domenica, ottobre 31, 2010

”Liberal chic, liberal snob”



Negli ultimi tempi si moltiplicano le censure nei confronti di chi, a torto o a ragione, è considerato fuori dal club degli snob o chic con docg di appartenenza liberale.

Può sembrare un paradosso eppure non esistono solo i radical chic: nel nostro paese, spuntano come funghi i liberal chic, che si ritengono depositari di una verità molto difficile da dimostrare, sia sul piano ideologico che su quello culturale.

L’ultimo intervento dogmatico l’ho letto su ‘l’Occidentale’, a proposito del ‘Manifesto d’ottobre’ di ‘Fare futuro’, che ha raccolto consensi trasversali e pertanto è stato classificato come prodotto di ex fascisti ed ex comunisti.

Sono andato a leggerlo questo manifesto e vi ho trovato, oltre a pertinenti considerazioni sulla fine degli ismi, anche commendevoli citazioni della Arendt e di Einaudi ed un discorsivo programma al servizio della libertà, intesa nel senso più ampio e moderno (vale a dire con occhi aperti alla realtà contemporanea, ai problemi derivanti dalla industrializzazione e l’economia globalizzata, le prospettive dei giovani e la necessità di una più vasta partecipazione nelle istituzioni di strati della società civile finora non rappresentati.

Qualunque mente, non condizionata da pregiudizi e tabù classisti, avrebbe colto segnali interessanti e stimolanti riflessioni
contro i luoghi comuni e le banalità della partitocrazia, che affligge il paese con le caste e le corporazioni, che l’affliggono da circa un cinquantennio.

E quindi un fertile terreno di dibattito e nuove idee, che da un lato ci riportano all’Europa comunitaria e dall’altra alla necessità di una ‘rivoluzione liberale’ per uscire dalla palude attuale.

Evidentemente i sassi nello stagno danno fastidio ai comodi guardiani dell’esistente e delle rendite di posizione legate a sorpassare etichette.

Ortega y Gasset avevaa bollato, già nel secolo scorso, come semi-paralisi mentali le obsolete distinzioni tra destra e sinistra, Von Hayek aveva avvertito che nessuno ha diritto di auto-proclamarsi liberale a dispetto di altri, e il buon Sergio Ricossa, rifuggendo da superficiali e presuntuose definizioni, per distinguersi dai conformisti chic e snob, preferì proclamarsi un libertario.

‘Liberale’ è per noi una categoria dell’animo: ecco perché non crediamo ai guru dispensatori di dottrina e di titoli tanto formali quanto fasulli.