lunedì, agosto 08, 2005

Caselli e la borghesia


In un articolo di prima pagina sul quotidiano comunista Liberazione, il procuratore Caselli lamenta l'ostracismo della classe di governo nei suoi confronti, riconducendola all' attività inquisitoria, da lui svolta a Palermo e grazie alla quale furono accertati "i legami della mafia con la borghesia politica, professionale", etc.etc. etc.

A parte la difficoltà di di reperire elementi precisi sui processi intentati e conclusi con le condanne richieste dalla pubblica accusa e quelli non ancora definiti in tutti i gradi di giudizio, risalta soprattutto, nel contesto richiamato da Caselli, la vicenda dell'On. Andreotti, che, se ricordiamo bene, è uscito dignitosamente dai procedimenti aperti a suo carico...

Non riusciamo a capire piuttosto il riferimento ad una classe sociale (la borghesia), indicata come complice di "cosa nostra", se non ricorrendo a valutazioni e terminologie metagiuridiche, cioè ideologiche.

Sembra quasi che il procuratore abbia condotto una guerra - non tanto contro la delinquenza organizzata ed i suoi complici - quanto contro il ceto, marxianamente inteso, come dominante, detentore delle leve del potere negli ambiti più svariati, primo fra tutti quello politico.

Francamente le sue proposizioni lasciano stupefatti.

In un cultore del diritto, una scienza con regole tecniche e linguaggio precisi, non trovano ordinariamente spazio considerazioni di altra natura.

Prospettive ed argomentazioni simili pensavamo fossero superate dai tempi.

Duole constatare che la visione di un fenomeno così complesso e diffuso a livello internazionale debba essere ricondotto e costretto nelle anguste categorie dell'ideologia, in obsolete classificazioni, contrapponendosi in maniera stridente alle analisi e alle definizioni di magistrati, come Falcone e Borsellino, impegnati per un tempo maggiore di quello di Caselli, a contrastare le offensive criminali diramantesi dalla Sicilia.

Personaggi onesti e competenti che, fra l'altro, non hanno mai attribuito fondamento e serietà all'esistenza di un "terzo livello" della mafia, nè ad altri fantasiosi intrecci di volta in volta costruiti dai mass media, magari per assecondare interessi diversi da quello della giustizia, depistando il lavoro degl'inquirenti.

E questi valentissimi servitori dello Stato non appartenevano forse a quella "borghesia professionale", che finora è stata l'unica, con pochi altri valorosi esempi (pensiamo per tutti al generale Dalla Chiesa), a testimoniare col sangue la lotta contro questo genere criminoso nefando ed interclassista quant'altri mai?

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