venerdì, novembre 23, 2007

Il cavaliere e la gente


Intervistato ad Otto e mezzo, il leader del partito della libertà crediamo abbia tranquillizzato i suoi sostenitori su buona parte degl 'interrogativi sorti all'indomani dell'annuncio di perseguire l'accordo per una legge elettorale proporzionale, insinuando alcuni dubbi sulla validità della scelta, anche tra chi aveva accolto entusiasticamente la nascita del nuovo movimento come strumento adatto per trarsi fuori dalla palude partitocratica. Il cavaliere ha ribadito il concetto fondamentale del bipartitismo come pilastro del nuovo sistema da costruire con una nuova legge elettorale, ma non ha precisato in quali termini eviterà il formarsi di compagini di modeste dimensioni, destinate a condizionare il parlamento nella formazione e nella vita dei governi. Non credo che sfugga alla sua intelligenza politica che i patti elettorali tra i partitini possano superare con relativa facilità le piccole soglie intorno al quattro, cinque per cento e, quindi, rientrare in gioco con gli stessi rischi del sistema attuale. Né pare una svolta significativa quella di delegare alle manovre parlamentari la scelta del premier e le sue allenze, utilizzando un po' troppo discrezionalmente la delega ricevuta dai cittadini, i quali desiderano soprattutto votare un programma ed un presidente del consiglio, per un periodo abbastanza lungo, tale da coprire la durata di una legislatura. Che senso ha votare, per poi vedere manipolare la propria scelta con accordi che non tengono conto degl'indirizzi assunti, sui grandi temi della politica interna, estera, economico-finanziaria, dai partiti con i propri elettori?

Come si potrebbero realizzare le aspirazioni dei liberali, dirette a restituire allo Stato le funzioni fondamentali, limitandone l'interventismo, con quelle dei sostenitori dell'allargamento della protezione statale?
La motivazione principale del consenso al gesto di Berlusconi consiste proprio nell'aspettativa che l'Italia divenga una democrazia avanzata e non rimanga un paese di sudditi, come le manifestazioni dell'antipolitica hanno prepotentemente messo in luce.
Le dichiarazioni di piazza S.Babila sono state accolte come l'espressione di una rivolta del popolo moderato contro le aberrazioni del sistema partitocratico e contro le caste, nella speranza che l'unico leader non professionista della politica faccia proprie le istanze della gente comune, per un cambiamento serio, effettivo delle istituzioni, senza dimenticare le differenze esistenti tra una nazione e l'altra in Europa e fuori. Una veste costituzionale adatta ad un popolo non lo è per un altro. Gl'italiani non sono i tedeschi. La vocazione al trasformismo è una tabe antica, i particolarismi, i personalismi della classe politica sono sotto gli occhi di tutti. La distinzione e la dialettica tra governo ed opposizione, essenziali per il sistema democratico verrebbero immediatamente compromesse da una "grande coalizione", che mentre costituisce in Germania un'eccezione, in Italia si presenta come versione aggiornata del "compromesso storico", esempio certamente non edificante nella nostra storia parlamentare.

Non per nulla tra i più convinti fautori della legge eletterole alla tedesca c'è niente meno che Fausto Bertinotti...
Qualche giorno fa Daniele Bellasio, vice-direttore del "Foglio", si augurava sullo stesso quotidiano che Silvio raccontasse una bugia nel rendersi disponibile al proporzionalismo.
Che la sua sia una tattica, ce lo auguriamo anche noi, nell'interesse della gente che rappresenta, la quale siamo certi vorrebbe percorrere la strada maestra e senz'ambiguità del referendum elettorale.

giovedì, novembre 22, 2007

Una primula all'Università


Fu al tempo dell’università.

Correva l’anno 1968.

Mitico, meno mitico.Rivoluzionario o no.

Chi può dirlo oggi con vera conoscenza del clima e dell’ambiente studentesco?

Credo pochi.

Per molti fu un anno di letizia e di allegre scorribande fra le aule occupate, più per imitazione che per scelta meditata.

Mi trovai un giorno davanti al cancello d’ingresso della facoltà di legge, chiuso con un lucchetto dall’interno.
Non si poteva entrare.

Dovevo rispondere all’appello di non so quale esame, e mi trovai di fronte a una diecina circa di studentelli ben vestiti e ben pasciuti, iscritti, per tradizione familiare, alla mia stessa sede, provinciale, tranquilla, ben organizzata con pochi frequentatori, posti in grado di seguire da vicino, in piccole aule da non più trenta- cinquanta persone, docenti e lezioni.

