giovedì, marzo 18, 2010

Il ducismo


Se qualcuno pensasse che il fenomeno del ducismo sia stato circoscritto al fascismo ed abbia ormai esaurito la sua storica esistenza, dovrebbe sensatamente ricredersi.

La frase coniata da Longanesi, probabilmente con sottile senso dell'ironia, ''Mussolini ha sempre ragione'', riveduta ed aggiornata, accompagna in realtà tutto il nostro cammino di nazione in bilico perenne tra populismo e anarchismo, familismo e provincialismo, qualunquismo e statalismo, sempre in cerca di uno stellone accompagnato da un uomo del destino, che si prenda la briga di tutelarci, risolvendo i problemi della nostra quotidianità, ma lasciandoci liberi di compiere piccole e grandi malefatte. Il ducismo e il culto della personalità del capo sono nel Dna dell'homo italicus.

Basti pensare al 'Principe' ispirato da Cesare Borgia per considerare seriamente l'ipotesi di un sottile filo rosso, teso a individuare di volta in volta e non sempre con scelta felice, il buon padre della patria da innalzare sul trono ed osannare, servire conformisticamente ed abbattere quando non è più in buona salute o è colpito dai rovesci della fortuna.

Nel periodo della monarchia risorgimentale, non c'erano molti sforzi da fare, bastava il re accompagnato da qualche buon cancelliere.

Durante il ventennio, applaudire il condottiero inviato dalla provvidenza fu uno sport condiviso e diffuso da quasi tutta la popolazione.

Nel secondo dopoguerra, fu la volta di personaggi allevati all'ombra della Chiesa, dal piglio meno virile, ma pur sempre dai modi accattivanti e pii a riscuotere successi elettorali abbastanza duraturi.
Pensiamo a Degasperi prima e Andreotti dopo, considerati per decenni i salvatori dell'Italia e della democrazia.

Esauritosi un ciclo piuttosto critico con la stagione del compromesso storico e del caf, che vide affiorare il social fascista Craxi, il decisionista ritrovato, dopo diversi anni di molle tran-tran parlamentarista, ecco apparire, sulle macerie della prima repubblica, l'uomo nuovo dell'economia imprenditoriale, nato fuori dalle segreterie dei partiti, animato dall'idea un po' balzana di dare nuovo impulso alla politica con la sua discesa in campo contro i professionisti della politica, proprio nel momento in cui la società caracollava verso il vuoto di potere o era prossima alla conquista del governo da parte della sinistra.

Il grande Silvio divenne l'eroe dei moderati e della maggioranza silenziosa, il suo successo ricordava per qualche aspetto quello di Guglielmo Giannini, il fondatore dell'Uomo Qualunque, e Forza Italia appariva alla gente comune un movimento lontano dalla partitocrazia, dal gioco delle clientele, dal deteriore parlamentarismo, aperto alla società civile e destinato a compiere finalmente la rivoluzione liberale. Un rinnovamento sempre auspicato e mai realizzato per ammodernare il paese, sburocratizzarlo, renderlo degno della sua grande storia di civiltà e per promuovere i ceti produttivi contro il parassitismo pubblico, coltivato dai partiti dopo lo spodestamento dello stato.
Nei confronti del nuovo leader capace finalmente di parlare ai cittadini, fuori del politichese, com'era da aspettarsi ci furono acclamazioni e lodi, fiducia esaltante, consenso altissimo e infine anche una buona dose... d'idolatria, nella convinzione di aver ritrovato un nuovo duce, democratico e liberale, ma sempre duce.

Se fate caso al clima arroventato, quasi da guerra civile, nel quale l'odio degli avversari si riversa senza misura verso Berlusconi, i Berluscones ed il Berlusconismo, e al modo in cui i sostenitori del premier reagiscono, soprattutto nella difesa della persona e di ogni scelta, anche non felice, fatta dal capo, vi accorgerete che viviamo ancora nel tempo che privilegia il culto della personalità, rispetto ai programmi e alle idee.

La maggioranza pare reggersi soltanto sulle vittorie elettorali del Presidente del Consiglio, sulla sua capacità di tenere unito quello che ormai è divenuto un partito come gli altri e di liberarsi dalle insidie di amici e avversari interni, di difendersi dai colpi della magistratura e dagli attacchi velenosi dell'opposizione e dai media che la sostengono, spesso senza rispetto delle regole democratiche e dei principi di tolleranza.

Il ducismo salverà il paese dalle mille contraddizioni che lo attanagliano, dall'assalto alla diligenza delle corporazioni, dalla resistenza delle vecchie nomenklature, dall'urgenza di riforme che realizzino finalmente uno stato di diritto, l' effettiva divisione dei poteri, l'efficienza della magistratura e la sua spoliticizzazione, le liberalizzazioni, la meritocrazia e l'abbattimento delle sovrastrutture burocratiche e fiscali, il voto di scambio, la restaurazione dello spirito comunitario ed il valore indiscutibile dell'individuo-persona?

Il punto è qui.

Non è il caso di moderare il tifo, di allontanare gli yes man, e di pensare seriamente al futuro, con il rafforzamento delle caratteristiche e delle finalità del partito leggero delle origini, senza cedimenti alla lotta del potere per il potere, all'allocazione di posti per nepotes, vassalli valvassini e valvassori, di cui la prima vittima sarebbe proprio il nostro tanto amato ed odiato caudillo?