lunedì, marzo 28, 2011

Le pantegane


”L’Italia? Un paese dove sono accampati gli italiani”(Ennio Flaiano).
Più giro nel web e più ho l’impressione di non vivere in Italia, ma in un pianeta semi-sconosciuto.
Mi soccorre Ennio Flaiano, che in unMarziano a Roma, ed in molti altri scritti, è stato capace di descrivere questo nostro paese che non siamo più in grado di conoscere a fondo e di apprezzare.
Pur considerandomi cittadino del mondo, non saprei mai rinunciare alle mie radici, al  mio al passato e al mio futuro, oltre che al presente, contrassegnato com’è da un  continuo scambio di conoscenze, una proficua relazione con identità diverse, sebbene definite culturalmente ed etnicamente e per ciò stesso degne di rispetto, concetto quest’ultimo sempre più estraneo invece a chi vive nella medesima comunità nazionale.
Se dovessi andare in India, mi sentirei come un aquilone in volo, con un filo collegato alla mia terra di appartenenza.
Non capisco molto gli apolidi, ma aborro le amebe, quegli strani animaletti che si trasformano in continuazione e non sanno nemmeno bene loro chi sono.
M’infastidiscono quelli che parlano male di questa madre patria e non l’amano, ma continuano ad abitarla senza logico motivo, a stanziarvisi per insultare tutto e tutti, senza tentare di modificare la situazione negativa in cui sono costretti a quanto pare a vivere, ma in compenso prendendo tutto ciò che fa loro comodo.
Un fenomeno che mi ricorda l’invasione dei Lanzichecchi, buoni solo a depredare, accampati in città e nei borghi,come tanti parassiti, che incutono disgusto e preoccupazione  per le infezioni che possono produrre.
Questi poveri selvaggi, italioti senza cultura né intelligenza, vivono  di soli istinti predatori, immersi in una crassa ignoranza animalesca: confondono lo stato con la nazione e con la patria; attribuiscono a queste distinte entità  i mali del proprio vivere e continuano a consentire alle  bande di partitanti, dai quali evidentemente si sentono ben rappresentati, di fare il bello e cattivo tempo e di giocare sulla pelle dei cittadini onesti (animati ancora dalle idee di solidarietà, di libertà della persona umana, di difesa dei diritti didi ciascuno);  essi sperano, sotto sotto, di poter trarre vantaggi e benefici dalla partitocrazia che li ha generati.
Miserabili gaglioffi che pensano al proprio bottino, al proprio particulare, pugnalando alle spalle alla prima occasione il vicino, il collega, l’amico, un familiare.
Che ce ne facciamo di queste pantegane?
Non sarebbe ora di pensare ad una seria e generalizzata derattizzazione, in modo che fuggano, come meritano, all’estero, mantenendo salda la speranza che non ce li rimandino indietro, una volta che si constati che tipo di esemplari sono?
Una volta c’erano i comunisti, che se non altro un’altra patria, o impero, l’avevano e per la sua affermazione ingenuamente o no lottavano fino alla morte: ora assistiamo ad un popolo post marxiano che rivendica la sua integrazione nell’Italia repubblicana e si sente dentro l’Europa con  i suoi princìpi informatori. E invece trova spazio una genìa di zoticoni, che pensano prima di tutto alla pappa e al loro gallinaio, a far quattrini e a godersi il frutto delle loro rapine, inneggiando alla propria squadra di calcio e al folklore locale, come se il mondo fosse tutto lì, all’ombra del campanile e della fabbrica, della balera e del cortile. Guardate le loro facce inespressive, gli slogan da coatti, i costumi belluini, pronti a consumare le proprie giornate come omuncoli senza memoria e senz’avvenire.

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