppressione fiscale e l'esigenza di sicurezza nelle città e nel Paese.


Finalmente qualcosa si muove nell'ambito della Casa delle libertà e la presenza dei circoli della Brambilla all'incontro nella capitale è un altro indizio della capacità di reagire all'immobilismo, che per troppo tempo ha caratterizzato il centro-destra, sollevando dubbi sulla sua esistenza reale nella società, tra la gente.


Il principe dei politologi dell'unione, l'onnipresente, onnisciente ed onnivoro professor Giovanni Sartori non ha mancato occasione di sottolineare, dagli spalti del Corriere e dalla televisione corriva l'avvento del grillismo come fenomeno salutare, capace di rinnovare la sinistra ormai decotta, anche in confronto ad una destra che "pensa solo a fare i soldi!"


Gli ha fatto eco il curiale opinion maker del capital-progressismo dalle colonne di Repubblica e dalla ribalta dei grandi circuiti mediatici dei poteri forti, nonché direttore del Mulino, Edmondo Berselli, raccomandando quel che rimane dell'elettorato radical chic di tenere presenti le istanze raccolte dal comico genovese, nella previsione della nascita della cosa nuova, il partito democratico, aggiornato strumento di potere per la plutodemagogia dei Caracciolo - DeBenedetti & Company.


In questo panorama, vedere affluire in piazza cinquecentomila sostenitori dell'area moderata, esponenti della intramontabile maggioranza silenziosa, discendente diretta e più copiosa della marcia dei trentamila organizzata a Torino, alla fine degli anni ottanta, da Sergio Ricossa, Antonio Martino e Gianni Marongiu, rappresenta una riconquista della scena politica ed una sorpresa positiva da parte dell'opposizione, soprattutto se sarà seguita da una organizzazione articolata e coerente e da concrete, fattive iniziative tendenti a rinnovare sul serio, alla radice, la classe politica alternativa alla maggioranza governativa, sulla base della selezione delle qualità e dell'esempio virtuoso dei comportamenti, in vista di possibili consultazioni elettorali a breve termine.


Al di fuori e contro la Casta (o le Caste) per venire incontro alle esigenze più profonde della comunità nazionale, che chiede disinteresse personale, onestà, spirito di servizio e senso dello Stato da parte dei rappresentanti politici, a tutti i livelli dell'amministrazione pubblica.


Ci sarà spazio per superare le contraddizioni e gli ostacoli della partitocrazia?


Tutto dipenderà da quanto, in campo, riuscirà a fare il popolo della Casa delle libertà, un movimento nato, ricordiamolo, per vincere le oligarchie di chi non avendo ideali, ma sete di potere, soffocava le energie del consorzio civile, all'ombra di tangentopoli.


Intanto ci pare che i temi sollevati da Fini costituiscano punti di un programma condivisibile e da perseguire col contributo di tutti gli appartenenti al centro-destra, per realizzare una svolta efficace ed attuare un ammodernamento effettivo del sistema: tassazione proporzionale ai servizi che lo Stato fornirà al cittadino; lotta per la legalità e contro le infiltrazioni mafiose nell'economia e negli apparati amministrativi e dei partiti; difesa della libertà e riforma della giustizia a fronte di un riconoscimento della responsabilità e dei doveri individuali; meritocrazia e solidarietà; istituzioni rivolte all'interesse nazionale e quindi superamento degli egoismi e delle conflittualità di classe; rinvigorimento della cultura anti-utopistica e post-sessantottina; una nuova disciplina dell'immigrazione dei lavoratori stranieri, che limiti la delinquenza e favorisca l'inserimento nell'ambito produttivo, a parità di diritti con i cittadini italiani, secondo le possibilità offerte dal mercato; un'attenta presa di posizione contro le speculazioni finanziarie del grande Capitale, funzionale, soprattutto, all'attuale Governo ed incentivi mirati per l'impresa, le famiglie, gli anziani ed i giovani.


Dalle parole del leader di An e dalle immagini di un pubblico intergenerazionale ed interpartitico, entusiata e motivato, si è avuta l'impressione che la riscossa della Politica vera, limpida, capace di ricreare ideali, con nuovi fermenti per un'Italia identitaria e futuribile, continuatrice di una rispettata tradizione storica e culturale nell'ambito europeo, sia ancora possibile.


Sta alle varie componenti del "Partito della Libertà" sviluppare dal basso la scintilla di nuove aspettative ed impegni elevati, a dispetto della supponenza dei vari Sartori e Berselli.

venerdì, ottobre 12, 2007

Ci sono giudici ad Hannover!


Sbaglierebbe chi si affrettasse a dare valutazioni negative sulla sentenza che ha riconosciuto attenuanti etniche e culturali a Maurizio Puxeddu da Cagliari, il cameriere ventinovenne che ha compiuto violenze di vario tipo nei confronti dell'ex fidanzata lituana, colpevole a quanto pare di tradimento.


