giovedì, novembre 04, 2010

Matrix e Sansonetti

' Il saggio Sansonetti'

Matrix ha celebrato ieri la presunta assoluzione del premier per Ruby, dopo le dichiarazioni del Procuratore capo di Milano (relative peraltro alla sola procedura seguita dalla Questura in materia di affido).

La parte più penosa della trasmissione è stata la sceneggiata della Santanché, con le sue labbra tremolanti inneggianti alla bontà ineguagliabile del presidente del consiglio e i ragionamenti a pera del maestrino Sgarbi, che continuava a distinguere la virilità autentica di SB, con le sue molte donne di passaggio nella sue varie residenze, in rapporto alla sudditanza psicologica di Fini dalla onnipresente ed onnipotente suocera, implacabile divoratrice di chissà quali favori.

L'unico in grado di ragionare è sembrato il giornalista Sansonetti, che con tono pacatissimo ha potuto dire la verità sulla mercificazione e lo sciacallaggio esercitati da alcuni giornali,sia a destra che a sinistra, in barba alla deontologia professionale e all'etica di un tempo e, soprattutto, alla libertà ed obiettività dell'informazione.

Se parole equilibrate possono pronunziarsi oggi solo da chi proviene dalla sinistra antagonista, vuol dire che questo paese è proprio alla frutta.

vinci

mercoledì, novembre 03, 2010

Tea Party Milano intervento del Prof. Antonio Martino


In molti abbiamo sperato che il Professore facesse un passo avanti (proprio sulla scorta di quanto accadde con la marcia di Torino, nella quale fu protagonista con Ricossa e Marongiu della riscossa dei moderati), in direzione dei ‘riformatori liberali’, per rappresentare quella inversione di rotta del pdl, accartocciato ormai su posizioni perfidamente partitocratiche, quell’alternativa capace di realizzare la rivoluzione liberale, facendosi designare Ministro dell’economia.

Purtroppo non è nell’indole dell’uomo compiere strappi ed abbandonare il partito che lo ha eletto, né brigare, o semplicemente presentare la propria candidatura per il dicastero che più gli si attaglia.


Egli rimane (e rimarrà) un illustre professore,capace di lezioni esemplari, ma non di protagonismo politico,seppure nell’interesse del suo paese, che ama profondamente e lealmente- come ha dimostrato nel periodo un cui resse, con alto senso di dignità responsabilità e competenza il Ministero della difesa.

Purtroppo dobbiamo rassegnarci.Joint press conference following the informal meeting of NATO De





domenica, ottobre 31, 2010

”Liberal chic, liberal snob”



Negli ultimi tempi si moltiplicano le censure nei confronti di chi, a torto o a ragione, è considerato fuori dal club degli snob o chic con docg di appartenenza liberale.

Può sembrare un paradosso eppure non esistono solo i radical chic: nel nostro paese, spuntano come funghi i liberal chic, che si ritengono depositari di una verità molto difficile da dimostrare, sia sul piano ideologico che su quello culturale.

L’ultimo intervento dogmatico l’ho letto su ‘l’Occidentale’, a proposito del ‘Manifesto d’ottobre’ di ‘Fare futuro’, che ha raccolto consensi trasversali e pertanto è stato classificato come prodotto di ex fascisti ed ex comunisti.

Sono andato a leggerlo questo manifesto e vi ho trovato, oltre a pertinenti considerazioni sulla fine degli ismi, anche commendevoli citazioni della Arendt e di Einaudi ed un discorsivo programma al servizio della libertà, intesa nel senso più ampio e moderno (vale a dire con occhi aperti alla realtà contemporanea, ai problemi derivanti dalla industrializzazione e l’economia globalizzata, le prospettive dei giovani e la necessità di una più vasta partecipazione nelle istituzioni di strati della società civile finora non rappresentati.

Qualunque mente, non condizionata da pregiudizi e tabù classisti, avrebbe colto segnali interessanti e stimolanti riflessioni
contro i luoghi comuni e le banalità della partitocrazia, che affligge il paese con le caste e le corporazioni, che l’affliggono da circa un cinquantennio.