I figli di papà facevano la rivoluzione snob e noi che dovevamo studiare e superare i colloqui per arrivare alla laurea, eravamo tenuti fuori.

Ci era impedito l’accesso perché, lorsignori, dovevano fare baruffa, e passare giocosamente il tempo, sentendosi un po’ giacobini.

Noi eravamo quattro o cinque in quel momento, provenienti dalla casa dello studente, o arrivati con la macchina o col treno dalle cittadine più o meno lontane per fare il nostro dovere.

I padroni della situazione potevano permettersi altri lussi: studiare quando volevano, presentarsi nella sessione che più gradivano. Intanto erano lì ad innalzare cartelli incomprensibili, inneggianti all’occupazione contro i baroni e per il diritto allo studio (sic!).

Che fare?


Mi diressi verso le sbarre d’ingresso e vidi una faccia rossastra di un collega più anziano, figlio di un avvocato conosciuto in città ed esponente dell’intesa universitaria , un partito che aderiva all’opera di boicottaggio, sbarrando il passo a professori, rettore ed altri ignari studenti.

Mi avvicinai ancora e lo apostrofai, dicendogli, tra un’asta metallica e l’altra, che io dovevo entrare per sostenere l’esame.

Mi disse, tracotante, che non si passava e che l’avrebbero deciso loro quando si poteva avere libero il passaggio.

Aveva graziosamente in mano i quattro codici della Hoepli, dotazione necessaria per ogni aspirante alla laurea in diritto.
Dalla giacca blu di buon taglio fuoriusciva un’elegante cravatta regimental. Un ciuffo di capelli rossi lunghi pendeva sul lato sinistro della fronte, punteggiata di efelidi e piccole escrescenze.

Ripetei che io e i miei amici avevamo deciso di dare l’esame e che dietro di noi, in atto di scendere dall’auto blu, c’era il rettore , impegnato nella discussione delle tesi.

Cominciò a sbraitare, squittendo di non rompergli i cosiddetti, perchè quella decisione era ormai inoppugnabile, aggiungendo col pugno chiuso che, ad insistere, rischiavamo le botte.

Allungai una mano sul bavero della giacca, traendo verso di me la sua testa, che s’incastrò, quasi perfettamente, tra le sbarre, mentre, con l’altra, mi appropriai del ciuffo pendente, destinato ad essere il mio scalpo.

Gli urlaii, sillabando con forza dentro l’orecchio sinistro, che avrebbe dovuto aprirci l’ingresso, se voleva liberare la sua testa dal cancello, a cui nel frattempo avevo annodato la splendida cravatta.

Gemette per il dolore al collo e al cuoio capelluto, facendo scivolare i codici, divenuti inutili, sul gradino della scala d’accesso, e immediatamente dopo si convinse di spalancare i cancelli, che rimasero finalmente aperti per tutti.

Ero reduce da una lezione di filosofia del diritto, tenutasi il giorno prima, a cura di un professore emerito , tutta dedicata al concetto della libertà e della fede nella persona umana, come soggetto autonomo della comunità civile.

Mi aveva colpito la profondità dei concetti espressi con fermezza dal vecchio docente, il quale invitava i giovani ad avere fede nelle proprie convinzioni e a difenderle con senso di responsabilità.

Mi sentii come la primula dei romanzi di cappa e spada nel momento in cui, in coerenza con l’insegnamento ricevuto, ero riuscito con le" buone maniere" a rintuzzare la violenza di chi" lottava" per impedirci di proseguire nel piano di studi e ad aprire il varco ai colleghi, ben intenzionati a laurearsi senza perdite di tempo prezioso, che non potevamo permetterci.














giovedì, novembre 15, 2007

Che pena "Anno Zero"!