Purtroppo sull'onda dei commenti della stampa, improvvisati ed approssimativi come accade a volte, quando la notizia è ghiotta e suscettibile di valutazioni politiche, più che tecniche, la televisione ed i giornali hanno avuto il destro di accusare di razzismo ed arretratezza mentale il povero giudice di Hannover, il quale oltre ad avere il torto di essere tedesco è anche un barone della vecchia aristocrazia germanica.


Facile dire che, avendo a che fare con due stranieri, un italo-sardo ed una lituana, non gl' importasse poi molto di fare giustizia seria ed appropriata al caso concreto.


Forse, si penserà, è un segreto ammiratore del conte di Gobineau e del divin marchese, un personaggio che in camera di consiglio si esalta di fronte alle brutture commesse dall'imputato ai danni di una donna e, pertanto, non sia da escludere, per tali motivi una propensione ideologica allo sconto di pena per ragioni etnico-sessuali.


Ma siamo sicuri che la fattispecie giuridica sia proprio quella descritta dai mass media?


Non è la prima volta che il giornalismo gridato e direttori zelanti, ultrasensibili ai temi dell'eguaglianza prendano grossi granchi e siano costretti, successivamente, a ritrattare o correggere le proprie avventate opinioni come i trinariciuti di guareschiana memoria.


Accade per le sentenze emesse in Italia e figuriamoci se non possa capitare per le decisioni della magistratura straniera, specialmente se crucca.


Buon senso avrebbe voluto che, prima di precipitarsi a firmare mozioni di condanna per presunte discriminazioni, onorevoli, senatori, giornalisti e sociologi e qualche giurista distratto avessero letto la sentenza, non ancora tradotta in italiano, e si fossero riferiti alla giurisprudenza (e alla dottrina penalistica tedesca) intervenuta per decidere casi analoghi, anche con imputati o vittime tedeschi, magari bavaresi.


La portavoce del giudice, ora sotto accusa, ha infatti reso noto che il verdetto non discrimina in base a criteri razziali, ma è coerente applicazione delle attenuanti previste dall'ordinamento tedesco nei confronti di qualsiasi responsabile fosse pure nato, cresciuto ed educato in Baviera, aggiungendo fra l'altro che lo sconto di due anni al turpe cagliaritano non declassa la pena, di per sé rientrante nella fascia medio- alta delle sanzioni.


Prima di continuare a strepitare ed assumere iniziative inopportune, si renderebbe necessaria una valutazione attenta dei fatti e e delle norme discendendenti dalla cultura del cosiddetto delitto storico, richiamato saggiamente dall'emerito Prof. Cossiga.


Egli da corretto costituzionalista ha affermato che i principi a cui si è rifatto il magistrato di Hannover si riferiscono alla cultura di una regione (concetto applicabile a qualsiasi regione del mondo), con le sue peculiarità storiche ed ambientali, costituenti un portato oggettivo del costume e della mentalità di una popolazione, e non certamente al singolo individuo.


Quindi, per l'ex Presidente della Repubblica, si tratta di regulae juris, derivanti da una particolare concezione giuridica di scuola tedesca, che hanno trovato spazio razionale nella sentenza, e non di razzismo nei confronti dei sardi.


Questi ultimi, d'altra parte, ben conoscendo il costume matriarcale dell'isola e il rispetto secolare dovuto alla donna perfino dal banditismo tradizionale, avrebbero attuato a carico del colpevole le prescrizioni dettate dal diritto barbaricino, che non prevede giustificazione alcuna in subiecta materia.


Un consiglio disinteressato al Puxeddu e alla sua avvocata ci sentiremmo comunque di darlo: l'imputato sconti la pena in Germania e cambi possibilmente identità.


Se dovesse rientrare nella sua terra, non sarebbe accolto affabilmente come capitò (al termine della lunga detenzione) al fuorilegge- gentiluomo Graziano Mesina, il quale ha sempre
considerato, da buon balente, semplicemente abominevole il sequestro di una donna.

giovedì, ottobre 11, 2007

Le donne amano soprattutto...il matrimonio


Nel giro di pochi mesi, due mie ex, che spasimavano d'amore per me, si sono convertite ad altri partner.

Come mai?


Semplice.

Pur non avendo una grande attrazione per i miei succedanei, né fisica né mentale né sentimentale né culturale né emotiva, essi avevano un asso nella manica: la dichiarazione di matrimonio!

Una carta per me semisconosciuta.

Dopo la mia prima esperienza giovanile, infatti, di cui porto ancora i segni visibili ed un trauma gravissimo post-suocera (che Dio la protegga, beninteso...), non ho avuto più la forza di ripensare allo sposalizio.

Per me, la convivenza basta ed avanza ed è la forma più elevata di lealtà ed affetto verso l'altro o l'altra.


La natura umana è ipocritamente convertibile alla schiavitu'.


