mercoledì, dicembre 28, 2005

I dintorni di Costanzo



Maurizio Costanzo è un ottimo presentatore, un buon anchorman, un pessimo giornalista.

Lo dimostrò con il flop di quello che doveva essere il primo quotidiano popolare di stile anglosassone, L'occhio, che nel giro di poche settimane dovette abbandonare le edicole dov'era messo in vendita a prezzi stracciati, senza seguito di pubblico.

Nonostante le sue rubrichette sul Messaggero e su Libero non crediamo riesca ad ottenere grande ascendente sui lettori, i quali lo preferiscono alla guida dei contenitori televisivi od altri spettacoli di varia umanità, in cui l'aceto romanesco ha più possibilità di farsi apprezzare.

E' un po' il limite di quanti, ottenuto successo in un determinato settore della comunicazione, pretendano di estenderlo ad altri ambiti, per i quali non sono votati.

In più, pesa su di lui il peccato originale del partito radicale, che sempre di più assomiglia ad un ircocervo, che costringe a continui salti mortali i suoi simpatizzanti, privi, probabilmente, di attitudini acrobatiche, in un infinito pencolare tra destra e sinistra, tra una posizione ed il suo opposto, nell'inutile tentativo di una sintesi inattuabile o di una composizione impossibile tra aspetti confliggenti.

Non dimentichiamo neppure il senso di colpa, che lo attanaglia a causa dei miliardi percepiti dalle aziende del premier, con il quale non può mostrarsi corrivo, pena la taccia di servo del padrone.

Costanzo ci pare il perfetto esemplare del radical chic, teso a farsi perdonare i consistenti patrimoni acquisiti in casa Mediaset. Deve prostrarsi o, perlomeno, strusciarsi alle gambe di personaggi di sponda opposta a quella del cavaliere, con un fare un po'ruffianesco, per accreditarsi comunque come un animo progressista ed indipendente.

E' chiaro a tutti, peraltro, che si tratta di pura apparenza, in quanto la comoda, privilegiata poltrona in cui il caso, la fortuna o il fiuto del suo datore di lavoro, l'hanno collocato, non può essere lasciata.

Sono troppi i benefits, e troppa la libertà di organizzare i programmi, da fare invidia tutti i giornalisti di regime.

Orbene, ognuno può difendere come crede, con l'opportunismo le proprie rendite economiche e d'immagine, ma lo faccia con semplicità e senza mascherature, né affettazione ed eccessiva sollecitudine verso gl'invitati al proprio salotto televisivo ritenuti, a torto o a ragione, veramente importanti.

L'untuosità con cui accoglie l'ospite di turno del suo Diario, con la falsa sicurezza di chi è abituato ad andare a braccetto con i potenti, non è sufficiente per guadagnarsi il ruolo di guru o di compagno di viaggio di personaggi di levatura intellettuale (anche di poco) superiore alla sua.

Se ne renda conto una volta per tutte.

I suoi dintorni non appartengono al suo paesaggio. Non sono propaggini del suo essere ed esistere.

Dopo che, com'è avvenuto l'altra sera, all'atto della presentazione di un sedicente pensatore come Galimberti (un filosofo della storia, definizione scarsa di significati pregnanti), dispensatore di consigli aulici dai rotocalchi femminili e supremo volgarizzatore di massime altrui, annuncia al popolo di darsi del tu con l'illustre ospite, da tempo immemorabile, non ha aggiunto nulla alla sua figura e a quella dell'invitato.

Il nostro presentatore sembra aspirare al ruolo della lumaca di Trilussa, che lasciando la propria scia sul monumento, era persuasa di aver lasciato un segno nella storia. E l'imbarazzo che coglie l'interlocutore, ancora in attesa di scrivere il proprio capolavoro, mostra quanto poco sia lusingato dalle affermazioni confidenziali di personaggi, inevitabilmente considerati inferiori sul piano culturale, e, nonostante gl'inchini, ineluttabilmente appartenenti all'armata del nemico.

Costanzo lasci perdere i dintorni e si convinca di non essere il Re Sole dell'universo della comunicazione e neppure il suo delfino.

Si accontenti del suo ruolo di mediatore televisivo, conservando la propria fortuna, senza dilapidarla con eccessi di presenzialismo, supponenza intellettuale ed espansionismo aziendale.

Gliene saremo tutti grati.

martedì, dicembre 27, 2005

La lezione di Don Chisciotte


Cari lettori, che cosa c'è di meglio, in questi giorni di vacanza, che rileggere qualche pagina di un celebre libro, come il Don Chisciotte?