E quindi un fertile terreno di dibattito e nuove idee, che da un lato ci riportano all’Europa comunitaria e dall’altra alla necessità di una ‘rivoluzione liberale’ per uscire dalla palude attuale.

Evidentemente i sassi nello stagno danno fastidio ai comodi guardiani dell’esistente e delle rendite di posizione legate a sorpassare etichette.

Ortega y Gasset avevaa bollato, già nel secolo scorso, come semi-paralisi mentali le obsolete distinzioni tra destra e sinistra, Von Hayek aveva avvertito che nessuno ha diritto di auto-proclamarsi liberale a dispetto di altri, e il buon Sergio Ricossa, rifuggendo da superficiali e presuntuose definizioni, per distinguersi dai conformisti chic e snob, preferì proclamarsi un libertario.

‘Liberale’ è per noi una categoria dell’animo: ecco perché non crediamo ai guru dispensatori di dottrina e di titoli tanto formali quanto fasulli.

lunedì, luglio 19, 2010

UNA CERTA IDEA DELL' ITALIA




Il capo del governo si sente solo e lamenta che ognuno pensa per sé: perché non ascolta le parole di Paolo Borsellino, allorché, in una delle ultime sue conferenze, collega la crisi del paese e della giustizia alla partitocrazia, che imperversa dal centro alla periferia, per alimentare soprattutto egoismi e corruttele?

Perché non fa della figura di questo umile (ed ingenuo) servitore dello stato, assassinato in circostanze oscure, dopo essere stato abbandonato dalle istituzioni, il simbolo della rifondazione dell'area moderata, sui principi di libertà e di legalità?

Perché non s'impegna a combattere tutte le mafie compresa quella politica (che si alimenta di caste e clientele, nepotismi, intrecci miserabili tra economia e partiti, affari poco trasparenti), ristabilendo un legame forte con la società civile e le persone per bene, amanti del proprio paese (senza distinzioni tra nord e sud), desiderose di vedere realizzata una democrazia sostanziale, autentica e compiuta?

Perché, anziché parlare al suo movimento, inquinato da compromessi ogni giorno più gravi, che favoriscono mestatori e politicanti da strapazzo, non prospetta a tutto il paese un programma serio e realistico, per la riforma dell'ordinamento ed il superamento effettivo dei guasti della prima repubblica?

Perché non torna ad essere il leader del paese reale, liberando i cittadini dal peso della burocrazia e delle corporazioni, dalla schiavitù del fisco, dai profittatori del potere?

Perché non realizzare una 'certa idea dell'Italia', che non è solo quella di Paolo, ma della maggioranza degli italiani?

giovedì, maggio 27, 2010

Danilo Barsanti e il diario del conte Alamanno Agostini

In Prigione, il diario del conte Alamanno Agostini detenuto politico a Forte Stella nel 1833. Danilo Barsanti, Edizioni Polistampa, Firenze, 2010

Il libro di Danilo Barsanti sarà presentato all'Ussero il 4 giugno (ore 18:00) dal dott. Maurizio Tortorella (vicedirettore di Panorama), dal prof. Filippo Danovi (professore ordinario di Diritto processuale civile all'Università di Milano-Bicocca) e dall'avv. Lorenzo Gremigni Francini (presidente del Crocchio Goliardi Spensierati). Seguirà un drink.

Il Diario di Alamanno Agostini racconta 100 giorni di carcere di un nobile pisano sospettato di aver collaborato alla preparazione di un moto mazziniano nella Toscana del 1833.

Alamanno Agostini, è un proprietario fondiario colto ed illuminato, nonché, secondo la polizia granducale, uno dei capi riconosciuti del liberalismo pisano. La sera del 4 settembre 1833 viene arrestato a Firenze come misura preventiva e successivamente incarcerato a Portoferraio senza prove né processo, al fine di acquisire una confessione attraverso interrogatori in carcere, fidando nell'isolamento psicologico e nella disperazione del detenuto.