Nell’ultima trasmissione di Michele Santoro è stata scritta una delle pagine più penose della televisione di Stato, destinata a svolgere un servizio pubblico, finanziato forzosamente col canone degli abbonati, i quali però non possono interferire minimamente sulle scelte dei programmi, i quali risultano pertanto imposti dal consiglio di amministrazione per ragioni esclusivamente ideologiche o di partito.
Ora, credo che a nessuno possa essere sfuggito il fatto che il presentatore miliardario di Anno Zero si sia allestito una centrale di propaganda comunista, grazie ad un’équipe di collaboratori tanto ideologizzata quanto ignorante, con alcuni apporti di personaggi discutibili dal punto di vista morale e professionale, ma in grado di svolgere la funzione di agit-prop, per la grande causa della rivoluzione e della lotta di classe. In più qualche utile idiota si presta, una puntata sì e l’altra no, a fare il gioco del burattinaio rosso, rimanendo il più delle volte buscherato nella propria dignità e credibilità.
Nella serata dedicata ad Enzo Biagi c’era d’aspettarsi la solita provocazione all’intelligenza e al buon gusto, ma si è voluto strafare, per eccesso di bile, di rabbia antropologicamente congenita nel compagno trinariciuto, indefesso portatore di malafede, menzogne, falsità, malcelati complessi d’inferiorità ed insopprimibile carica di violenza nei confronti dell’avversario.
L'homo marxianus è portatore sano di bestiale malvagità nei confronti di chi non è allineato, non pensa per schemi, non ha portato il cervello all’ammasso dell’ideologia dogmatica, progressiva, onnipotente e salvifica di cui è fedele servitore a costo della vita (si fa per dire…) ed accresce la propria ferocia belluina, man mano che accumula ricchezza, ovviamente in modo parassitario, principalmente alle spalle del contribuente, servendosi di quelle sinecure, solitamente accordate a chi ha la fortuna di avere in tasca la tessera di un partito di regime, che consente di attingere a piene mani dalla munificenza di qualche inutile ente pubblico, segnatamente da Mamma Rai, con la conseguenza di maturare, per il denaro mal guadagnato, un acuto senso di colpa nei riguardi dei ceti deboli, al cui riscatto egli è paradigmaticamente preposto almeno a parole, convinto, da buon dritto, di poterla dare a bere al prossimo, salvando le apparenze.
La grande serata funebre, è stata un oltraggio prima di tutto per il grande giornalista scomparso, squinzagliando ai funerali i baffi da tricheco del fedele scudiero intervistatore, il quale in un attacco di monomania antiberlusconiana, chiedeva, a destra e a manca, tra i politici al seguito del feretro, che cosa volessero fare per risolvere il problema dei problemi del nostro paese, il conflitto d’interessi del capo dell’opposizione con le proprie televisioni.
Colti di sorpresa, i tapini parlamentari farfugliavano risposte senza senso, con lo sguardo attonito per la miserevole spudoratezza dell’inviato di Santoro, per il quale evidentemente il cordoglio per la dipartita di Biagi ed un minimo di rispetto per la forma erano semplici optional.
In studio, regnava un’aria semi-goliardica, con Travaglio, intento a tirar fuori dal suo vecchio repertorio battutine banalissime sui collaboratori mafiosi dell’ex presidente del consiglio e le smorfie grottesche della Guzzanti, tesa ad imitare se stessa, con un viso appesantito da un trucco degno della buonanima di Wanda Osiris, la quale, a commento dell’intervento dell’ingenuo cardinal Tonini, contestava la scelta intollerabile della Chiesa cattolica di beatificare i martiri dei massacri della guerra civile spagnola, in quanto aderenti (magari post mortem!) alla dittatura franchista.
A nulla serviva la presenza vaniloquente della parlamentare europea Gruber, che ricordava le lotte condotte all’interno della Rai per la vittoria della libertà di opinione, non si sa bene contro quali censure, considerato l’assetto bulgaro, pressochè costante dell’ente, così ben rappresentato proprio dall’ex conduttrice del TG2 e da un impacciatissimo Mentana, il quale, sistemato sul proscenio come un birillo, per evitare di essere colpito dalle palle di bowling degli interlocutori schierati a commemorare le vittime del centrodestra falciate con cinismo alla radiotelevisione, negli anni del governo Berlusconi, non trovava di meglio che cantare le gesta dei maestri di giornalismo, alla cui saggezza e competenza si era abbeverato, fin dalla più tenera età, all'interno della televisione pubblica, guardandosi bene dal rammentare le lottizzazioni dei partiti della prima repubblica, nel segno dell’immarcescibile compromesso tra Dc, Pci, Psi e la revanche presente, sotto la direzione dell’inamovibile Petruccioli.
Con un pizzico di protervia, avrebbe potuto anche chiedere dove sta scritto che la compagine che guida quel carrozzone politico-clientelare debba essere per diritto divino trasmessa da padri e figli della cosa rossa e debbano essere profumatamente pagati, senza merito alcuno, a spese dei cittadini.
Si è trattato, in definitiva, di uno spettacolino penoso, ma anche di una pagina di vergogna per chi non fa parte del popolo di beoti.