Credo che, in tempi di omologazione televisiva, la lettura di qualche avventura dell'immortale eroe di Cervantes sia l'antidoto migliore, per riflettere sul nostro destino di uomini in balìa degli eventi, ma grazie alla fantasia e all'inventiva, alla passione e alla poesia, capaci ancora di scegliere la meta da raggiungere, senza i condizionamenti dei mass-media, ma in piena autonomia per fare quel che vogliamo con convinzione autentica.

Lina, una mia giovanissima parente, che vive negli USA, già laureata in Scienza della comunicazione, ed esperta nell'arte fotografica, ha scelto di frequentare il conservatorio per imparare a suonare il piano secondo le buone e difficili tecniche delle scuole di alto livello.

Anni fatica per fare quello che desidera con il cuore, e con la prospettiva di non guadagnare certamente i lauti compensi di chi si dedica alla fotografia professionale.

E' un piccolo esempio, ma una grande lezione per chi vuole sottrarsi alle imposizioni della società moderna, dove spesso vale più lo status symbol che l'armonia con se stessi.

La decisione di Lina sarebbe stata approvata dal grande e nobile cavaliere e dal suo inimitabile creatore, il quale, prima di tutto, ha descritto una categoria dell'animo umano: la libertà morale.

venerdì, dicembre 23, 2005

martedì, dicembre 20, 2005

Babbo Natale alle corde


Sembra un segno dei tempi.

Fuori dai balconi o sulle porte d'ingresso, dal ramo di un albero o dal muro di cinta, penzolano tanti pupazzi di Babbo Natale.
Una moda, senza dubbio, che invade città è villaggi, nell'epoca del consumismo globale.

E poi il fenomeno dell'imitazione.

Ogni cittadino che si rispetti pensa che sia un suo dovere adeguarsi e così decine di sagome adornano le vie e le contrade.
Ma è uno spettacolo che non entusiasma , non desta allegria o gioia e non ispira sentimenti natalizi.

L'impressione che si ricava è di una fiera, uno spettacolo montato su per l'occasione, per essere al passo con la moda e conclamare un Natale all'esterno, nel momento in cui dentro le case o nell'intimo non si riesce più ad apprezzarne il senso profondo.

Resiste la festa, ma sembra quasi arroccata in un tentativo disperato di difesa della tradizione in un ultimo fortilizio, da cui prima o poi spunterà il vessillo bianco della resa.

Il relativismo imperversa come la mancanza di attenzione per la religione, considerata dai più una forma passatista di visione del mondo, un freno alla giustizia sociale e alla liberazione dell'uomo. Una sovrastruttura antiquata e declinante come un'ideologia qualunque: c'è una generalizzata diffidenza verso il sacro, interpretato più come superstizione che come esigenza dell'animo.

E' poca la fede nella società moderna, come dice il Papa; ma non c'è neppure il senso laico di un tempo nel vivere le feste religiose ed, in particolare, per questa ricorrenza, che dovrebbe riaccendere una piccola speranza, nel cuore degli uomini, in un mondo migliore fondato su pochi semplici principi etici.

L'evoluzione dei costumi, eterodiretta dall'industria culturale, ha reso molte persone più scettiche su tutto, anzi, più ciniche verso i propri simili ed il divino e, magari, per contrapposizione inspiegabile, più sensibili ai miti dell'animalismo e dell'ambientalismo ovvero dell'umanitarismo generico, meglio se esterofilo, che non richiede un preciso senso di responsabilità come nei confronti di un familiare, un amico, un vicino, un conoscente derelitto (tutte figure imbarazzanti per chi vola nell'iperuranio dell'utopia comoda e discolpante).
Una fuga da noi stessi.

Una compensazione del vuoto interiore in nome di nuovi idoli mal compresi ed imposti dall'alto, dai produttori di cartapesta, cattivi maestri e volgari demagoghi.

Ecco come si spiegano i pupazzi di Babbo Natale, una caricatura del giorno della rinascita, soppiantatrice del presepe e dell'albero dentro ogni piccola o grande abitazione e, soprattutto, nella mente di credenti e non credenti.

Pupazzi per non sentirsi soli nell'avanzante desertificazione dei sentimenti.

sabato, dicembre 17, 2005

Umano, troppo umano: animale


Rossella Castelnuovo, commentatrice scientifica di Rai Tre, non perde occasione per definire uomini e donne semplicemente "umani": una qualificazione darwiniana tendente ad appaiarli ad insetti, rane, oranghi, etc. - tutti ricompresi nel variegato mondo animale.

