lunedì, giugno 30, 2008

La presunzione non è mai troppa !


Un breve saggio dello storico Franco Cardini pubblicato su "Europa Oggi", dedicato all'islam ed ai mussulmani, nel quale, fra l'altro, mette in rilievo la tendenza degli occidentali alla superficialità, nel valutare uomini ed avvenimenti di quella vasta area culturale e religiosa, fondata sul culto di Allah e del Corano.

Non sempre le tesi dell'illustre studioso sono condivisibili, ma, in questo caso, egli metteva correttamente in luce un grave difetto del nostro approccio intellettuale con una delle tradizioni spirituali più importanti, e degne di rispetto, nella vita religiosa d'oriente, sfatando alcuni miti e demolendo certi pregiudizi, difficili da eliminare dal bagaglio d'incomprensione ed ingiustificata sufficienza di molti commentatori nostrani.

Specialmente in occidente ed ai giorni nostri, essere presuntuosi è normale.

Non ce ne accorgiamo ed, ogni volta che possiamo, aumentiamo le nostre pretese di superiorità.

Che ne direste se un giornalista mussulmano, di fronte ad una violenza sessuale, dicesse che la regola da noi è lo stupro?

Risponderemmo che ha sbagliato e che in realtà non siamo tutti violentatori da queste parti.

Ma se un padre mussulmano vende una fanciulla di 16 anni al promesso futuro marito sessantenne, è la fine del mondo!

Eppure i matrimoni d'interesse ci sono tuttora anche da noi.
In molte regioni d'Italia non è sparita la prassi di far coniugare i rampolli di famiglie ricche e potenti ed in tanti casi ancora, più o meno mascherato, sussiste il vincolo dell'inalienabilità del patrimonio ereditario, da lasciare intatto di generazione in generazione.
E quante belle fanciulline del nostro paese hanno fatto e continuerebbero a fare la coda per farsi impalmare da qualche sceicco avanti con gli anni.

Un esempio negativo è un esempio negativo, sia in oriente che in occidente, ma non si può generalizzare.

E' quindi poco convincente muovere all'attacco di una religione, senza conoscerne bene i contenuti, la prassi, l'interpretazione derivante da studi profondi e rigorosi.

Purtroppo capita che personaggi reputati intelligenti, per il gusto della boutade o della polemica fine a se stessa, non rinuncino a cavalcare la tigre dell'ovvietà e del pregiudizio, pur di dare addosso a chi pratica usanze religiose, e no, diverse dalle nostre, piccandosi di conoscere ed emendare testi dottrinari millenari con la solita mentalità neo-illuminista e perfidamente semplificatrice.

E' accaduto così che la nota giornalista Maria Giovanna Maglie, transfuga, se ben ricordiamo, della televisione d'assalto progressista e positivista degli anni settanta, ora ritenga di fare le pulci ai costumi mussulmani e alla religione che li ispira, per portare un po' di modernità in paesi ancora sottratti alla luce dei Mac-Donald's e della globalizzazione.

Lo ha fatto sulle pagine del "Giornale", ricordando, nell'epilogo dell'articolo, come a Roma si sia abituati a criticare, in piazza, il Papa e a rivendicare il relativismo in tutti i campi, compreso quello il Trascendente.

L'abitudine a parlare a ruota libera, a credere di essere i migliori del mondo, ci fa superare ogni limite.

Dalla vendita della bambina per arrivare a Maometto, il passo è breve. Questo profeta è nato intorno al 600, ma i suoi seguaci, che continuano a seguire insegnamenti non aggiornati ai tempi, non si sono mai adeguati all'evoluzione dei costumi, sostiene la chiara articolista.

Se si è coerentemente relativisti, si accettano altre fedi e convinzioni, diciamo noi ragionevolmente.

E' un po' come la democrazia: c'è chi l'accetta e chi no.
E, dopo la guerra in Irak, si sente spesso ripetere che non abbiamo il diritto di esportare il nostro regime politico.


Ma allora perché dovremmo esportare l'aborto ed altre convinzioni di libertà come se fossero il Corano, ovvero una verità rivelata?
Gli altri popoli sono stupidi e noi no.


Noi sappiamo qual è il bene e il male e critichiamo anche la dottrina della Chiesa cattolica se non è progressista a sufficienza.
Ma questo non è relativismo, è il fondamentalismo del relativismo. Ed è soprattutto eccessiva presunzione!

L'agguerrita signora Maglie farebbe volentieri una crociata libertaria nei paesi mussulmani per imporre un aggiornamento della religione coranica.

Perché anche loro non fanno le loro proteste in piazza contro i capi religiosi?

Andiamo ad insegnargli come si fa.

In fondo il relativismo non è altro che un livellamento, imposto agli altri, sulla scorta dei nostri luoghi comuni.