Ben tornato indimenticabile "Borghese"!


Da pochi giorni in edicola è tornato “Il Borghese“.
Il glorioso periodico fondato da Longanesi e diretto, dopo la scomparsa del geniale maestro, da Mario Tedeschi, per numerosi anni affiancato dal fior fiore dell’intelligenza non conformista, si riaffaccia con periodicità mensile, nel segno della continuità con l’illustre tradizione, per la pervicace volontà di Claudio Tedeschi, suo nuovo direttore, determinato a ristabilire il prestigio della rivista paterna, assoggettata in passato a varie iniziative editoriali, fra le quali spicca, come più commendevole, quella di Vittorio Feltri, prima della nascita di “Libero“.
Ritrovare un Tedeschi alla guida del brillante giornale anarco - conservatore, vera fucina di libertà di pensiero e di coraggiose inchieste contro il malcostume politico, non può che essere una garanzia di qualità e di nuova linfa per la stampa “no politically correct” di cui il nostro paese ha estremamente bisogno, e speriamo che, tra vecchi (nobilissimi, come Isidori e Nistri) e nuovi valenti collaboratori, l’impresa consegua, pur tra le inevitabili difficoltà di chi non ha padrini e comparaggi di sorta, la fortuna che merita.
Ce lo auguriamo di cuore, perché l’ inimitabile e straordinaria testata, ha avuto, fra l’altro il merito di formare generazion di intellettuali impegnati a contrastare le verità prefabbricate della pubblicistica e della politica marxista e partitocratica, stimolando la critica e la ricerca dell’obiettività, contro la vigliaccheria dei trasformisti e dei camaleonti, degli opportunisti e di quanti hanno l’ unica aspirazione di correre in aiuto dei vincitori di turno o dei padroni del vapore.
Abbiamo ricordi preziosi legati alla giovanile lettura e possiamo dire, oggi, che se idee liberali e moderate hanno trovato spazio in Italia, molto lo si deve all’opera svolta dal “Borghese” nel seminare i propri princìpi di etica politica, di eterodossia nei confronti dei luoghi comuni, di costante apertura alla voce delle minoranze colte e nella rivalutazione di scrittori e pensatori che, altrimenti, nella programmata azione di disinformazione e di annientamento della cultura non ufficiale e non allineata col verbo catto-comunista, sarebbero rimasti esclusi o destinati all’oblio per sempre.
Aattraverso la monopolizzazione dell’editoria, dell’arte, del cinema, della scuola, della radio e della televisione, nonchè di tutti canali privilegiati per la massificazione dell’opinione pubblica, legati direttamente od indirettamente al PCI, quale nuovo principe, al quale rendere organicamente servigi, la strada per la conquista gramsciana della società e del potere appariva senza ostacoli, senza la resistenza, via via sempre più agguerrita, di una pattuglia di redattori ed una rete di esimi ed indomiti collaboratori, dotati di chiaro intelletto e di un patrimonio d’idee forti e non contrabbandabili per alcun motivo al mondo.
E così apparivano sistematimente, accompagnati da bordate memorabili di cannone, contro la banalità e l’arroganza dei potenti, gli articoli di firme prestigiose come quelle di Prezzolini, Montanelli, Ansaldo, Furst, Nemi, Preda, Buscaroli, Giovannini, Accame, Giusti, Scalero, Brin, Peirce, Beltrametti, D’Andrea, De Biase, Guareschi, Artieri, Cirri, Quarantotto, citando alcuni nomi soltanto.
Ho vivo, nella mia mente di liceale di allora, il successo di vendite e di diffusione raggiunto negli anni sessanta dall’ebdomario più compulsato e temuto d’italia, all’indomani della caduta del governo Fanfani per un’impudente ed improvvida intervista, favorita dalla moglie dell’allora presidente del consiglio, rilasciata dal prof. La Pira, sindaco prodigo e mistico della città di Firenze, a Gianna Preda.
Ed è stampata nella mia memoria l’inizio della collaborazione, durata fino alla sua morte, di Giovannino Guareschi, dopo la brusca interruzione delle pubblicazioni di quell’altro capolavoro giornalistico che fu il ”Candido“, abbandonato senza scrupoli , per ragioni di bassa cucina politica, dal commendator Rizzoli.
La penna del popolare scrittore emiliano contribuì a rendere “Il Borghese“ un caposaldo insostituibile nella battaglia culturale condotta nei confronti del clerico-marxismo, aprendo nuove vie alla libertà d’opinione non irregimentata dalla partitocrazia, anche con critiche spregiudicate agli schieramenti di destra, in nome di valori legati alla tradizione occidentale.
Bentornato, dunque, tra noi, indimenticabile “Borghese”!