La sua insistenza è perentoria e sistematica.Tanto per far capire, a chi ancora non l'avesse ben chiaro in testa, che noi poveri mortali, dopo l'abbandono del vieto antropocentrismo imperialista, non siamo in nulla differenti dalle altre specie.

Qualche tempo fa, davanti a liceali, un po' confusi, di un celebre istituto romano, partecipanti ad un pubblico dibattito sull'evoluzione, richiamò qualche studente ancora restìo ad uniformarsi alle nuove regole del linguaggio, ribadendo con forza che anche noi siamo animali - quasi per dire che termini come uomo e donna sono ormai perniciosi, in quanto ci contrappongono agli altri esseri viventi con un'infondata presunzione di superiorità e costituiscono un forte ostacolo all'educazione delle nuove generazioni alla democrazia.

Ora, noi non abbiamo nulla contro gli animali, umani compresi, spesso più somiglianti a bestie che non a dei, ma pensiamo che non ci sia niente di male a non volerci ritenere assimilati, tout court, ad amebe o girini, se non altro per il dono della parola e della comunicazione elaborata, dell'autocoscienza e della creatività.

E soprattutto crediamo che il relativismo culturale non debba ridurci a numeri sottomessi al regno della quantità, inglobati nella massa indistinta e governati dal positivismo scientifico livellatore, per il quale un animale vale l'altro e tutti insieme contano meno di zero.

Lasciateci ancora leggere senza complessi d'inferiorità l'Umano troppo umano dell'inquieto e scintillante Nietzsche o riflettere sui limiti e la grandezza dell'uomo, descritto dalla lucida e feconda speculazione di Kant, come essere irripetibile dell'universo, allorché constata la meraviglia del cielo stellato sopra di sé e la coscienza morale dentro di sé.

Una consapevolezza che nessun diktat scientista potrà mai attribuire alle altre specie.

martedì, dicembre 13, 2005

Lettera a Massimo Fini


Caro Massimo Fini,

ho letto con interesse il Manifesto dell’Antimodernità e del Movimento Zero e vorrei esprimerle i miei complimenti per l’adesione al programma, fra gli altri, di un intellettuale scomodo ma di notevole spessore culturale ed acutezza di analisi, come Alain de Benoist.

Mi chiedo però quanti interlocutori ne conoscano il pensiero e ne percepiscano le ascendenze sicuramente non marxiste.

Pur non richiamandosi alle categorie ottocentesche di destra e sinistra, che solo per convenzione si continuano ad adottare, dopo il crollo delle ideologie, la posizione di questo pensatore si è fatta chiara ed inequivocabile, nel momento in cui nasce in Francia la nouvelle droite, che costituisce ormai un cospicuo patrimonio spirituale nel superamento di concezioni politiche inadatte alla complessità dei tempi e nella configurazione di strade nuove per tentare di risolvere le contraddizioni ed i problemi presenti nelle società occidentali.

Alcune osservazioni dei commentatori del suo blog hanno, per altro verso, attratto la mia attenzione, in quanto univocamente concordi nel voler affermare un’alta concezione della politica, pur provenendo da differenti esperienze.

In particolare mi ha colpito l’affermazione di un lettore che dice di ravvisare nel suo Manifesto idee già presenti in Rifondazione comunista.

Ora, nessuno più di me considera le sottoscrizioni al suo programma come un segno importante di cambiamento e come volontà di realizzare un sistema più efficiente ed equilibrato nei rapporti fa i cittadini e questi e lo Stato: non più sudditi, ma protagonisti della vita sociale.
Mi permetta di dire, però, che quel signore forse ha equivocato sui contenuti programmatici da lei espressi.

Ortega y Gasset affermava, ben oltre un cinquantennio fa, che destra e sinistra sono semiparalisi mentali, ma non rinunciò mai ad insegnare il valore della libertà individuale e dei principi etici aristocratici contro la massificazione.

Non sono le etichette che contano, ma le idee in cui si crede.

C'è qualcuno di provenienza comunista che si riconosce in qualche punto del Manifesto?

Bene, ma non si creda di poter rilevare, per questo, che ci sia qualche assonanza col pensiero marxista o post marxista, ineluttabilmente alle spalle del Movimento da lei fondato, se ho ben letto e interpretato le parole espresse ed i concetti cui rimandano.

