lunedì, agosto 15, 2005

Buon ferragosto

Non ti curar di loro...


"Sartori e la morale dei paraculi"

L'indicibile Professor Sartori in un commovente articolo sul Corsera, nel rievocare fasti familiari, si diffonde in un'epica lezione di moralismo, ad uso e consumo di una certa parte politica, ormai priva di referenti di spessore sul piano culturale e delle idee.

L'emerito, che nel frattempo ha ritirato le dimissioni, rientrando impunemente nell'associazione "Libertà e giustizia", perdonando il suo patron De Benedetti per essersi pentito dell'affare concluso con il diabolico Berlusconi, erudisce il mondo sul bene ed il male, con una classificazione magistrale.
Per chi non lo sapesse, l'universo si divide in persone perbene e persone permale.

Sembra l'uovo di colombo, ma non lo è.

Pensate bene alle sussunzioni ideali, che immediatamente il geniale politologo aggiunge, ad esemplificazione dell'acuta distinzione degna di una cattedra alla Columbia University.
Esse s'incarnano, manco a farlo apposta, pur senza esplicite indicazioni nominative, nelle somme figure del capitalismo buono, che trovava e trova in Mediobanca il proprio naturale luogo d'incontro.

Il pistolotto dell'esimio scienziato, sul massimo quotidiano perbene, traccia insomma il quadro edificante della vera classe dirigente in campo economico e politico, quella che, per definizione, fa solo affari puliti, non specula, non si arricchisce con l'insider e produce nell'interesse del paese e della classe lavoratrice.

In primo piano, presumiano che il Sartori collochi sempre lui, il Carlo Magno dell'economia etica, l'ing. De Benedetti, da cui ogni aspirante imprenditore dovrebbe prendere esempio, ad edificazione propria e della buona società.

Che dire, per gli altri, per coloro i quali non hanno le stimmate del capitalismo chic, progressista e sostenitore dei prodi dell'Unione, il movimento che darà vita, tra breve, al mondo nuovo, purificato e giusto?

Per quelli vale l'antica massima del "non ti curar di loro, ma guarda e passa" di dantesca memoria.
Costoro sarà bene che sappiano di non aver diritto di cittadinanza e che, essendo dei reprobi, verranno combattuti e vinti in nome del Bene e della Democrazia.

Peccato che, in concomitanza col proclama del grande talento della scienza politica (italiana ed occidentale), ha fatto capolino il vecchio picconatore Francesco Cossiga, il quale, in tono pacato, ma fermo e documentato, dalle pagine di uno dei giornali cattivi, ha rievocato un episodio poco noto - rispetto ai tanti risaputi dell'ingegnere benemerito - quand'era alla guida dell'Olivetti, valida industria poi decotta, grazie alle virtù morali ed imprenditoriali del suo padrone, la quale - al tempo della guerra fredda tra le superpotenze- privilegiava nettamente i rapporti con l'Urss e il KGB.

Si tratta di una commendevole storia legata alla vendita, e al traffico con il servizio segreto dell'Est, di un congegno sofisticato, atto ad intercettare alcuni meccanismi del sistema difensivo USA, a prezzi proficui per la fabbrica d'Ivrea, ma poco utili per l'Occidente, tanto da richiedere contromisure severe da parte americana, con la sollecitazione di adeguate sanzioni presso il nostro Capo dello Stato e il nostro Ministro degli Esteri a carico del presidente della società piemontese.

Ricorda Cossiga con quanta fatica si riuscì a salvare il fedifrago Carletto dalle grinfie della Cia, la quale non gradiva, evidentemente, che - all'interno di un paese della Nato - si favorisse la potenza sovietica con commerci, che Sartori giudicherà etici, ma la maggior parte dell'opinione pubblica non valuta propriamente corretti.
Altrettanto accadde, peraltro, al tempo dell'intelligente e morale iniziativa del Ministro olivettiano Visentini, il quale, non sentendosi minimamente in conflitto d'interessi con l'azienda di De Benedetti di cui era consulente finanziario, decretò un bel giorno l' obbligatorietà, per tutti i bottegai, i famosi registratori di cassa, già in produzione, pressoché esclusiva, presso la stessa ditta, ad eccelsa gloria dell'economia perbene, come ebbe a testimoniare un'inchiesta svolta sull'argomento dal perverso settimanale Il Borghese di Mario Tedeschi.