Una variante del servilismo tipica di certi maschi è, per l'appunto, la prostrazione ai piedi di una donna (per altri versi irraggiungibile) con una richiesta antiquata ma sempre efficace che si condensa in due parole: Voglio sposarti!


E la donna - che mantiene dentro di sé l'inclinazione romantica ed, al tempo stesso, pragmatica alla vita coniugale - di fronte ad un'affermazione del genere, capitola volentieri e repentinamente.


Soprattutto di questi tempi, poco propizi all'istituto matrimoniale, ma pur sempre aperti al trionfo della norma, della regola, della convenzione e ... del compromesso (storico o no), non c'è strumento migliore per accattivare la simpatia e l'attenzione, ottenere la comprensione ed il consenso femminile.


Se poi l'evento avviene in chiesa, si raggiunge l'apoteosi (uno, indissolubile, categorico è il matrimonio cattolico: chi si unisce col rito apostolico e romano è come suol dirsi in una botte di ferro!).

E l'amore? Direte voi.

Per quello c'è sempre tempo e spazio, ma viene in seconda linea, dopo i fiori d'arancio e la genuflessione...

mercoledì, ottobre 10, 2007

La Sardegna è un continente



Pino Arlacchi, professore di sociologia presso l’Università di Sassari, ha dato recentemente alle stampe un libro interessante, che raccoglie i risultati di studi e ricerche, condotti per lungo tempo sul campo e che si rivelano esemplari per la conoscenza della società sarda e dei suoi rapporti con la tradizione, il costume, l’economia e la criminalità, mettendo in evidenza e confermando quel che da molti è considerato l’aspetto fondamentale dell’isola, quello di caratterizzarsi come un piccolo continente.


Il volume reca il titolo significativo “Perché non c’è la mafia in Sardegna" e costituisce una presa d’atto importante, per distinguere i connotati di una regione mediterranea, che pur avendo legami correnti e collegamenti saldi con il resto dell’Europa, mantiene un ruolo assolutamente originale riuscendo a coniugare le proprie antichissime radici di eminente civiltà pastorale con il progresso, la modernità, la globalizzazione.


Conservare la propria identità culturale, la quale affonda la sua storia nel mondo classico e deriva il proprio ethos direttamente da Omero e dalle repubbliche montanare di Braudel è già di per sé un fatto notevole nell’età del globalismo.
Se poi si aggiunge che i fenomeni della delinquenza organizzata di tipo mafioso, nonostante i tentativi di colonizzazione, non hanno avuto mai la possibilità di realizzarsi in questa terra, a causa della persistente attitudine alla costante resistenza contro le dominazioni (secondo una tesi ampiamente accreditata sul piano storico-scientifico e segnatamente riaffermata dal noto archeologo Virgilio Lilliu, per il quale ” i sardi, nella confusione etnica e culturale che li ha inondati per millenni, sono riemersi costantemente nella fedeltà alle origini autentiche e pure”), si delinea un quadro di civiltà autoctona, che costituisce un’eccezione rimarchevole nel panorama generale, piuttosto deprimente, delle connessioni tra mafia, affari, politica, economia, che non hanno risparmiato neppure regioni ritenute apparentemente impermeabili a tali infiltrazioni criminali, come per esempio la Val d’Aosta.


L’opera, fra i vari pregi, presenta quello di contribuire a convalidare alcuni esiti scientifici, acquisiti in anni di sofferte fatiche intellettuali da eccellenti studiosi come Antonio Pigliaru, incisivo filosofo del diritto e magistrale ricercatore dei tratti distintivi del cosiddetto pastoralismo (o il mondo del “noi pastori”, fondato, prima dello Stato ed in alternativa allo stesso, sul codice comportamentale barbaricino, un vero e proprio ordinamento giuridico, nato all’interno della Barbagia, sul quale si è retta per secoli, ed in parte tuttora si regge la vita sociale, assicurando sistematicamente e tenacemente il rispetto della dignità della persona (l’onore) e della giustizia sostanziale (la vendetta biblica) nella comunità sarda (al pari della celebrata Carta de logu, frutto della sapienza giuridica medievale , che ha informato di sé il costume isolano fino alle soglie dell’età moderna con notevoli influenze sulla elaborazione codicistica del nostro paese).


L’osservatorio privilegiato dall’indagine sociologica dell’autore è il tessuto di un’economia autosufficiente, basata sullo scambio non classista e la coesione fra i vari ceti, nel segno della generosità, del dono reciproco e della solidarietà, dove l’imprimatur capitalistico ha consentito l’evoluzione del sistema di produzione, senza determinare conflitti sociali.


La differenza tra la Sardegna e le regioni meridionali colpite dalla delinquenza organizzata (Campania, Calabria, Basilicata, Puglia e Sicilia) consiste soprattutto nella visione elementare, diremmo istintiva, del diritto da parte della popolazione.