Si tratta di un documento importante per capire il pensiero di un liberale toscano che ha fiducia nella giustizia nonostante i duri metodi di custodia preventiva applicati dai magistrati granducali, permettendo inoltre di comprendere le condizioni di vita nelle prigioni toscane.


Danilo Barsanti è docente di Storia contemporanea alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Pisa. Nei suoi numerosi studi si è interessato delle trasformazioni del territorio, delle istituzioni politiche, dei ceti dirigenti e dell’università nella Toscana dei secoli XVI-XIX

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giovedì, marzo 18, 2010

Il ducismo


Se qualcuno pensasse che il fenomeno del ducismo sia stato circoscritto al fascismo ed abbia ormai esaurito la sua storica esistenza, dovrebbe sensatamente ricredersi.

La frase coniata da Longanesi, probabilmente con sottile senso dell'ironia, ''Mussolini ha sempre ragione'', riveduta ed aggiornata, accompagna in realtà tutto il nostro cammino di nazione in bilico perenne tra populismo e anarchismo, familismo e provincialismo, qualunquismo e statalismo, sempre in cerca di uno stellone accompagnato da un uomo del destino, che si prenda la briga di tutelarci, risolvendo i problemi della nostra quotidianità, ma lasciandoci liberi di compiere piccole e grandi malefatte. Il ducismo e il culto della personalità del capo sono nel Dna dell'homo italicus.

Basti pensare al 'Principe' ispirato da Cesare Borgia per considerare seriamente l'ipotesi di un sottile filo rosso, teso a individuare di volta in volta e non sempre con scelta felice, il buon padre della patria da innalzare sul trono ed osannare, servire conformisticamente ed abbattere quando non è più in buona salute o è colpito dai rovesci della fortuna.

Nel periodo della monarchia risorgimentale, non c'erano molti sforzi da fare, bastava il re accompagnato da qualche buon cancelliere.

Durante il ventennio, applaudire il condottiero inviato dalla provvidenza fu uno sport condiviso e diffuso da quasi tutta la popolazione.

Nel secondo dopoguerra, fu la volta di personaggi allevati all'ombra della Chiesa, dal piglio meno virile, ma pur sempre dai modi accattivanti e pii a riscuotere successi elettorali abbastanza duraturi.
Pensiamo a Degasperi prima e Andreotti dopo, considerati per decenni i salvatori dell'Italia e della democrazia.

Esauritosi un ciclo piuttosto critico con la stagione del compromesso storico e del caf, che vide affiorare il social fascista Craxi, il decisionista ritrovato, dopo diversi anni di molle tran-tran parlamentarista, ecco apparire, sulle macerie della prima repubblica, l'uomo nuovo dell'economia imprenditoriale, nato fuori dalle segreterie dei partiti, animato dall'idea un po' balzana di dare nuovo impulso alla politica con la sua discesa in campo contro i professionisti della politica, proprio nel momento in cui la società caracollava verso il vuoto di potere o era prossima alla conquista del governo da parte della sinistra.

Il grande Silvio divenne l'eroe dei moderati e della maggioranza silenziosa, il suo successo ricordava per qualche aspetto quello di Guglielmo Giannini, il fondatore dell'Uomo Qualunque, e Forza Italia appariva alla gente comune un movimento lontano dalla partitocrazia, dal gioco delle clientele, dal deteriore parlamentarismo, aperto alla società civile e destinato a compiere finalmente la rivoluzione liberale. Un rinnovamento sempre auspicato e mai realizzato per ammodernare il paese, sburocratizzarlo, renderlo degno della sua grande storia di civiltà e per promuovere i ceti produttivi contro il parassitismo pubblico, coltivato dai partiti dopo lo spodestamento dello stato.
Nei confronti del nuovo leader capace finalmente di parlare ai cittadini, fuori del politichese, com'era da aspettarsi ci furono acclamazioni e lodi, fiducia esaltante, consenso altissimo e infine anche una buona dose... d'idolatria, nella convinzione di aver ritrovato un nuovo duce, democratico e liberale, ma sempre duce.

