lunedì, settembre 17, 2007

Grillo? Perché no?


Confesso di aver ammirato Grillo come attor comico e di averlo detestato quando cominciò ad occuparsi di politica.


Il suo blog l'ho letto e contestato e non mi sarei aspettato alcuna evoluzione nel suo atteggiamento mentale.


Dopo l' 8 settembre le cose sembrano cambiare nel suo modo di vedere la politica e mi pare un passaggio positivo.


La partitocrazia ormai nessuno la criticava più e nessuno metteva nei propri programmi il suo abbattimento, quanto mai necessario per un effettivo rinnovamento sociale.


Non dico che passerei armi e bagagli con lui senz'aver verificato i punti qualificanti del suo programma che apparirà sul suo blog tra qualche giorno, ma ci sto facendo un pensierino sopra.


Si vedrà.


Se - oltre alle flebili voci di autentici contestatori del malaffare dei partiti come Massimo Fini - ci sarà un movimento che affronta seriamente il problema dei problemi del nostro paese -costituito dalla nomenklatura che ci governa come un'oligarchia e che ci riduce in schiavitù ogni giorno che passa utilizzando, con intenti onesti, persone competenti e libere ( a cominciare dalle liste civiche), ritengo sia compito di ogni cittadino dabbene prestare la dovuta attenzione e dare il proprio, piccolo o grande, contributo, per la demolizione sistematica dei privilegi della classe cosiddetta dirigente, arrogante e delegittimata -la quale ha finora badato ai propri comodi, piuttosto che all'interesse del cittadino, burocratizzando sempre di più i rapporti tra potere e sudditi, e sperperando il denaro pubblico.


E allora dico: Grillo? Perché no?


Al di fuori dei vieti schemi della destra e della sinistra, ben venga una rivoluzione culturale, autentica e libertaria, che spazzi via i cialtroni che non ci rappresentano e che ci opprimono.


Attendiamo il nuovo progetto e poi valutiamo e decidiamo di conseguenza.


Intanto, evviva il vaffanculo day!

domenica, settembre 16, 2007

Monsieur Ibrahim ed i fiori del Corano



Un film del 2003 di Francois Pupeyron ha colpito oggi la mia attenzione.

Una tematica intelligente sviluppata con sobrietà d'immagini e di dialoghi, composti con eleganza e sensibilità ed un'eccellente interpretazione di Omar Sharif nella Parigi degli anni sessanta.

Una storia delicata incentrata sul legame che si sviluppa tra un commerciante mussulmano ed un ragazzo di nome Mosè, abbandonato in tempi diversi da madre e padre.


Col diminutivo di Momo, l'adulto negoziante, dotato di grande saggezza e di un patrimonio di emozioni ricco ed esemplare, chiama il giovinetto accattivandosene la simpatia e la stima.


A poco a poco diventa il suo genitore putativo trasmettendo tutto ciò che ha imparato dalla vita ed aprendo una strada imprevista per il figlio adottivo, che continuerà il mestiere di chi l'ha adottato con amore e spirito benevolo verso il mondo.


Un bel film contrappuntato da musiche degli anni antecedenti il sessantotto. Sembrano trascorsi dei millenni dalla rivoluzione del maggio francese.


Eppure le parole tratte dai fiori del Corano sono lì ad indicare percorsi dimenticati ma sempre sicuri: "La lentezza è il segreto della felicità"dice prima di concludere la propria esistenza Monsieur Ibrahim al figlio, "non la ricchezza!"


C'è da sbigottirsi, ma anche da nutrire qualche speranza...

mercoledì, settembre 12, 2007

Il paradiso...




Consiglio a me stesso e a chi volesse approfondire l'argomento la lettura di un romanzo ambientato in Colombia, dal titolo intrigante e per ciò stesso attraente:
"Senza tette non c'è paradiso".



Chissà, magari è anche un libro elegantemente erotico: Il che di questi tempi non è poco.



L'autore si chiama Bolivar, la casa editrice è La Feltrinelli e la critica (per quel che vale) se ne sta occupando...

lunedì, settembre 10, 2007

Una corazza per l'autunno


Prepariamoci all'autunno. Sarà dura.


La corazza da indossare ci consentirà di affrontare le difficoltà che l'instabilità del governo e dell'economia ed i fermenti sociali, sempre più in ebollizione per il disagio in aumento nelle classi medio-piccole?


Difficile dirlo.

Come si fa ad affrontare il deficit della spesa pubblica, senz'aumentare le tasse?


E perché il contribuente si deve convincere che ciò sia un bene per tutti, quando manca la trasparenza a tutti i livelli ed, in primo luogo, sull'uso del denaro pubblico?


L'idea che i governanti non siano all'altezza della loro funzione e che i governati costituiscano, ogni giorno di più, una moltitudine di pecore da tosare o di polli da spennare si fa sempre più certezza.


La sociologia classica, quella di pensatori come Pareto, Mosca, Michaels, è un libro aperto per spiegare che in Italia non c'è selezione democratica, per l'elezione dei rappresentanti del popolo, i quali costituiscono sempre più una nomenklatura, preoccupata più della propria sopravvivenza, piuttosto che del benessere della società.


Se così non fosse, non ci sarebbe l'affannosa rincorsa alla cosiddetta collegialità, che vuol dire semplicemente ricerca di un compromesso tra varie componenti della maggioranza (?) in perenne conflitto tra loro.

