mercoledì, marzo 16, 2011

L'Italia dov'è?


nat-alla-deriva
L'anniversario dell'Unità d'Italia arriva in un momento poco propizio per ottimismi ed entusiasmi, per una visione matura, aperta, realistica e persuasivamente positiva della comunità nazionale e delle istituzioni europee.
Il nord Africa, sconvolto da guerre e tentativi rivoluzionari, non pare più una sponda privilegiata per favorire il rinnovamento, il dialogo tra i popoli per realizzare una nuova fase della civiltà mediterranea.
All'interno di questo paese, in una clima di generale confusione, le divisioni e le lacerazioni prevalgono sul sentimento di comune appartenenza, di condivisione di un destino che coinvolga le varie generazioni, le diverse identità culturali, per rendere efficace un programma unitario.
Tornano a dominare i particolarismi, i campanilismi, gli egoismi, l'indifferenza, lo scetticismo e, forse di più, il cinismo, che le cosiddette classi dirigenti paiono interpretare col consenso della maggioranza degli elettori, in nome dell'opportunismo e della convenienza di ceti ed individui, convinti forse di poter fare almeno il proprio tornaconto.
Il meridione rincara la dose di rivendicazioni e lamentele, dimenticando il profluvio di aiuti economici male distribuiti a causa del sistema politico-mafioso, che lo ha colonizzato dal secondo dopoguerra in poi, aiutato dalla partitocrazia e dal voto di scambio.
Il vessillo che s'innalza e' quello solito del 'tengo famiglia' o il mai trascurato principio del 'chiagni e fotti', con cui i lazzaroni di tutte le specie pensano di sopravvivere a danno dei soliti fessi.
Il settentrione è un colabrodo di tendenze ed interessi, che si coagulano nell'assurda ipotesi di giungere, se non alla separazione dall'Italia, ad un'autonomia in cui c'è poco spazio per la libertà e la solidarietà tra cittadini: si sta installando una forza, che, nata per combattere le degenerazioni dei partiti e della burocrazia, pare prefigurare nuovi infeudamenti, clientele, lottizzazioni e nascita di un nuovo leviatano in sedicesimo (com'è purtroppo già accaduto nella maggior parte delle regioni italiane, ridotte a satrapie e centri di dilapidazione del denaro pubblico).
Nel modo globalizzato, ci meravigliamo di vedere un paese distrutto dalle forze della natura e dalle circostanze più sfortunate, il quale nella terribile disgrazia che l'ha colpito, non ha perso le proprie radici, pur nella sua corsa verso la modernità e l'industrializzazione, la tecnologia e l'innovazione.
Stupefatti, notiamo esempi di dignità, individuale e collettiva, emergere da una tragedia senza precedenti in tempo di pace e rimaniamo allibiti di fronte all'autodisciplina e alla forza di determinazione del Giappone, il quale si piega ma non si spezza ed è costantemente teso ad iniziare a ricostruire il proprio tessuto sociale lacerato da fenomeni di portata catastrofica.
Noi e i giapponesi: fate un rapido confronto e vi accorgerete che esiste uno dei baratri più profondi di quelli apertisi con il terremoto, un abisso nel quale è precipitata quasi del tutto l'Italia risorgimentale.
Dov'è l'Italia?
Sembra una nave alla deriva, popolata da topi impazziti.
L'Italia è solo una timida speranza, che tenta di ritrovare se stessa, grazie a minoranze ancora ingenuamente convinte di poter resistere alla tempesta e raggiungere un porto sicuro, dopo aver perso, possibilmente, l'inutile zavorra di quelli che Papini designava come ''i luridi bastardi di una disfatta''.

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