venerdì, aprile 06, 2012

La Pasqua lontana



 Ad andare a ritroso con la memoria, viene alla mente una Pasqua lontana: una festa da celebrare in comunità, in famiglia, con gli amici, nel segno di una tradizione antica, che forse si sta perdendo per sempre.

La settimana santa era uno spettacolo per l’anima semplice: le campane mute, i sepolcri, la processione e l’attesa della Resurrezione la domenica mattina, dopo la messa della mezzanotte, durante la quale, accoccolati su una sedia di paglia della parrocchia, dietro i banchi affollati da famiglie intere di fedeli o presunti tali, era facile addormentarsi durante la lunga rituale veglia solenne accompagnata da una predica lunghissima dal pulpito del monsignore, oppure durante la messa del mezzogiorno successivo, nella cappella delle suore dedicata alla Vergine Maria, un ambiente più raccolto, intimo ed accogliente col suo sepolcro e le insegne della via crucis lungo le pareti.

In ogni caso era il clima festoso il vero protagonista.

Dopo il preannuncio della domenica precedente con le palme innalzate al cielo nell’attesa della grande gioia del mistero del ritorno alla vita.
Quella festa non si sente più, purtroppo.

La fede stemperata nella ricorrenza un po’ troppo dispersiva, in mano ormai ai maestri cioccolatieri, le ‘scampagnate’ fuori porta, ridotte a semplice reliquia di una civiltà contadina e pastorale dimenticata frettolosamente, il culto della cucina povera ridotto a mera curiosità gastronomica e non più luogo d’incontro amichevole, agape dissoltasi nel grigiore della banalità dei sentimenti.

Si fa ogni anno troppo lontana la bella Pasqua d’amore alla quale eravamo stati educati coltivando la speranza di un’umanità migliore, di rapporti non sclerotizzati che vivevano nella freschezza dei moti del cuore, per credenti e no.

Un evento sempre più rarefatto e forzoso, pallida testimonianza di un mondo che declina lentamente nel nulla.

Neppure la crisi economica, con le sue restrizioni nei consumi, riesce a farci percepire la bellezza spirituale, la spontaneità ed il senso del sacro di tempi lontani.

mercoledì, aprile 04, 2012

Dante Troisi il magistrato che fu...


E’ stato ripubblicato da Sellerio ‘’Il diario di un giudice’’, edito per la prima volta da Einaudi nel 1956, con una postfazione poco accorta di Andrea Camilleri, il quale ha in mente una figura diversa di magistrato, un po’ più terra terra, immerso nella società civile, uomo tra gli uomini ed anche affetto da strabismo o partigianeria come un comune cittadino e non alieno dai richiami della politica, materia poco commestibile, a nostro parere per chi voglia esercitare un potere imparziale, servo solo della legge e del diritto.
Il fatto è che dopo Troisi, che pure fu un intellettuale aperto al mondo contemporaneo, sofferente per il ruolo pesante di chi deve emettere sentenze, che comunque incidono sull’anima e la carne dei nostri simili, si è persa nella nebbia la funzione un tempo definita, non senza ragione, sacrale del giudicare.
Oggi si parla tranquillamente perfino di un partito dei giudici o di una casta nel senso corporativo del termine e non nel senso teologico di un tempo.
Giudici come Troisi, esempio cristallino di onestà morale, di coscienza critica del sistema giudiziario, modello di servitore dello Stato, tormentato dal dubbio e dalla sensibilità della costante ricerca della verità, non esistono più: abbiamo solo burocrati.  