Che senso ha?


Un leader si elegge perchè nell'arco della legislatura decida per attuare il programma votato dagli elettori, i quali, al termine della stessa, dovranno poi approvare o no ciò che è stato realizzato.


La stabilità è la premessa indispensabile per un'azione costruttiva di governo; ma se all'interno di questa compagine non c'è coesione ed unità d'intenti, che ci stanno a fare onorevoli e senatori, se non per conservare il cadreghino alla faccia della sovranità popolare?


L'8 settembre è appena passato, ma nessuno pensa che sia meglio che tutti vadano a casa per nuove elezioni: sarebbe un atto di dignità andare al referendum elettorale o approvare una nuova ed efficace legge in materia ; si tratterebbe di un gesto di rispetto per la volontà dei cittadini, i quali, siano di destra o di sinistra, non hanno più alcuna voglia di essere presi per i fondelli.


Qualsiasi corazza servirebbe a ben poco in una situazione degradata come la nostra e non è più di tempo di turarsi il naso come ai tempi della cosiddetta prima Repubblica.

sabato, settembre 08, 2007

Il pene nell' astuccio


Scusate l'irriverenza del titolo, ma non c'è altro modo per ricordare che al mondo esistono ancora tribù primitive da farci dubitare dell'evoluzionismo e della solidità delle teorie di Darwin.

In Papua esistono ancora le tribù dei Dani, che vanno in giro con il proprio membro racchiuso in un astuccio di forma conica rovesciata (chissà perché?) a dimostrazione del fatto che, nella comunità, oltre ad aversi un'indiscutibile supremazia degli uomini sulle donne, esiste tra i maschi una gerarchia legata alle dimensioni del pene.

Si tratta di un costume che, nonostante le incursioni della globalizzazione e della civiltà mediatica, resiste indomito contro tutte le tendenze contemporanee occidentali, che tendono a privilegiare l'assoluta parità tra i sessi, se non la superiorità femminile.

I reportàges fotografici e gli studi antropologici mettono in evidenza la regola che disciplina la convivenza dei Dani e l'assoluta chiusura degli stessi al mondo progredito, che da parecchio tempo ormai condanna inesorabilmente qualsiasi sistema basato sul machismo e sul potere dei genitali maschili.

Il bello è che da quando la scoperta di una popolazione siffatta ha raggiunto le luci della ribalta del turismo di massa, miriadi di evolute signore e signorine migrano, specialmente nel periodo estivo, in quei lidi lontani per ammirare, insieme all' incontaminata bellezza della natura della sperduta Papuasia, anche il misterioso fascino degli astucci penici portati spavaldamente da individui di una bruttezza aghiacciante, ma super dotati, in varia misura, di un'asta virile mai vista sulle contrade del resto dell'universo.

Ma l'invidia del pene non era stata sconfitta da decenni al grido "l'utero è mio e me lo gestisco io"?

Misteri della modernità destinati a rimanere senza risposta.

domenica, settembre 02, 2007

Pietro Citati ha ragione




Pietro Citati ha ragione a rifiutare il Tu generalizzato, esempio di maleducazione e di scorrettezza linguistica, frutto di un giovanilismo esasperato e di profonda mancanza di attenzione per il prossimo e la comunità.

Sotto la falsa impressione di una confidenza regalata a piene mani al primo venuto, quale criterio universale dell'approccio democratico, per troppo tempo abbiamo dovuto tutti , chi più chi meno, subire la violenza morale di una continuata e feroce lesione della personalità e dell'Io più recondito.

I regimi totalitari, per incoraggiare il livellamento tra gli individui ed abolire le differenze di classe, e soprattutto quelle naturali e biologiche, hanno inventato l'uso incondizionato del pronome più ambiguo e pericoloso, il vero cavallo di troia per l'abolizione del rispetto tra gl'individui e l'introduzione della schiavitu' psicologica tra il potere ed i sudditi.

Arrivare a darsi del tu, un tempo, era una conquista: significava donare e meritare fiducia, avere debitamente constatato affinità e sicura propensione ad una buona e proficua frequentazione tra soggetti diversi, ma dotati della possibilità di stringere autentica amicizia, spirito di colleganza, senso di solidarietà.

Frutto di un sessantotto sgangherato e male interpretato, si è affermata un'abitudine spicciativa e volgare, che perfino Palmiro Togliatti disdegnava, con sprezzante senso del distacco dai militanti del partito dell'eguaglianza per antonomasia: il vecchio partito comunista-marxista-leninista.

Ci voleva uno scrittore colto e raffinato, dotato di una visione illuminata del mondo, a prendere il coraggio di condannare, pubblicamente e con fermezza, ancor più ammirevole, in un'epoca di assoluta promiscuità e contaminazione incalzante e pervasiva, questa pervicace e perniciosa diffusione del tu - miserabile viatico di ogni nefandezza proditoria, di ogni purulenta ed infettante intimità a tutti i livelli sociali, familiari, interpersonali, stolidamente incoraggiata fin dai banchi di scuola, con i poveri e maleodoranti esempi di un insegnamento privo di fondamenti civili e pedagogici, e massivamente rappresentato da classi di docenti, i quali hanno tutto da imparare e ben poco, o nulla, da insegnare.

Con questa presa di posizione, Citati ha guadagnato ancora stima e considerazione, per gli anni a venire, da parte di quanti respingono l'omologazione dei modelli e la massificazione dei comportamenti.