Il codice d’onore delle società segrete ( mafia, ‘ndrangheta, camorra, etc.) è volto principalmente al predominio e all’oppressione sul proprio simile, senz’alcun rapporto con i valori della giustizia.
L’ anarchia ordinata del codice barbaricino, nasce viceversa dall’esigenza dell’autogiustizia e, come sottolinea egregiamente Arlacchi, ”dall’irriducibilità dei sardi alla subordinazione nei confronti della forza altrui“.

giovedì, ottobre 04, 2007

Toscani e la moda


Oliviero Toscani non mi piace.

E' un personaggio ambiguo, che gioca sull'equivoco: le sue immagini choc banalizzano il male che vorrebbe combattere.

Alla fine, è solo un'operazione commerciale una foto che rappresenta la sofferenza e la diversità.

Mettere in evidenza la figura di un'anoressica non serve a richiamare l'attenzione sulla malattia, ma a renderla accettabile, ordinaria, usuale, banale ed a fornire un alibi morale agli stilisti che disegnano abiti per taglie normali o forti.

Non è un caso che i manifesti di Toscani abbiano sempre una connessione con qualche trovata mercantile, che si accompagna o segue le foto eclatanti, che contrappuntano la sua carriera di fotografo.

Tra qualche anno, magari, sarà la volta di una bulimica a segnare il ritorno all'esile al sottile al filiforme nelle passerelle di nuovi modelli
...

"Ragazzo" di Massimo Fini


Non è la storia di una vecchiaia, come vorrebbe far intendere il sottotitolo, che Massimo Fini ha voluto dare al suo ultimo libro.

Si tratta piuttosto della vivace e drammatica autobiografia di un ribelle, giornalista-scrittore, della generazione del sessantotto, un periodo che appartiene, com'egli riconosce, alla storia minuscola dell'Italia e dell'Europa occidentale.

Vivace la scrittura e l'indubitata intelligenza dell'autore, il quale però è afflitto dal mal de vivre fin dalla nascita.

I risultati del suo catastrofico pessimismo e del suo irrimedibile cinismo sono evidenti in ogni pagina del pamphlet agile, scorrevole, denso di episodi interessanti e percorso da un infantilismo un po' narcisista, da una consapevolezza "dolorosamente innocente" dal punto di vista morale.

Siamo estimatori di Fini per la sua opera di acuta e profonda divulgazione storico-filosofica non conformista e le sue prese di posizione non politically correct, che ne fanno uno dei pochi esemplari d'intellettuale libero e coraggioso del nostro tempo.

Il guaio è che la sua generazione (a cui appartiene anche Giampiero Mughini, geniale megalomane , incessante ricercatore del senso nascosto dei formidabili anni della contestazione dei figli di papà...) non ha avuto esperienze di grande rilievo culturale e di costume, come quella dei padri.

La cesura nasce nel secondo dopoguerra e negli anni della democrazia ritrovata, e quasi immediatamente trasformata in partitocrazia, in quelli del consumismo di massa, dell'omologazione, della perdita dell'identità e di ogni gerarchia valoriale, un'età in cui trionfa l'etica del signorino soddisfatto, come chiamava Ortega y Gasset l'avvento al potere della folla indistinta ed informe, senza educazione né princìpi.

E' l'epoca durante la quale si consolida il mito del guadagno ad ogni costo, del denaro come simbolo del successo e la progressiva secolarizzazione della società, insoddisfatta dei limiti imposti da una civiltà agro-pastorale, radicata nella campagna o nel borgo e nei valori pre-industriali, scarsa di beni materiali, ma, tutto sommato, economicamente autosufficiente ed ancora legata con un filo sottile all'ethos classico, nonostante l'avanzare della rivoluzione capitalistica e della modernizzazione.

Ci sono ricordi memorabili in Massimo Fini, espressi con la nostalgia, appena accennata, della propria famiglia e, soprattutto, s'intravedono i lasciti di emozioni ed attitudini, convinzioni e scelte ideali, elaborati anche attraverso le vicende sociali cui hanno attinto i suoi genitori, lasciando tracce profonde nel suo carattere.

Il babbo, direttore di giornale, ha vissuto la tragedia della guerra e il dramma della palingenesi politica del fascismo e della resistenza.

E a lui, al figlio, quei grandi eventi con il carico di responsabilità individuale e d'insegnamenti elevati (all'onore, alle virtù civiche, al coraggio, alla coerenza e all'onestà intellettuale) sono invece stati negati per ragioni temporali.

Vive ed ha vissuto in un periodo di banale conformismo, di snobismi piccolo-borghesi, d'ipocrisia sociale, senz'aver avuto la possibilità eroica di un riscatto dal grigiore e dal tran tran quotidiano.

Ha avuto la fortuna di aver trascorso un'infanzia dorata, da cui è faticoso staccarsi: ne sono prova le iperboli che punteggiano il libro ed i giudizi impietosi e sommari distribuiti ad amici, amiche, personaggi noti e meno noti, con la stizza di chi, stancatosi del giocattolo divenuto noioso, vuole farlo a pezzi per vedere cosa c'è dentro (ma non si nasconde alcunché d'interessante all'interno di esso).