Meno male che in Italia, accanto ai sepolcri imbiancati, sopravvive qualche irriducibile demolitore di luoghi comuni e di etica di cartapesta, praticata con inimitabile devozione dai paraculi di professione, per i quali si adatta meglio il summenzionato detto del sommo Poeta - a conforto delle persone permale, prive di scrupoli, neghittose ed indifferenti alla questione morale.

venerdì, agosto 12, 2005

"Democrazie mafiose" di Panfilo Gentile


Torna in libreria, per merito della Casa editrice Ponte alle Grazie, il brillante, perspicace saggio di Panfilo Gentile, Democrazie mafiose, analisi lucida e spietata della partitocrazia.

Un esame profetico della degenerazione dei partiti, aggravatasi nel corso degli ultimi trentanni (la prima stesura del pamphlet è del 1969), resa ancora più evidente dalla tirannide esercitata - in questo lungo periodo - dal sistema delle tessere (dei partiti), il quale, dal dopoguerra in avanti, è succeduto a quello della tessera (del regime fascista), in pratica, innovando quasi nulla rispetto al passato.
Nella nuova edizione del volume, curata da Gianfranco de Turris, con una postfazione di Sergio Romano, compaiono altri importanti contributi dello scrittore e studioso liberale (aggiungeremmo liberale doc), che completano la visione della società italiana e dei suoi vizi mortali, unitamente ad un'intervista concessa allo stesso curatore).

La figura di questo grande intellettuale laico (ricordo un suo saggio dedicato ad un'agnostica Storia del cristianesimo), critico implacabile dei regimi di massa e sostenitore di princìpi elitari, a garanzia di una democrazia efficiente e non inquinata da cosche e gang travestite da "organizzazioni democratiche", nell'alveo della grande tradizione sociologica dei Pareto dei Mosca e dei Michels, merita oggi di essere riscoperta, per la lezione di realismo politico - ancora utilissima per un possibile rinnovamento delle istituzioni e del costume del nostro paese.

Se ne raccomanda vivamente la lettura agli spiriti liberi.

lunedì, agosto 08, 2005

Caselli e la borghesia


In un articolo di prima pagina sul quotidiano comunista Liberazione, il procuratore Caselli lamenta l'ostracismo della classe di governo nei suoi confronti, riconducendola all' attività inquisitoria, da lui svolta a Palermo e grazie alla quale furono accertati "i legami della mafia con la borghesia politica, professionale", etc.etc. etc.

A parte la difficoltà di di reperire elementi precisi sui processi intentati e conclusi con le condanne richieste dalla pubblica accusa e quelli non ancora definiti in tutti i gradi di giudizio, risalta soprattutto, nel contesto richiamato da Caselli, la vicenda dell'On. Andreotti, che, se ricordiamo bene, è uscito dignitosamente dai procedimenti aperti a suo carico...

Non riusciamo a capire piuttosto il riferimento ad una classe sociale (la borghesia), indicata come complice di "cosa nostra", se non ricorrendo a valutazioni e terminologie metagiuridiche, cioè ideologiche.

Sembra quasi che il procuratore abbia condotto una guerra - non tanto contro la delinquenza organizzata ed i suoi complici - quanto contro il ceto, marxianamente inteso, come dominante, detentore delle leve del potere negli ambiti più svariati, primo fra tutti quello politico.

Francamente le sue proposizioni lasciano stupefatti.

In un cultore del diritto, una scienza con regole tecniche e linguaggio precisi, non trovano ordinariamente spazio considerazioni di altra natura.

Prospettive ed argomentazioni simili pensavamo fossero superate dai tempi.