Cerchiamo di non ragionare con i paraocchi e vediamo di stabilire con chiarezza che cosa s'intenda realizzare nella società civile ed in campo economico e sociale.

Spero che si punti ad un superamento del capitalismo darwiniano, con il liberismo sociale o con l'economia sociale di mercato e che si riconosca che la rivoluzione industriale, come ha ben messo in luce il libertario Sergio Ricossa nel sua "Storia della fatica", ha portato anche un progresso nelle condizioni di vita delle classi meno agiate, come mai era avvenuto nei secoli precedenti.

Sul piano antropologico, credo che possa costituire un contraltare ai vizi dell'industrialismo, la lezione di civiltà, ragionevole rispetto della natura e ricerca di un'armonica esistenza per l’uomo, contenuta nei libri dell'etologo K.Lorenz, il quale non ha nulla da spartire con i fondamentalismi ecologisti dei verdi.

Il successo del Movimento dipenderà in buona parte dalle scelte tra utopia e realismo: non dovrebbe innalzare la bandiera dei giacobini per creare il paradiso in terra, ma con lucidità e determinazione dovrebbe battersi per ideali realizzabili – soprattutto - con una rivoluzione morale posta al servizio della persona e della sua dignità, per un assetto che salvaguardi l’uomo e le comunità intermedie contro ogni prevaricazione (ideologica o no) della libertà.

Ho apprezzato molto nella sua storia intellettuale, il contributo recato alla comprensione della figura di Leo Longanesi, cui sono legato dai tempi del liceo.

A mio sommesso parere, tra i padri culturali del Manifesto c'è anche lui.

Non dimentichiamolo.

lunedì, dicembre 12, 2005

Desacralizzazione



Dalla Fiera del libro svoltasi a Roma, grazie ad alcune interessanti interviste di Marino Sinibaldi, abbiamo scoperto che i filosofi si occupano oggi della desacralizzazione, non tanto come oggetto di studio, quanto come finalità e conquista della più pura speculazione scientifica del tempo presente.

E così un tale pensatore di nome (non ce ne voglia se non lo riferiamo esattamente, vista la nostra ignoranza sulla sua esistenza) Agammato parla non solo di una nuova definizione della religione e del profano ed incita alla profanazione come metodo (pensiamo) neo - socratico, ma con argomentazione, a dir poco curiosa, desacralizza il telefonino (opera peraltro altamente meritoria), sostenendo che "se si scherza al cellulare, vuol dire che questo strumento di perversione è stato distrutto!"

Vattelapesca a capire...

Per fortuna provvede, subito dopo, il magnifico Marramao (filosofo - paroliere del cantante - guru Battiato), a ristabilire le sorti del pensiero contemporaneo, constatando genialmente che la vera dissacrazione nei confronti dell'antica religio è stata compiuta dal monoteismo ebraico, il quale ha annientato gli dei pagani. Un elevatissimo concetto, presumibilmente frutto straordinario dell'intesa profonda con il celebre cantautore siciliano, impareggiabile esegeta e cultore del sufismo mediterraneo.

Ora siamo consapevoli che la nostra perdita del centro, madre di tutte le desacralizzazioni, è il risultato di una congiura giudaica.

Ma che bravi questi filosofi moderni.

Benvenuto Cyrano





Anche Cyrano - Massimo Fini finalmente ha aperto il suo blog.

Chi è Massimo Fini lo sanno tutti: un rompiscatole.

Un giornalista e uno scrittore anticonformista, critico del potere e per questo osteggiato da tv, politici ed editori.

Un personaggio che ha cercato di realizzare i suoi sogni, non riuscendovi ( come dice egli stesso, ma chi li realizza? ) e comunque deciso ad instaurare un convinto ed acceso combattimento contro la partitocrazia ed il consumismo, la manipolazione delle coscienze, la perdita d'identità dei popoli e delle culture, per la libertà individuale, la democrazia diretta, la civiltà anteposta alla civilizzazione, fondando il Movimento Zero, con un manifesto programmatico interessante e vivace, rivoluzionario come quello di un Marinetti dell'antimodernità, da leggere con attenzione sul suo sito:
www.massimofini.it

Benvenuto Cyrano ed auguri cordiali per una vittoriosa battaglia.

martedì, dicembre 06, 2005

Addio "Piccola Parigi"