Al termine della lettura, lascia disperati il suo accanirsi contro la vecchiaia e verso la vita che scorre inevitabilmente, travolgendo tutti in un mare oscuro, nel nulla ineluttabile.

Dispera la sua disperazione così netta ed inflessibile, senza il soffio di una fede, neppure alimentata dall'ansia del mistero della morte e di un possibile assoluto.

Fini è nato ateo.

Forse è un pagano a cui è rifiutata la visione dei Campi Elisi, popolati da divinità ed eroi, un paesaggio incantato a cui accede solo l'anima immortale.

Non ha nessun dubbio.

La sacralità della vita, il senso religioso non trovano spazio nel suo patrimonio spirituale.

Colpa del sessantotto, oseremmo dire, con i suoi lumi riflessi di materialismo storico e determinismo meccanicistico, che fanno tabula rasa di qualsiasi sentimento trascendente e, perfino, dello spirito di ricerca del vero, del bello e del buono, del più sottile e problematico agnosticismo.

La sua critica al mondo è senz'appello: meglio sarebbe non essere mai nati.

Nonostante questi limiti e le stigmate di una generazione incolpevolmente orfana di elevato sentire, per la quale il sesso, il denaro, la psicanalisi e la sociologia costituiscono tutto l'universo, il nostro autore mantiene un nobile distacco dalle viltà contemporanee e si fa apprezzare per le sue qualità d'altri tempi: la sincerità sfontata, il desiderio di libertà, il senso della giustizia, la ricerca della verità effettuale.

Alle conclusioni negative cui perviene, vorremmo non fosse mai arrivato.

A nostro conforto, per bilanciare il disappunto dello scacco, rimangono le figure di vecchi fusti, malfermi in salute e con mille acciacchi, ma avvolti nella splendida luce di saggezza, spiritualità, ostinatezza ed amore, nell'affrontare i giorni e le stagioni che passano.

Uomini, donne comuni e personaggi pubblici, individui anonimi e celebrità nei più svariati campi, i quali mantengono, nonostante tutto, il piglio dell'adolescenza.

Che avrebbe detto Marguerite Yourcenar delle tesi nichiliste del libro?

Lei, amante del mondo classico, dal raffinatissimo senso estetico, dalla chiara ragione e dalla curiosità inesauribile, non credente, ma con l'anima permeata dal sacro: ineguagliabile femme savante volle vivere fino in fondo la propria unica esistenza ( unica come quella di ognuno di noi) ad occhi aperti.

lunedì, ottobre 01, 2007

Flores D'Arcais e Maranini


Paolo Flores D’Arcais ha avuto buon gioco a difendere Beppe Grillo, anche con politologi del livello di Gianfranco Pasquino, nella trasmissione di Ferrara dedicata al V-day.


Mi ha colpito come, con argomentare serrato e inappuntabile, il direttore di “Micromega”, pur provenendo dalla fazione comunista, cui appartenne in età giovanile, parli a ruota libera della partitocrazia, termine impronunciabile trentanni addietro.


Chi l’avrebbe detto che la parola coniata dall’illustre costituzionalista Giuseppe Maranini, negli anni settanta o giù di lì, sarebbe divenuta usuale nel linguaggio dei post marxisti?


Pronunciarla allora equivaleva ad una bestemmia, oggi non meraviglia più nessuno, anche se la sua etimologia politica rimane nascosta ai più.


Bene. Speriamo che prolifichi ancora, nell’interesse di una riforma seria, profonda ed autentica delle istituzioni
.

lunedì, settembre 17, 2007

Grillo? Perché no?


Confesso di aver ammirato Grillo come attor comico e di averlo detestato quando cominciò ad occuparsi di politica.


Il suo blog l'ho letto e contestato e non mi sarei aspettato alcuna evoluzione nel suo atteggiamento mentale.


Dopo l' 8 settembre le cose sembrano cambiare nel suo modo di vedere la politica e mi pare un passaggio positivo.


La partitocrazia ormai nessuno la criticava più e nessuno metteva nei propri programmi il suo abbattimento, quanto mai necessario per un effettivo rinnovamento sociale.


Non dico che passerei armi e bagagli con lui senz'aver verificato i punti qualificanti del suo programma che apparirà sul suo blog tra qualche giorno, ma ci sto facendo un pensierino sopra.


Si vedrà.


Se - oltre alle flebili voci di autentici contestatori del malaffare dei partiti come Massimo Fini - ci sarà un movimento che affronta seriamente il problema dei problemi del nostro paese -costituito dalla nomenklatura che ci governa come un'oligarchia e che ci riduce in schiavitù ogni giorno che passa utilizzando, con intenti onesti, persone competenti e libere ( a cominciare dalle liste civiche), ritengo sia compito di ogni cittadino dabbene prestare la dovuta attenzione e dare il proprio, piccolo o grande, contributo, per la demolizione sistematica dei privilegi della classe cosiddetta dirigente, arrogante e delegittimata -la quale ha finora badato ai propri comodi, piuttosto che all'interesse del cittadino, burocratizzando sempre di più i rapporti tra potere e sudditi, e sperperando il denaro pubblico.


