sabato, settembre 10, 2005

Le ragioni di Brunetta


Renato Brunetta ha ragione.

Nell'esternazione di stamattina, critica aspramente Forza Italia, ma la critica si può estendere a tutto il Centrodestra.

In buona sostanza, egli dice che le aspettative degli elettori, nel 2001, erano quelle di un effettivo cambiamento della politica, una modernizzazione del paese e delle istituzioni.

Purtroppo la spinta si è andata spegnendo nel paludoso parlamentarismo, nelle piccole manovre del corridoio dei passi perduti, nelle soffocanti segreterie di partito, fino agli esiti attuali, che non sono certamente brillanti, a causa un atteggiamento rinunciatario e possibilista, tutto teso ad ingraziarsi mass media ed avversari.
L'esatto contrario della richiesta dell'elettorato moderato.

Riteniamo che certamente i risultati positivi non sono mancati in questi anni di governo, ma la litigiosità, i personalismi, la tabe della partitocrazia hanno attaccato una compagine, che avrebbe dovuto compiere una vera e propria rivoluzione nella mentalità, nel costume, negli assetti costituzionali, ma che non ha avuto purtroppo il coraggio d'incidere a fondo nella realtà sociale.
Spiace dirlo, ma qui, all'interno dell'area liberale, si gioca di rimessa e, a pochissima distanza dalle elezioni generali, non s'intravede un programma unitario e determinato per presentarsi all'opinione pubblica senza complessi, tentennamenti, incertezze, con una salda presa di posizione sui temi di maggiore interesse e l'elaborazione d'idee per vincere, almeno sul piano culturale se non politico od aritmetico: la crisi economica, i modi più appropriati per il rilancio delle attività produttive, il mezzogiorno, i giovani, le riforme dello Stato e della pubblica amministrazione con la sconfitta della burocrazia e lo strapotere fiscale, l'assistenza ai ceti deboli, la creazione di spazi più ampi per le libertà individuali e collettive, nella salvaguardia della sicurezza del cittadino e la lotta senza quartiere al terrorismo interno e internazionale.

Non è importante soltanto la vittoria delle urne, ma la conquista di un'identità piena, forte, suggestiva e credibile sul piano dei princìpi e dell'organizzazione del consenso.

Abbiamo l'impressione che manchi una visone gramsciana- ci si consenta il termine- per la trasformazione della struttura sociale in senso libertario da un lato e, dall'altro, nel ripristino del senso dello Stato, della legalità, della crescita del benessere e la perequazione delle diseguaglianze con la valorizzazione dell'economia sociale di mercato e delle capacità d'impresa in senso globale e competitivo.

Occorre costruire, con grinta ed aggressività, l'immagine di un polo moderno, ma con radici profonde nella tradizione culturale italiana ed europea, libero da pregiudizi e timidezze nell'abbattere il vecchio establishment in tutti i campi, senza patteggiamenti e compromessi, che alla lunga esauriscono il patrimonio vitale del fronte liberal-conservatore, il quale, se necessario, dev'essere pronto ad assumersi l'onere di un'opposizione seria, costruttiva, implacabile, temibile, contro le disfunzioni di un sistema corrotto ed in disfacimento, quale il centrosinistra vuole riproporre per la difesa della nomenklatura del vecchio potere.
Finora, ci pare che solo il premier manifesti proposte chiare, precise e disinibite per affrontare l'agone elettorale.

Basterà per coagulare, attorno al polo delle libertà, con anticonformismo ed un pizzico di fantasia, le energie adatte a combattere e vincere?

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