Che orrore la diversità, se è rappresentata da consuetudini e costumi di popoli non occidentali e non occidentalizzati.

E' possibile che non venga il dubbio a nessuno che, forse. la maggior parte dei mussulmani si trova bene nel proprio assetto sociale e che, magari, la presunta vendita di una sedicenne non è, probabilmente, il parametro giusto per esprimere giudizi tranchant su altre culture ed altri sistemi politici?

"I sette pilastri della saggezza" dell'esimio colonnello T.E.Lawrence non ci hanno, evidentemente, insegnato nulla.

martedì, giugno 24, 2008

Tempus fugit


Viviamo sotto il cielo dell'impermanenza, che Marc'Aurelio definiva
"Un torrente impetuoso che tutto trasporta.La qualità della causa di tutte le cose, separata dall'elemento materiale del mondo."

Io sono stato assente dal web per alcuni mesi, dopo aver subito un ulteriore attacco telematico, che rischiava di far chiudere il blog, sia per l'irritazione derivante dalla reiterazione di certi episodi, sia per la noia indotta, alla lunga, dalla stupidità e dalla cattiveria umane.

Ma poiché ero affezionato a questa pagina, ho voluto ricomiciare, pur prendendomi uno stacco salutare.

E' servito per vedere il mondo con altri occhi.Non più sub specie aeternitatis, ma con la lente dell'impermanenza.

Se si prova a considerare ciò che ci circonda non in senso assoluto, ma relativo, si fanno scoperte interessanti, anche se non sempre positive.

In questa palestra delle vanità che è ormai internet, infatti, ognuno porta la propria personalità.

Un elemento assolutamente inconsistente e fatuo, se inserito nel flusso inesorabile del tempo.

I Romani, della stirpe di Marco Aurelio, sapevano bene di vivere nell'immanenza e quindi nell'impermanenza.

Ciò nonostante avevano creato un sistema di valori, di relazioni sociali e culturali, il quale consentiva di regolare il loro mondo secondo cardini irrinunciabili e permanenti, come se l'eternità fosse sempre al di sopra delle proprie teste.

Questo a ben pensarci è un mirabile frutto della logica e del pragmatismo della civiltà romana, che consentiva di disporre del proprio essere nella maniera più armonica possibile, riconoscendo la validità di alcune regole sgorganti dalla ragione, al di là delle generazioni e della transitorietà della Storia .

Quindi è vero che tutto è caduco e tutto si trasforma; però le regole del gioco sono stabilite una volta per tutte e vanno seguite per tutti, proprio in quanto rispondono ad un'intima esigenza dell'uomo.

Se ci si pensa bene, queste leggi del vivere tra uomini dovrebbero valere anche oggi.

Il fatto è che in epoche di crisi, così come gli eventi, che hanno attraversato la stessa Roma antica, stanno a testimoniare, le carte vengono sparigliate o nascoste o truccate.
E se hanno la meglio i bari o i bleffeur, ci si trova un po' tutti a mal partito.

Dalla piccola esperienza fatta, con l'interruzione, volontariamente impostami, nell'ambito del weblog, ho scoperto che alcune cosiddette amicizie si sono diradate, altre sono scomparse; alcune sono rimaste e di nuove s'intravede la nascita.

Senza dubbio è stato un ammaestramento.

Ancora una volta la trasformazione è avvenuta, lasciando che ciò che era autentico, come valore, rimanesse, mentre le scorie si disperdevano, lasciando spazio al nuovo e all'imprevisto, affascinante e seducente per sua stessa natura.

Tempus fugit, è vero, ma non è poi così male.

domenica, giugno 22, 2008

La puzza sotto il naso


C'è molta gente dalla puzza sotto il naso. Con il passare del tempo forse un giorno cambierà, dopo averlo sbattuto contro qualche imprevisto incidente di percorso, ma intanto va sopportata.


Tra la marea crescente di signorini soddisfatti come avrebbe detto Ortega y Gasset, i quali credono di tutto sapere e reclamano diritti inesauribili alla conquista della società, una nutrita schiera alligna tra i cosiddetti intellettuali e la loro sottospecie giornalistica.


Ma anche tra le persone comuni, presenti nelle nostre relazioni quotidiane, si è fatta strada, da qualche decennio, questa mentalità legata ad un'eccelsa presunzione, tanto più consistente, quanto più larghe sono le buche della propria ignoranza.


Noi siamo, a dispetto delle apparenze, un popolo arretrato e retrivo, colmo di superstizioni e pregiudizi mentali, insuperbiti da un benessere fasullo, quasi tutto originato da bluff finanziari, composto quindi di lustrini e specchietti, come dimostra la crisi economica in atto, dove chi è più furbo la fa quasi sempre franca ed, inorgogliendosi delle proprie bravate, si ritiene autorizzato a disprezzare il prossimo, specialmente quando si trova di fronte a soggetti ancora dotati di buon senso e, consci dei propri limiti, non avvezzi a fare, come si diceva un tempo, il passo più lungo della gamba.