E allora dico: Grillo? Perché no?


Al di fuori dei vieti schemi della destra e della sinistra, ben venga una rivoluzione culturale, autentica e libertaria, che spazzi via i cialtroni che non ci rappresentano e che ci opprimono.


Attendiamo il nuovo progetto e poi valutiamo e decidiamo di conseguenza.


Intanto, evviva il vaffanculo day!

domenica, settembre 16, 2007

Monsieur Ibrahim ed i fiori del Corano



Un film del 2003 di Francois Pupeyron ha colpito oggi la mia attenzione.

Una tematica intelligente sviluppata con sobrietà d'immagini e di dialoghi, composti con eleganza e sensibilità ed un'eccellente interpretazione di Omar Sharif nella Parigi degli anni sessanta.

Una storia delicata incentrata sul legame che si sviluppa tra un commerciante mussulmano ed un ragazzo di nome Mosè, abbandonato in tempi diversi da madre e padre.


Col diminutivo di Momo, l'adulto negoziante, dotato di grande saggezza e di un patrimonio di emozioni ricco ed esemplare, chiama il giovinetto accattivandosene la simpatia e la stima.


A poco a poco diventa il suo genitore putativo trasmettendo tutto ciò che ha imparato dalla vita ed aprendo una strada imprevista per il figlio adottivo, che continuerà il mestiere di chi l'ha adottato con amore e spirito benevolo verso il mondo.


Un bel film contrappuntato da musiche degli anni antecedenti il sessantotto. Sembrano trascorsi dei millenni dalla rivoluzione del maggio francese.


Eppure le parole tratte dai fiori del Corano sono lì ad indicare percorsi dimenticati ma sempre sicuri: "La lentezza è il segreto della felicità"dice prima di concludere la propria esistenza Monsieur Ibrahim al figlio, "non la ricchezza!"


C'è da sbigottirsi, ma anche da nutrire qualche speranza...

mercoledì, settembre 12, 2007

Il paradiso...




Consiglio a me stesso e a chi volesse approfondire l'argomento la lettura di un romanzo ambientato in Colombia, dal titolo intrigante e per ciò stesso attraente:
"Senza tette non c'è paradiso".



Chissà, magari è anche un libro elegantemente erotico: Il che di questi tempi non è poco.



L'autore si chiama Bolivar, la casa editrice è La Feltrinelli e la critica (per quel che vale) se ne sta occupando...

lunedì, settembre 10, 2007

Una corazza per l'autunno


Prepariamoci all'autunno. Sarà dura.


La corazza da indossare ci consentirà di affrontare le difficoltà che l'instabilità del governo e dell'economia ed i fermenti sociali, sempre più in ebollizione per il disagio in aumento nelle classi medio-piccole?


Difficile dirlo.

Come si fa ad affrontare il deficit della spesa pubblica, senz'aumentare le tasse?


E perché il contribuente si deve convincere che ciò sia un bene per tutti, quando manca la trasparenza a tutti i livelli ed, in primo luogo, sull'uso del denaro pubblico?


L'idea che i governanti non siano all'altezza della loro funzione e che i governati costituiscano, ogni giorno di più, una moltitudine di pecore da tosare o di polli da spennare si fa sempre più certezza.


La sociologia classica, quella di pensatori come Pareto, Mosca, Michaels, è un libro aperto per spiegare che in Italia non c'è selezione democratica, per l'elezione dei rappresentanti del popolo, i quali costituiscono sempre più una nomenklatura, preoccupata più della propria sopravvivenza, piuttosto che del benessere della società.


Se così non fosse, non ci sarebbe l'affannosa rincorsa alla cosiddetta collegialità, che vuol dire semplicemente ricerca di un compromesso tra varie componenti della maggioranza (?) in perenne conflitto tra loro.

Che senso ha?


Un leader si elegge perchè nell'arco della legislatura decida per attuare il programma votato dagli elettori, i quali, al termine della stessa, dovranno poi approvare o no ciò che è stato realizzato.


La stabilità è la premessa indispensabile per un'azione costruttiva di governo; ma se all'interno di questa compagine non c'è coesione ed unità d'intenti, che ci stanno a fare onorevoli e senatori, se non per conservare il cadreghino alla faccia della sovranità popolare?


L'8 settembre è appena passato, ma nessuno pensa che sia meglio che tutti vadano a casa per nuove elezioni: sarebbe un atto di dignità andare al referendum elettorale o approvare una nuova ed efficace legge in materia ; si tratterebbe di un gesto di rispetto per la volontà dei cittadini, i quali, siano di destra o di sinistra, non hanno più alcuna voglia di essere presi per i fondelli.


