martedì, dicembre 13, 2005

Lettera a Massimo Fini


Caro Massimo Fini,

ho letto con interesse il Manifesto dell’Antimodernità e del Movimento Zero e vorrei esprimerle i miei complimenti per l’adesione al programma, fra gli altri, di un intellettuale scomodo ma di notevole spessore culturale ed acutezza di analisi, come Alain de Benoist.

Mi chiedo però quanti interlocutori ne conoscano il pensiero e ne percepiscano le ascendenze sicuramente non marxiste.

Pur non richiamandosi alle categorie ottocentesche di destra e sinistra, che solo per convenzione si continuano ad adottare, dopo il crollo delle ideologie, la posizione di questo pensatore si è fatta chiara ed inequivocabile, nel momento in cui nasce in Francia la nouvelle droite, che costituisce ormai un cospicuo patrimonio spirituale nel superamento di concezioni politiche inadatte alla complessità dei tempi e nella configurazione di strade nuove per tentare di risolvere le contraddizioni ed i problemi presenti nelle società occidentali.

Alcune osservazioni dei commentatori del suo blog hanno, per altro verso, attratto la mia attenzione, in quanto univocamente concordi nel voler affermare un’alta concezione della politica, pur provenendo da differenti esperienze.

In particolare mi ha colpito l’affermazione di un lettore che dice di ravvisare nel suo Manifesto idee già presenti in Rifondazione comunista.

Ora, nessuno più di me considera le sottoscrizioni al suo programma come un segno importante di cambiamento e come volontà di realizzare un sistema più efficiente ed equilibrato nei rapporti fa i cittadini e questi e lo Stato: non più sudditi, ma protagonisti della vita sociale.
Mi permetta di dire, però, che quel signore forse ha equivocato sui contenuti programmatici da lei espressi.

Ortega y Gasset affermava, ben oltre un cinquantennio fa, che destra e sinistra sono semiparalisi mentali, ma non rinunciò mai ad insegnare il valore della libertà individuale e dei principi etici aristocratici contro la massificazione.

Non sono le etichette che contano, ma le idee in cui si crede.

C'è qualcuno di provenienza comunista che si riconosce in qualche punto del Manifesto?

Bene, ma non si creda di poter rilevare, per questo, che ci sia qualche assonanza col pensiero marxista o post marxista, ineluttabilmente alle spalle del Movimento da lei fondato, se ho ben letto e interpretato le parole espresse ed i concetti cui rimandano.

Cerchiamo di non ragionare con i paraocchi e vediamo di stabilire con chiarezza che cosa s'intenda realizzare nella società civile ed in campo economico e sociale.

Spero che si punti ad un superamento del capitalismo darwiniano, con il liberismo sociale o con l'economia sociale di mercato e che si riconosca che la rivoluzione industriale, come ha ben messo in luce il libertario Sergio Ricossa nel sua "Storia della fatica", ha portato anche un progresso nelle condizioni di vita delle classi meno agiate, come mai era avvenuto nei secoli precedenti.

Sul piano antropologico, credo che possa costituire un contraltare ai vizi dell'industrialismo, la lezione di civiltà, ragionevole rispetto della natura e ricerca di un'armonica esistenza per l’uomo, contenuta nei libri dell'etologo K.Lorenz, il quale non ha nulla da spartire con i fondamentalismi ecologisti dei verdi.

Il successo del Movimento dipenderà in buona parte dalle scelte tra utopia e realismo: non dovrebbe innalzare la bandiera dei giacobini per creare il paradiso in terra, ma con lucidità e determinazione dovrebbe battersi per ideali realizzabili – soprattutto - con una rivoluzione morale posta al servizio della persona e della sua dignità, per un assetto che salvaguardi l’uomo e le comunità intermedie contro ogni prevaricazione (ideologica o no) della libertà.

Ho apprezzato molto nella sua storia intellettuale, il contributo recato alla comprensione della figura di Leo Longanesi, cui sono legato dai tempi del liceo.

A mio sommesso parere, tra i padri culturali del Manifesto c'è anche lui.

Non dimentichiamolo.