La viltà dell'Occidente


C'è qualcuno che ricorda la viltà dell'occidente, durante i moti della rivoluzione ungherese nel 1956 contro il regime comunista?Se non erro, la "ragion di stato" prevalse nel mondo libero: ero piccolo, ma la sensazione di una popolazione abbandonata a se stessa, mi è rimasta impressa nella memoria.In quella ed in tante altre occasioni, in cui le cosiddette "democrazia liberali" dovettero rimanere immobile, di fronte alle tragedie di popoli sottomessi e troppo deboli per vincere dittature repressive e sanguinarie ed omettere, anche soltanto, d' imporre sanzioni, magari simboliche, in segno di solidarietà con le vittime del totalitarismo, ho sentito il peso della sconfitta morale.
C'è voluto il crollo del muro di Berlino per consentire ai più di vedere e richiamare la verità, compresi gli ex o i post comunisti.Credo che il Capo dello Stato sia oggi sincero nei suoi atteggiamenti, così come era coerente nelle sue scelte sbagliate, durate oltre cinquantanni.Se non altro non ha perseverato nell'errore ed ha avuto il coraggio di compiere un gesto di contrizione, mostrando, nel complesso, nello svolgimento del suo incarico, la dignità del ruolo "super partes" ed il convinto rispetto per la nazione, col superamento della faziosità ideologica del suo vecchio partito.Quel che mi fa rabbrividere è chi oggi celebra la "rivoluzione d'ottobre", non avendo timore di apparire patetico e fuori dalla storia. E quel che m'indigna, ancora una volta, è l'inazione dei paesi occidentali di fronte all'imperversare delle violenze liberticide ed assassine nei confronti delle minoranze politiche e religiose.Mi riferisco agli ultimi esempi vergognosi della Birmania e della Cina nei confronti delle minoranze buddiste e del popolo tibetano.Questi stermini programmati (così come quelli contro i cristiani) possono perpetuarsi, nella pressoché totale indifferenza e non vengono minimamente contrastati, neppure boicottando adeguatamente le prossime olimpiadi, per quanto riguarda i crimini cinesi.Non è tanto l'odio che serve, ma il coraggio di combattere questi mali con la forza che necessita per tentare di cambiare le situazioni interne ed internazionali, proprio nel nome della verità e della libertà (non solo teorica).Ben vengano quindi le commemorazioni, ma cerchiamo d'imparare dalle lezioni del passato che non si difende lo stato (della libertà) "cum parole", come avrebbe detto Machiavelli, ma reagendo con i fatti, attivamente, con lucida consapevolezza e senso di responsabilità, individuale e collettiva, a quello che è sotto gli occhi di tutti, prima e dopo il crollo delle ideologie: il suicidio dell'occidente come sistema di valori universali.
P.S.
..... Ma è morta, a Budapest, anche la nostra “reazione”. Non ce n’era sulle barricate, fra i protagonisti del più bello e nobile episodio della storia europea di dopoguerra. Non ce n’era né in senso fisico, né in senso metafisico. La libertà e il socialismo che irrigidivano quelle folle nere e silenziose, compatte come macigni, contro il sopruso e l’aggressione, sono una religione nuova, incubata in un decennio di sofferenze, di cui noi non abbiamo l’idea, e che un giorno ci conquisterà: non facciamoci illusioni. Non perché essa porti “istanze” più moderne e originali, programmi più validi e arditi; ma perché porta, nell’affrontare i problemi, una serietà, un impegno, una decisione, una devozione, insomma un clima morale, di cui noialtri occidentali s’è perduto il ricordo.....
(“Esame di coscienza dinanzi al popolo ungherese” di Indro Montanelli, Corriere della sera, 25 novembre 1956)