Qualsiasi corazza servirebbe a ben poco in una situazione degradata come la nostra e non è più di tempo di turarsi il naso come ai tempi della cosiddetta prima Repubblica.

sabato, settembre 08, 2007

Il pene nell' astuccio


Scusate l'irriverenza del titolo, ma non c'è altro modo per ricordare che al mondo esistono ancora tribù primitive da farci dubitare dell'evoluzionismo e della solidità delle teorie di Darwin.

In Papua esistono ancora le tribù dei Dani, che vanno in giro con il proprio membro racchiuso in un astuccio di forma conica rovesciata (chissà perché?) a dimostrazione del fatto che, nella comunità, oltre ad aversi un'indiscutibile supremazia degli uomini sulle donne, esiste tra i maschi una gerarchia legata alle dimensioni del pene.

Si tratta di un costume che, nonostante le incursioni della globalizzazione e della civiltà mediatica, resiste indomito contro tutte le tendenze contemporanee occidentali, che tendono a privilegiare l'assoluta parità tra i sessi, se non la superiorità femminile.

I reportàges fotografici e gli studi antropologici mettono in evidenza la regola che disciplina la convivenza dei Dani e l'assoluta chiusura degli stessi al mondo progredito, che da parecchio tempo ormai condanna inesorabilmente qualsiasi sistema basato sul machismo e sul potere dei genitali maschili.

Il bello è che da quando la scoperta di una popolazione siffatta ha raggiunto le luci della ribalta del turismo di massa, miriadi di evolute signore e signorine migrano, specialmente nel periodo estivo, in quei lidi lontani per ammirare, insieme all' incontaminata bellezza della natura della sperduta Papuasia, anche il misterioso fascino degli astucci penici portati spavaldamente da individui di una bruttezza aghiacciante, ma super dotati, in varia misura, di un'asta virile mai vista sulle contrade del resto dell'universo.

Ma l'invidia del pene non era stata sconfitta da decenni al grido "l'utero è mio e me lo gestisco io"?

Misteri della modernità destinati a rimanere senza risposta.

domenica, settembre 02, 2007

Pietro Citati ha ragione




Pietro Citati ha ragione a rifiutare il Tu generalizzato, esempio di maleducazione e di scorrettezza linguistica, frutto di un giovanilismo esasperato e di profonda mancanza di attenzione per il prossimo e la comunità.

Sotto la falsa impressione di una confidenza regalata a piene mani al primo venuto, quale criterio universale dell'approccio democratico, per troppo tempo abbiamo dovuto tutti , chi più chi meno, subire la violenza morale di una continuata e feroce lesione della personalità e dell'Io più recondito.

I regimi totalitari, per incoraggiare il livellamento tra gli individui ed abolire le differenze di classe, e soprattutto quelle naturali e biologiche, hanno inventato l'uso incondizionato del pronome più ambiguo e pericoloso, il vero cavallo di troia per l'abolizione del rispetto tra gl'individui e l'introduzione della schiavitu' psicologica tra il potere ed i sudditi.

Arrivare a darsi del tu, un tempo, era una conquista: significava donare e meritare fiducia, avere debitamente constatato affinità e sicura propensione ad una buona e proficua frequentazione tra soggetti diversi, ma dotati della possibilità di stringere autentica amicizia, spirito di colleganza, senso di solidarietà.

Frutto di un sessantotto sgangherato e male interpretato, si è affermata un'abitudine spicciativa e volgare, che perfino Palmiro Togliatti disdegnava, con sprezzante senso del distacco dai militanti del partito dell'eguaglianza per antonomasia: il vecchio partito comunista-marxista-leninista.

Ci voleva uno scrittore colto e raffinato, dotato di una visione illuminata del mondo, a prendere il coraggio di condannare, pubblicamente e con fermezza, ancor più ammirevole, in un'epoca di assoluta promiscuità e contaminazione incalzante e pervasiva, questa pervicace e perniciosa diffusione del tu - miserabile viatico di ogni nefandezza proditoria, di ogni purulenta ed infettante intimità a tutti i livelli sociali, familiari, interpersonali, stolidamente incoraggiata fin dai banchi di scuola, con i poveri e maleodoranti esempi di un insegnamento privo di fondamenti civili e pedagogici, e massivamente rappresentato da classi di docenti, i quali hanno tutto da imparare e ben poco, o nulla, da insegnare.

Con questa presa di posizione, Citati ha guadagnato ancora stima e considerazione, per gli anni a venire, da parte di quanti respingono l'omologazione dei modelli e la massificazione dei comportamenti.

mercoledì, agosto 29, 2007

Intellettuali e potere



Non voglio addentrarmi in una disamina esauriente dell’argomento, già affrontato da Gramsci e Benda, da punti di vista diametralmente opposti.

Mi limito quindi ad una breve notazione, a margine di alcuni concetti espressi da Giordano Bruno Guerri e da Paolo Granzotto, tanto per mettere a fuoco il tema centrale della libertà intellettuale nei confronti della partitocrazia.