Convocati gli stati generali nella storica aula consiliare del Comune di La Maddalena, che si fregia, fra l'altro, di una dedica al Municipio da parte dell'eroe dei due mondi, il Governatore Soru ha fornito alcune indicazioni sulla riconversione dell'Arcipelago, dopo la fine dell'economia "militare" ( a seguito delle dismissioni della Marina italiana e di quella statunitense), richiamandosi - con un excursus storico un po' incerto - al periodo di massimo splendore dell'Isola , già definita la "Piccola Parigi", ed incitando gli abitanti ad aver fiducia nel turismo, finalmente libero di espandersi, eliminate le remore imposte dalle stellette, dal dopoguerra ad oggi.
Alcune imprecisioni non trascurabili hanno punteggiato il discorso del Presidente della Regione, apparso un po' a disagio per lo smantellamento della base di appoggio dei sommergibili Usa, decisa probabilmente troppo presto, rispetto alle sue personali previsioni.
Storicamente, ha mancato di ricordare che la "Piccola Parigi" nacque tra le due guerre mondiali per la realizzazione di un'invidiabile ( dal punto di vista strategico - difensivo) piazzaforte militare, consistente nella costruzione di numerosi manufatti - fortini e batterie - scavati nelle rocce di granito e nascoste alla vista, dal cielo e dal mare, e, quindi, già allora, perfettamente inseriti nell'ambiente naturale, oltre ad insediamenti di vario genere per le diverse forze armate, le quali crearono un circolo virtuoso sul piano economico-sociale e culturale, tanto da porre in una posizione preminente La Maddalena rispetto ad altre zone della Sardegna.
Non ci pare appropriato dire - come ha fatto Soru - che cittadine come Olbia erano legate all'agricoltura e borghi come Palau erano poco più che un attracco per le navi.
Ma è senz'altro vero che il progresso dei maddalenini rispetto a quello delle altre popolazioni sarde era indiscutibile e che questo primato probabilmente è durato, mutatis mutandis, fino ad oggi.
La "Piccola Parigi" con i suoi negozi, teatri, navi militari e mercantili, un fiorente mercato generale ed ittico, era già inserità all'inizio del 900 tra le cento piazze d'Italia ed il titolo di città.
Ma questo avveniva per merito e come conseguenza delle attività legate al Ministero della Difesa, come del resto avvenne in tutto o in parte con Livorno, La Spezia, Gaeta, Taranto, Brindisi, Messina.
I legami con la Regia Marina Sardo-Piemontese risalivano, del resto, ai tempi della rivoluzione francese e al tentativo di conquista dell'Arcipelago da parte del luogotenente Napoleone, per conto della Convenzione, con l'assalto all'isola di Santo Stefano, respinto per il coraggio del nocchiero Domenico Millelire, prima medaglia d'oro al valor militare dello Stato italiano.
Ora, nessuno pretende che il Governatore - prima di lanciarsi in azzardati paragoni storici- abbia avuto la possibilità di leggersi uno dei tanti libri dedicati alla storia della Maddalena, ma abbia almeno l'accortezza di lasciar da parte il riferimento alla "Piccola Parigi", che ormai non esiste più e non può, per le diverse circostanze attuali, costituire uno slogan per il futuro turistico, che dovrebbe arridere ad una comunità smarrita e fortemente preoccupata per l'avvenire dei propri figli.
L'ineffabile Governatore, con incauta leggerezza ha inoltre dimenticato di ricordare che la Maddalena, nonostante la presenza militare (la quale ha avuto il merito, fra gli altri, di salvaguardare l'Arcipelago dagli scempi urbanistici di altre parti della Gallura e dalla distruzione dell'ambiente), è stata tra le prime località della regione a valorizzare, con metodi che oggi si definiscono compatibili con l'equilibrio naturale e paesaggistico, le potenzialità legate al turismo con la creazione del primo villaggio del Club Mediterranée in Italia, fin dagli anni cinquanta, e la costruzione d'insediamenti del Touring Club, della Valtour, del Centro Velico di Caprera, tra gli anni sessanta e settanta, attirando costantemente villeggianti pù avvertiti e qualificati di quanto non avvenga ogni estate in Sardegna con l'invasione estiva delle frotte predatrici del "mordi e fuggi".
Oggi non rimane che puntare sul Turismo, con la T maiuscola, ha ripetuto con monotonia Soru, ma come?
Questo è il punto.
Egli ha parlato d'investimenti a favore di questo settore che vanno dai 15 milioni ai 45 milioni di euro ( si vedrà), ma non ha delineato alcuna strategia economica al riguardo.
Solo pannicelli caldi per le infrastrutture, la sanità, l'acqua, il recupero del centro storico, l'artigianato , l'edilizia residenziale, in attesa che gl'imprenditori veri si affaccino sull'isola e decidano d'investire seriamente, e che il Parco Nazionale dell'Arcipelago si trasformi finalmente in motore e promotore di un nuovo assetto sociale e di un nuovo benessere.