Duole constatare che la visione di un fenomeno così complesso e diffuso a livello internazionale debba essere ricondotto e costretto nelle anguste categorie dell'ideologia, in obsolete classificazioni, contrapponendosi in maniera stridente alle analisi e alle definizioni di magistrati, come Falcone e Borsellino, impegnati per un tempo maggiore di quello di Caselli, a contrastare le offensive criminali diramantesi dalla Sicilia.

Personaggi onesti e competenti che, fra l'altro, non hanno mai attribuito fondamento e serietà all'esistenza di un "terzo livello" della mafia, nè ad altri fantasiosi intrecci di volta in volta costruiti dai mass media, magari per assecondare interessi diversi da quello della giustizia, depistando il lavoro degl'inquirenti.

E questi valentissimi servitori dello Stato non appartenevano forse a quella "borghesia professionale", che finora è stata l'unica, con pochi altri valorosi esempi (pensiamo per tutti al generale Dalla Chiesa), a testimoniare col sangue la lotta contro questo genere criminoso nefando ed interclassista quant'altri mai?

sabato, agosto 06, 2005

Grillini canterino


Non sappiamo quale sia la specifica competenza professionale dell'onorevole Grillini, presidente dell'arci gay e deputato diessino presenzialista.Ma crediamo che, al di là del relativismo imperante, egli non abbia dubbi sull'evoluzione del terzo sesso e dei nuovi compiti delle famiglie omofile e lesbiche.

In una conversazione sul tema delle coppie omosessuali e dell'adozione di figli da parte di quest'ultime, si è esibito in una performance pedagogica per i non addetti, di tale levatura da fare invidia ai cantori della modernità areligiosa e matematico-scientifica, che trova in Vattimo e Giorello i più rappresentativi esemplari.

Le ultime conquiste legislative in Spagna e la ventata di olandesizzazione, che attraversa i paesi europei, lo hanno convinto evidentemente che gli ostacoli ad una piena equiparazione agli altri sessi e alle coppie - un tempo - definite normali si possano agevolmente superare, in nome delle magnifiche sorti e progressive degli ex diversi, per condurli ad esercitare - a pieno titolo - maternità o paternità, senza più differenze di ordine biologico e psicologico.

Sotto quest'ultimo aspetto, l'ultimo debole baluardo è stato faticosamente innalzato, nel corso dell'incontro, da Anna Rita Parsi, psicologa evoluta e à la page, ma non del tutto svincolata, per il Saggio Grillini, da pregiudizi inammissibili e vieti luoghi comuni.

Infatti, alle obiezioni della prima, circa il diffuso timore sociale verso i matrimoni del terzo tipo, a causa della preoccupazione derivante dalla mancanza di nascite future, il parlamentare ha brandito trionfalmente i risultati delle più aggiornate indagini demoscopiche, secondo cui gli esseri più prolifici al mondo sarebbero proprio loro: gay e lesbiche.

Veramente egli si limita ad affermazioni perentorie, senza chiarire bene le fonti informative a cui riferirsi, ma la dichiarazione facilita comunque il successivo passaggio alla conquista dei figli, da attribuire alle nuove coppie, o con l'inseminazione artificiale, o con le adozioni.

A nulla valgono le argomentazioni della Parsi al riguardo, nel sostenere non tanto la diversità di funzioni, quanto quella (bontà sua!) di ruoli differenti tra padre e madre, costituenti fattori insostituibili di crescita per maschi e femmine, come la famiglia naturale (senza che l'aggettivo suoni offesa per alcuno, per carità!) testimonia da millenni.

Il Grillini se ne frega di questi argomenti, li giudica trascurabili di fronte allo zapaterismo che avanza e confina la psicologa nell'ultima spiaggia del sessismo, trattandola con malcelato disprezzo e costringendo la povera donna a ritirarsi in buon ordine con le ultime patetiche, sorpassate convinzioni pseudoscientifiche.
E noi?
Irriducibili nostalgici di antiche culture e pervicaci continuatori di pratiche erotiche reazionarie come faremo ad adattarci al nuovo mondo, ineluttabilmente destinato ad essere l'unico valido traguardo per il cammino dell'umanità?