Per chi non voglia essere organico al “Principe” (abbandonerei la distinzione desueta tra destra e sinistra…)ci sarà sempre una fondamentale difficoltà nei rapporti con i partiti, in quanto l’intellettuale o l’uomo di cultura “libero” svolge la naturale funzione di “critico del potere” ed è per tale motivo malamente tollerato dalla “politica politicante”, che lo vede come un rompiscatole od un ostacolo per la propria supremazia e cerca pertanto di metterlo sistematicamente fuori gioco.

Peraltro, se i partiti, drammaticamente contrapposti oggi alla società civile, non raccoglieranno la sfida proposta dal cittadino comune, aprendosi alle istanze rappresentate proprio dagli spiriti lucidi ed indipendenti, non asserviti a cosche o camarille, vedranno aumentare la restrizione dei propri spazi, a tutto vantaggio dell’antipolitica.

La palla, per così dire, passa in mano a chi vuole effettivamente promuovere il rinnovamento sociale e non bada soltanto a raccattare voti con espedienti, più o meno appariscenti, di semplice maquillàge o chirurgia estetica.

martedì, agosto 28, 2007

Einaudi e le tasse



Ha ricordato, in un recente articolo, Paolo del Debbio, le distinzioni di Luigi Einaudi in materia di tasse e tassazione.
Secondo l’economista di Dogliani, esistono le tasse «economiche» e le tasse «grandine».
Le prime sono quelle che il contribuente apprezza come utili perché ne vede un ritorno per sé e per la società in termini di servizi e anche di incentivi allo sviluppo economico. Sono tasse che fanno bene.
Quelle che Einaudi chiama invece «grandine», si abbattono sull’economia nazionale come la pioggia sulle coltivazioni: la deprimono, quando non la distruggono.
Sono concetti semplici.
Perché non si tengono presenti quando si amministra il popolo?
Maliziosamente siamo portati a pensare che le somme sottratte al contribuenti non finanzino tanto i servizi ed incoraggino l’economia, quanto un apparato ed una nomenklatura, che
ha fatto dello Stato un affare meramente privato, in funzione dei partiti e delle oligarchie che li rappresentano.

Fanny ed il terrorismo


Come si fa a criticare Fanny Ardant?

Se si fa è perché si è obbligati.

Un mito è difficile che crolli, nonostante gli errori commessi.

L’abbiamo fatto in passato, per essersi prestata all’interpretazione della protagonista del film “L’odore del sangue” di un celebre sconosciuto regista napoletano: mise a repentaglio il suo patrimonio d’intelligenza e di eleganza con scene insulse e volgarotte.

Oggi, che leggiamo le sue parole sul terrorismo, rimaniamo interdetti, soprattutto per gli echi fanatizzanti che può suscitare il suo dire un po’confuso.

Ma quando la vediamo sulle pagine dei giornali o in qualche replay televisivo, non possiamo fare a meno di passare sopra a qualche sua superficialità.

Come si fa a non sorvolare su imprecisioni, inesattezzea storiche o a qualche grossolana valutazione sfuggitale dalla bocca ?

Sì, Fanny rimane l’immagine peccaminosa ed accattivante della nostra adolescenza, la seduzione fatta persona, non bellissima, ma l’essenza stessa del glamour.
A lei si può perdonare tutto.

sabato, agosto 25, 2007

Un Parente (bruttino) di Sgarbi



Non conoscevo la persona dello scrittore Parente, se non dagli articoli che pubblica su vari quotidiani e settimanali, sorprendentti per le affermazioni non banali, ma neanche troppo originali, peraltro esposte con corretto linguaggio e forma brillante.

A vederlo in TV per la prima volta, mi ha sconcertato invece la somiglianza nella voce, nei modi e nella fisionomia con Vittorio Sgarbi.

Massimiliano Parente, ad onta del nome imponente, ha le fattezze più grossolane, i capelli irti come un riccio, ma se lo si sente parlare soltanto, senz'apparire in video, da' l'impressione di essere il fratello minore del celebre critico.

E' giovane e migliorerà senz'altro il suo approccio col pubblico: imparerà a misurare parole e concetti, quando la carica narcisistica avrà lasciato il posto ad una matura visione delle cose.

Per ora bisogna accontentarsi.

Non va al mare il giovane scrittore, poi è solidale con Pannella, e cita doviziosamente Leopardi.
Tre fattori positivi.

Ha gli occhiali rettangolari, la spuma nei capelli e agita braccia coperte da camicie sbottonate ai polsi.
Tre elementi negativi.

Il lato peggiore consiste, peraltro, proprio nell'imitare Sgarbi.
Lasci perdere quell'esempio, Parente. Il pubblico è già troppo paziente con il primo figuro, geniale e bizzarro, ma anche troppo ossessivo-compulsivo per potersi concedere un doppione, meno colto e bruttino.