Il fatturato di 33 miliardi di vecchie lire prodotto dalla passata economia "militare", non sembra facilmente raggiungibile con la creazione di un attrezzato e moderno cantiere per navi da diporto, l'unico progetto concretamente realizzabile per trasformare il vecchio e glorioso Arsenale della Marina militare.
Un po' poco per vedere risorgere la "Piccola Parigi".

lunedì, dicembre 05, 2005

D'Artagnan? Un balente!

Non so se abbiate avuto la ventura di vedere il dialogo televisivo a distanza tra il Bandito Mesina e il Presidente Cossiga, tutto incentrato sulla balentìa ed i balentes di nobili ed antichissime ascendenze barbaricine.

Concetti non facili per chi non abbia avuto l'occasione di una frequentazione non turistica con la Sardegna e la Barbagia, e non abbia potuto quindi sperimentatre l'osservanza, tuttora diffusa, del secolare codice d'onore del Supramonte, che indimenticati studiosi del rango di Antonio Pigliaru, rinomato docente di dottrina dello Stato all'Università di Sassari, ed altri non meno valenti giuristi, avevano qualificato come un vero e proprio ordinamento giuridico, imposto dalla consuetudine, preesistente alla codificazione del Regno Sardo-Piemontese ed addirittura alla stessa "Carta de Logu" di Eleonora d'Arborea, fonte ispiratrice di diverse normative anche fuori dell'isola.

Toccò a Montanelli sperimentarne la vitalità, allorché durante la sua permanenza a Nuoro, il padre, Preside di liceo, lo affidò con la massima tranquillità alla tutela di alcuni ex ricercati, appartenenti all'aristocrazia dei fuorilegge, ovviamente per ragioni di faida e non per veri e propri atti deliquenziali, consentendogli così di conoscere per l'appunto la balentìa ( o valentìa, se preferite).

Il Presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga e l'ultimo dei Banditi gentiluomini, accomunati da una condivisone di valori, che va ben oltre la diversità dei ruoli e delle posizioni sociali, hanno pertanto spiegato in che cosa consiste questo paradigma culturale o questo imperativo etico, che non è stato ancora disperso dalla civilizzazione e dai modelli consumistici.

Ecco la definizione più semplice e completa, che racchiude peraltro svariate articolazioni e sfumature sul piano esegetico e pratico.

Balentìa significa "Combattere, con coraggio (non solo fisico), per una causa ritenuta giusta, seguendo le regole della lealtà".

Nulla a che fare con rapine sequestri violenze intimidazioni ed assassinii, che purtroppo da una certa data in poi hanno inquinato l'ambiente sardo, con modelli importati dal cosiddetto continente, con le bravate facinorose dei giovinastri o i traffici di droga.

Gli atti compiuti contro la legge nascono dalla faida o dalla vendetta, la più elementare, primitiva forma di giustizia privata.

Il balente rispetta le regole e l'avversario ed anche il rappresentante dello Stato se riconosce che agisce correttamente.

E' stata una conversazione molto interessante, che ha messo in luce i rapporti di amicizia tra due personaggi, che rappresentano due facce della stessa realtà culturale e sociale di una terra, avvolta ancora per mille aspetti nell'aura della civiltà classica, metapolitica ed universale.

Bastano due esempi per confermarlo.

Il miliardario rivoluzionario Feltrinelli che, non conoscendo per nulla l'etica barbaricina, tentò di guadagnare alla propria causa Graziano Mesina, ottenendo da quest'ultimo soltanto qualche sorriso di compatimento, prima del tragico episodio di Segrate, non avendo compreso che quel mondo pastorale si librava sopra lo spazio ed il tempo dell'ideologia ed era disciplinato autonomamente da princìpi a loro modo metafisici.

E poi, la leggendaria figura di D'Artagnan, simbolo della Guascogna e di quanti si pongono a difesa della dignità dell'individuo, contro le ingiustizie e le prevaricazioni del potere, impegnandosi nella lotta, con coraggio e senso di responsabilità personale.
Anche D'Artagnan è un balente!