L'importante quesito non ha avuto modo di essere affrontato nell'occasione.

E'probabile, però, che il canterino della new age sessuale ci prospetti la possibilità, per il nostro bene e e la nostra salvezza, di fronte alle dette indiscutibili verità, di frequentare appositi corsi di rieducazione, come avveniva in Cina ai tempi gloriosi della rivoluzione culturale, in modo da poter sviluppare una mentalità confacente al prossimo assetto sociale e riscattarci cosi dall'errore oscurantista.

Perché Grillini non propone, al compagno Presidente della Rai, un ciclo di trasmissioni televisive dedicate alla scoperta delle gioie e del primato degli accoppiamenti tra generi identici, utilizzando il titolo di una fortunata rubrica del passato regime televisivo, dedicata agli analfabeti e denominata, appunto, "Non è mai troppo tardi" ?

venerdì, agosto 05, 2005

Un tardivo, malinconico riconoscimento



Nel 1987, l'allora Ministro dell'ambiente Pavan aveva decretato il numero chiuso nella piccola ed incantevole spiaggia sarda di Cala Luna, presa d'assalto, nel periodo estivo, da gommoni, barche, barchette e turisti in numero non inferiora tremila presenze al giorno ( laddove la capienza massima sopportabile sarebbe stata, ad esagerare, di trecento persone).

Ordinanza specifica venne emessa a cura del capo del compartimento marittimo competente, per introdurre una regolamentazione degli accessi all'arenile sia dal mare dal mare, sia da terra, per non disperdere la qualità del sito sotto l'invasione di vere e proprie orde barbariche (addirittura catapultate, a volte, da elicotteri).

Immediatamente insorsero i comuni di Dorgali e Baunei, proprietari del territorio e la regione Sardegna, che s'impegnò in una furibonda battaglia giuridica, in nome della propria autonomia legislativa, ottenendo l'annullamento del decreto ministeriale, con la conseguenza di far ripiombare l'intera costa di circa quaranta chilometri, nel più selvaggio disordine e nella più grave manomissione ambientale.

Ora la cronaca della provincia Ogliastra riporta l'allarme delle autorità politiche sui danni derivanti dall'indiscriminato accesso alle varie località marine del proprio territorio, dall'insufficienza delle strutture igieniche e ricettive, dal collasso di una dei patrimoni più pregiati dell'isola, in nome di un turismo straccione ed incolto, che beneficia pochi addetti, per nulla sensibili al valore della bellezza e dell'equilibrio ecologico e progetta seriamente il ripristino del numero chiuso per i visitatori.

Nei fatti, un tardivo riconoscimento alla valutazione obiettiva, compiuta diciotto anni fa, in merito all'impatto dolorosoamente negativo che l'indiscriminato afflusso di nomadi itineranti nel segno della civiltà di massa, avrebbe comportato per quell'incomparabile litorale.

E meno male che decentramento ed autonomia contraddistinguono quel federalismo regionale atto a salvaguardare, nel modo migliore e diretto, gl'interessi delle popolazioni locali...

A tanti anni di distanza, sia reso onore al lungimirante onorevole Pavan.

giovedì, agosto 04, 2005

Le convulsioni di Ezio Mauro



In un fosco articolo di fondo su Repubblica, il direttore tenta un'analisi della situazione del gruppo editoriale L'Espresso, dopo l'ingresso di Berlusconi nella società di Carlo de Benedetti, destinata al salvataggio delle medie imprese in difficoltà.

Ezio Mauro non nasconde il proprio imbarazzo, la sua prosa è schizofrenica, nel compiere l'acrobatico tentativo per distinguersi dall’iniziativa del suo patron, con qualche timido e velleitario conato d'indipendenza ideologica dall'operazione finanziaria che ha messo d'accordo i due ex nemici, ma si capisce che il boccone amaro non lo digerisce: è in preda ad indomabili dolori di stomaco.