martedì, aprile 03, 2012

A Robinson manca Venerdì




Chi avesse pensato ad un nuovo ciclo di trasmissioni non contrassegnate dalla solita faziosità post-sessantottina, confidando nella figura accattivante di Luisella Costamagna, peraltro provvista del viatico filo-statalista ed assistenzialista della 7, ha dovuto in fretta ricredersi e ritrovarsi nel solito ambaradan degli orfani del padre-partito-padrone di berlingueriana e ormai stantìa memoria.
Ne è recente testimonianza lo show allestito sulle tasse e gli evasori, senza senso della realtà e il benché minimo discernimento per un tema talmente complesso per il quale sarebbe stata necessaria una disamina più accurata, meno plateale e demagogica.
La fiscalità, oggetto di disputa tra esperti e commentatori di alto livello e di fama internazionale, non è riconducibile alla elencazione dei soliti luoghi comuni o alla ripetizione ossessiva di slogan buoni tutt’al più per i comizi in piazza.
Tanto per dare un tocco caricaturale al dibattito (si fa per dire), tra un pm ancora in servizio e chiaramente impegnato nella cattura di delinquenti sociali (come razzisticamente sono stati definiti imputati ancora in attesa di giudizio) ed uno scrittore libertario, da tempo in lotta contro le esagerazioni e le menzogne diffuse per santificare un’attività spesso poco commendevole in uno stato di diritto, non si è pensato di meglio che collegarsi ad un circolo di periferia, composto dai soliti corbellati (pensionati ed operai) tramite un portavoce improbabile come il giovane romanziere della terra di Gramsci, Flavio Soriga, sorretto da un flatus gracile e roco, quasi impercettibile alle orecchie del pubblico e poco attendibile per la sua più che prevedibile azione di supporter per i tifosi della repressione tributaria.
In tale gallinaio di poveri derelitti masochisti, piegati da una tassazione vergognosa ed oscena di un apparato pubblico al tempo stesso inefficiente con i potenti ed impietoso con i deboli, si osava invocare la mannaia del fisco contro i cosiddetti evasori ( i quali com’è stato confermato, nel corso della discussione, sono ben conosciuti dagli esattori, ma rimangono impuniti per il vincolo, neppure tanto occulto, tra la politica agli affari, per il quale è più opportuno parlare tecnicamente di elusione anziché di evasione dal fisco, sorretto da una ragnatela di connivenze legislative, dipanatesi da tempo immemorabile per garantire salvacondotti indistruttibili ai ricchi o super ricchi, alle grandi società alle proprietà miliardarie a tutto danno dei ceti medio-piccoli, com’è ormai chiaro dalla politica canagliesca del governo tecnico, il quale non la capacità di eliminare gli sprechi del parassitismo pubblico, ma ricorre maramaldescamente all’impiccagione di schiere di cittadini privi di protezione sociale.
I colleghi universitari del premier continuano a sgolarsi, implorando maggiore decisione nella deforestazione dei privilegi e della costosa inutile giungla della spesa statale e degli enti locali ed il Prof continua a far finta di niente per continuare ad avere il fasullo appoggio della partitocrazia con la quale evidentemente sussiste un pactum sceleris inscindibile e sempre più vessatorio verso la gente comune.
Ora, organizzare una comparsata in cui il solito esemplare di virgulto della politica politicante dell’ultima periferia del paese si mette ad esaltare un patto civile tra i cittadini e il Moloch è un insulto per l’intelligenza degli scolari delle elementari, meno per chi in questo sistema ci sguazza, appartenendo ad una delle tante corporazioni o alla categoria sempre verde degli aspiranti valletti della casta.
Inutili gli appalusi preconfezionati dalla claque per corroborare tesi improbabili come quella che senza tasse i servizi per il cittadino difetteranno sempre di più distruggendo il welfare per i più poveri.Solo gli struzzi non vedono quel che accade nel verminaio della pubblica amministrazione in ogni campo si vada a parare. Senza voler fare d’ogni erba un fascio, pare ormai incontrovertibile che il fallimento regna sovrano in ogni settore pubblico, dalla sanità alla giustizia, dall’istruzione ai lavori pubblici, all’informazione, alla previdenza, plasticamente evidenziando quanto lo sperpero ed il ladrocinio regnino sovrani sulla pelle dei contribuenti.
Che dire dunque di Robinson? Gli manca il solito Venerdì per farne una trasmissione obiettiva al servizio della comunicazione non taroccata e delle opinioni libere.