venerdì, settembre 09, 2005

Marcello Fois e la modestia


In occasione di una manifestazione culturale tenutasi a Firenze per la presentazione di un libro di raccolta di storie noir, da parte di vari scrittori del genere, viene intervistato il giallista sardo Marcello Fois, il quale con estrema disinvoltura si autodefinisce un "grande" scrittore, ormai "arrivato".

Meraviglia la iattanza dell'autore, il quale sarà pure bravo a scrivere storie poliziesche, ma, di là ad essere creatori di capolavori, come si addice ai grandi, ce ne passa.

Peccato.

Forse è un errore generazionale: la mancanza di proporzioni, di senso della misura e l'umiltà, una volta erano la regola per chi si avventurava nel campo delle lettere ed i generi minori, come il giallo, non meritavano l'appellativo di opere letterarie in senso stretto, anche se i buoni scrittori non mancano in questo campo.

Ma Fiori ritiene di essere Simenon o Christie o Scebarnenco, per caso?

Quanti anni sono passati, dopo la scomparsa di Scebarnenco perché egli, collaudato dal tempo e dalla critica disinteressata, potesse assurgere all'empireo degli scrittori del noir?

Impari prima di tutto il supponente Fois che la grandezza non nasce dalle autoinvestiture e che i geni e i talenti, in qualsiasi campo, sono estremamente rari.

La sobrietà era una caratteristica antica del sardo, ma forse non esiste più o magari si perde come il vino buono nella traversata del mare.

A Fois forse ha nuociuto trapiantarsi in Continente. Gli consigliamo di rileggere se non la Deledda, almeno il (veramente) grande Salvatore Satta, traendone qualche benefica e positiva lezione di umiltà.

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