Mentre procede nell'esame del caso, sforzandosi d'introdurre delle ridicole spiegazioni del tipo De Benedetti ha creato la società, ma non ha chiesto a Berlusconi di parteciparvi... e cercando di accreditare l'idea che, a destra, sono esultanti per lo sdoganamento del salotto buono della finanza per imprenditori privi della benedizione della massoneria radicalchic e di sinistra, il Nostro si lancia in una sequela di affermazioni gratuite sulla classe di governo, degna del più becero repertorio propagandistico dei sindacati di base e dei disobbedienti d'estrazione ferroviaria-bolognese.

Ora, che Mauro non riesca a nascondere al suo pubblico gli attacchi di bile, e sia in preda profondo malessere all'idea che dovrà autodisciplinarsi nella gestione del giornale, per paura di perdere lo scranno, si capisce pure.

Non ha certamente l'autonomia di un politologo come Sartori, che, se non altro, si è dimesso dall'associazione Libertà e Giustizia, sodalizio affiliato allo stesso gruppo economico da cui dipende il direttore di Repubblica, il quale, al contrario, è convinto magari di potersi mantenere al comando del giornale, per una sorta di vitalizio affidatogli in nome dell'intellighenzia progressista e dell'elevazione delle masse operaie.

Come fa a presentarsi in pubblico, libero d'insultare questa destra, mentre il suo padrone non disdegna di affiancarsi, nel modo degli affari, all'odiato Cavaliere?

In realtà, l'area moderata guarda l'evolversi dell'accordo con commenti, anche critici, sulle pagine dei giornali, per l'esito che esso potrà avere sugli equilibri politici, e con argomentazioni ispirate a compostezza, frutto di mancanza di complessi.

Se il risultato sarà strategicamente apprezzabile per l'economia del paese, si sarà data la dimostrazione che l'era del guadagno privato e del deficit pubblico, alle spalle del contribuente, non è più di moda e che il connubio avrà portato qualche progresso al libero mercato, nonostante le convulsioni di Ezio Mauro e della sinistra capitalista.


lunedì, agosto 01, 2005

Ex nemici = amici ?


Silvio Berlusconi e Carlo De Benedetti si uniscono in una società che provvederà alla costituzione di un fondo comune d'intervento a favore delle medie imprese in difficoltà.

La notizia, che ha raccolto un pressoché unanime favorevole accoglimento da parte della stampa, segna la nascita del nuovo salotto buono della finanza italiana.

Personalmente ci rallegriamo dell'ingresso di Berlusconi nella rinnovata mediobanca, al posto degli Agnelli e di Cuccia, a suo tempo inventore in campo economico delle nozze con i fichi secchi, atte a garantire - soprattutto - un avvenire relativamente sicuro a Mamma Fiat.

Non ci è mai parsa giusta l'idea di una sua esclusione, dalla cabina di regia, perché ritenuto un parvenu nel mondo imprenditoriale del bel paese.

Però un po' c'inquieta l'idea che ora egli si allei in qualche modo con De Benedetti.

Ciò di cui avrebbe bisogno l'Italia non è tanto la presenza di due papà come loro e di zii moderni e sportivi come Luca Montezemolo e Diego Della Valle e Nerio Alessandri, quali numi tutelari della stanza dei bottoni, in cui saranno bandite le banche nob d'affari e si lavorerà a favore della competizione internazionale, secondo l'annuncio solenne dell'Ingegnere, ma che alla teoria della libertà di mercato segua la pratica effettiva c che si favoriscano altre serie intraprese per essere presenti e protagonisti nell'era della globalizzazione, raccogliendo le sfide dell'economia nordamericana ed asiatica.

Vorremmo che l'iniziativa portasse buoni frutti a favore delle medie imprese in difficoltà ed aiutasse l'Italia a liberarsi dai monopoli legali, dai soggetti semiprivatizzati avvinti alle rendite di posizione parassitarie fondate sui debiti.

Riusciranno gli ex nemici ad essere amici tra loro e dell'economia libera, di cui il nostro paese soffre cronica mancanza?

Che se ne faranno altrimenti, i cittadini di un gruppo di protettori, quando non ci sarà più nulla da proteggere in questo antico suolo?