Le antiche virtù sono scomparse e quelle tipiche della piccola borghesia o dei ceti popolari sono state sostituite, grazie ai mass media dominati dalla volgarità e ad una scuola ricettacolo di tutte le bassezze del consorzio sociale, dalla volontà di sopraffazione per coltivare l'arrivismo ed il facile guadagno: Il denaro è la merce di scambio più utilizzata e sul mito della ricchezza ad ogni costo ormai si misura la vita.


L'esistenza ha perso del tutto o quasi il fascino dell'avventura, il richiamo della bellezza, l'aspirazione alla realizzazione spirituale di sé, l'apertura verso il mondo, il rispetto dovuto all'altro, oltre che alla propria individualità.

Oggi si tende invece a lasciare sempre meno spazio a quanti non vogliano soggiacere alla prepotenza e all'arroganza,alla violenza morale , a volte, velata dall'ipocrisia sociale, altre volte, scoperta e brutale.






lunedì, giugno 02, 2008

ARCHEOLOGI VERI O PRESUNTI?


"NURAGICI E BALENTES"
Il Prof Carlo Maxia è un noto studioso di archeologia, dotato di appeal e sense of humour.

Potreste tranquillamente definirlo un esemplare dell'etnia anglo-sarda-araba, una rara specie dedita alla ricerca ed allo stesso tempo attenta al mondo concreto: personaggi che vedono il mondo con gli occhi dinsincantati degli intellettuali, ed ancor più la storia come inesauribile avvicendarsi di poco epiche costumanze.
Tant'è che nei suoi saggi acuti per interpretazione dei fatti e brillanti per il tono divertito con cui elabora le proprie teorie, il professore non esita ad andare controcorrente ed a lanciare le proprie frecce intrise di caustico pessimismo contro le teorie dominanti anche in campo scientifico.
Ora mi è capitato di leggere un lungo articolo(*) frutto dei suoi studi sulla religiosità dei nuragici, con il quale fa piazza pulita dei luoghi comuni, che trovano tuttora largo riscontro in una certa idea del popolo sardo e della terra antica a forma di sandalo.
Non esiterò a tornare sull'argomento se sarà il caso.

Però contro la balentìa ancora imperante nell'isola, come categoria culturale ed etica, il docente non è d'accordo e si vede lontano un miglio.

I protosardi non solo erano piccoli di statura, ma furono conquistati in un batter di ciglio dai cartaginesi, divenendo loro schiavi o, nella migliore delle ipotesi, loro piccoli mercenari.

Secondo lui, poi, il riso sardonico non aveva nulla di profondo, come qualcuno tentò di dire: era semplicemente dovuto all'uso di una sostanza psicotropa, che rendeva intontiti e produceva le smorfie rappresentate dalle maschere antiche ( e qui il Prof. Maxia cita un altro sardo colto e spiritoso come il Prof. Gessa).
Infine, questi nuragici non facevano bronzetti, perché troppo poveri (avevano lo stagno, ma non il rame), né s'interessavano a guerre o scorribande tali da impensierire i conquistatori che si succedettero nell'isola.
L'unico vanto che ad essi può esser concesso è che fossero religiosi e molto devoti agli antenati ed al dio Sole (!), non tanto al Sardus Pater ad altre divinità di stampo classico od ellenistico, come la fantasia di altri scrittori ha fatto propendere a credere.

Sacrificavano col sangue del toro sulle migliaia di are sacrificali sparse un po' ovunque in Sardegna, venerando l'acqua (i famosi "pozzi sacri" derivano da quest'attitudine) ed i pascoli per le greggi.

Se qualche assonanza può rintracciarsi con altrettanto antiche popolazioni, esse vanno rintracciate non con i celti e gl' indoeuropei, ma con alcune tribù africane....., peraltro non cannibaliste, ci pare di capire.
Bene.

Il testo da cui ho tratto queste asserzioni, più o meno colorite, risale agli anni settanta. In esso si criticano ancora le amministrazioni pubbliche cagliaritane per il disordine imperante in città.

Oggi mi pare che qualche progresso ci sia stato, fino a definire Cagliari, nonostante i tempi, una delle più belle, pulite ed ordinate città del mediterraneo.

Ignoro per il momento se analoghi passi avanti nella ricerca archeologica e negli studi etnologici siano stati fatti, per non deprimere troppo i cultori di Shardana, nonché i balentes di ieri e di oggi.
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(*)Carlo Maxia, Religiosità dei nuragici ed are sacrificali, Rendiconti del Seminario di Scienze dell'Università di Cagliari, fasc. 3\4 1974.