Se fate caso al clima arroventato, quasi da guerra civile, nel quale l'odio degli avversari si riversa senza misura verso Berlusconi, i Berluscones ed il Berlusconismo, e al modo in cui i sostenitori del premier reagiscono, soprattutto nella difesa della persona e di ogni scelta, anche non felice, fatta dal capo, vi accorgerete che viviamo ancora nel tempo che privilegia il culto della personalità, rispetto ai programmi e alle idee.

La maggioranza pare reggersi soltanto sulle vittorie elettorali del Presidente del Consiglio, sulla sua capacità di tenere unito quello che ormai è divenuto un partito come gli altri e di liberarsi dalle insidie di amici e avversari interni, di difendersi dai colpi della magistratura e dagli attacchi velenosi dell'opposizione e dai media che la sostengono, spesso senza rispetto delle regole democratiche e dei principi di tolleranza.

Il ducismo salverà il paese dalle mille contraddizioni che lo attanagliano, dall'assalto alla diligenza delle corporazioni, dalla resistenza delle vecchie nomenklature, dall'urgenza di riforme che realizzino finalmente uno stato di diritto, l' effettiva divisione dei poteri, l'efficienza della magistratura e la sua spoliticizzazione, le liberalizzazioni, la meritocrazia e l'abbattimento delle sovrastrutture burocratiche e fiscali, il voto di scambio, la restaurazione dello spirito comunitario ed il valore indiscutibile dell'individuo-persona?

Il punto è qui.

Non è il caso di moderare il tifo, di allontanare gli yes man, e di pensare seriamente al futuro, con il rafforzamento delle caratteristiche e delle finalità del partito leggero delle origini, senza cedimenti alla lotta del potere per il potere, all'allocazione di posti per nepotes, vassalli valvassini e valvassori, di cui la prima vittima sarebbe proprio il nostro tanto amato ed odiato caudillo?


lunedì, gennaio 25, 2010

Anno Zero ha raggiunto vette eccelse.


L'ultima trasmissione ha superato se stessa nella rassegna degli eccessi.

Santoro, con il grugno bagnato, assomigliava ad un cinghiale infuriato; Flores d'Arcais, con gli occhi spiritati, ad un rabbioso inquistore spagnolo; Marco Travaglio, con il naso sempre più lungo, a Mangiafuoco; Vauro, con le vignette svolazzanti, ad un palestinese kamikaze e Grillo ad un clochard che invocava un'altra bevuta all'osteria.

Uno spettacolo unico, rutilante, farsesco,ingiurioso e deprimente.

E se Bertolaso si sbagliasse?


In poche ore di visita ad Haiti, Il capo della protezione civile ha ricavato l'idea che gli americani fanno solo spettacolo ed hanno un esercito senza comando per far fronte al terremoto.Sostiene anzi che il comando non dovrebbe essere affidato ad un militare, impreparato a d'organizzare gli aiuti per l'emergenza, ma ad un manager come lui.

Temiamo che i successi e gli allori conseguiti abbiano alterato il giudizio di Guido Bertolaso.

Gli americani avranno molti difetti, ma in fatto di organizzazione, com'è s'è visto nella ricostruzione effettuata, dopo il crollo delle due torri, hanno dato buoni esempi di efficienza ed efficacia concrete e positive.

In una situazione catastrofica come quella haitiana, d'altra parte, solo l'intervento dell'esercito può garantire la normalizzazione e creare le basi per una rinascita della vita sociale.Certamente i risultati non possono essere immediati, nel caos generalizzato, con le bande di delinquenti che imperversano in tutta l'isola, gli sciacalli, i disperati che sfuggono ad ogni controllo.

Adelante con juicio.

Aspettiamo, prima di emettere sentenze, di vedere come gli eventi si svilupperanno nelle prossime settimane per avere un quadro chiaro. Nessuno ha doti profetiche al riguardo, neppure l'illustre sottosegretario di stato Bertolaso.