lunedì, agosto 25, 2008

Filosofi e zingari

"A ventanni, giurai a me stesso di essere fedele alla mia giovinezza".
"Gli uomini ?
Più che alla vita, sono attaccati ai suoi bisogni !"
(Drieu La Rochelle)





Fin da piccolo mi accorsi di essere attratto da due tendenze o
correnti filosofiche che parevano tra loro opposte o contrastanti: il pessimismo cosmico ed un allegro edonismo.

Leggerezza e catastrofismo.

Col crescere e maturare, compiendo finalmente gli studi superiori, mi avvidi che i due aspetti della mia personalità potevano convivere, anche perché non erano convinzioni nuove, rispetto alle speculazioni del pensiero più elevato che altri più appropriatamente avevano esercitato.

Giordano Bruno affermava di sé:
sono ilare nella tristezza e triste nell'ilarità.

Quale sintesi migliore per un'anima complessa come la mia?

Ad essa doveva presto aggiungersi, con il matrimonio ed un lavoro stabile, un terzo inquietante fattore di riflessione e d 'inquietudine: la
monotonia.

La conoscenza più incisiva di Schopenhauer, seguita alle prime letture liceali, mi aveva donato, infatti, una nuova consapevolezza.
Il mio essere constatava la veridicità dell'intuizione del grande saggio, il quale paragonava l'esistenza ad un pendolo,
in perenne oscillazione tra l'angoscia e la noia.

Insomma era scomparsa, con l'età adulta, l'attitudine all'epicureismo e mi trovavo avviluppato nel bozzolo piccolo- borghese (che le circostanze, quasi inavvertitamente, avevano tessuto per me) del lavoro e della casa, della casa e del lavoro, in un universo chiuso, ormai, alla fantasia, all'immaginazione, alla creatività, alla libertà, alla poesia.

Lo spirito d'avventura, tipico dell'adolescenza e della giovinezza, si addormentava nella spirale del tran- tran quotidiano del
primum vivere, deinde philosophare, costruito paradossalmente, con una ferrea logica filosofica, grazie all'insegnamento di maestri ineccepibili, nell'inevitabile processo di acculturazione del mio spirito.

Finché un giorno...

Quasi per caso, lungo il tragitto che mi riconduceva tra le mura della mia sicura e tranquilla abitazione, m'imbattei in una compagnia di zingari.
Questi, in un parco, ai margini della via, si esibivano, in quel momento, in spettacoli fantasmagorici, nei quali esprimevano le loro abilità ed il loro estro al suono trascinante di violini e chitarre, tamburi, fisarmoniche e clarini.
E danzavano in continuazione in circoli sempre più ampi di persone, coinvolgendo anche i più tiepidi, tra gli spettatori, in un'assordante allegria.

Una bella fanciulla dagli occhi di fuoco mi prese per mano e si fece accompagnare in una serie di balli divertenti e un po' malinconici ad un tempo, e quella musica mi riportò all'adolescenza ed ai suoi sogni dipinti d'azzurro come il cielo ed il mare, alla voglia di viaggiare per paesi e continenti, al desiderio di conoscere attraverso la gente e le persone, la natura ed i paesaggi, quale verità abita questo mondo, riuscendo a strappare finalmente il velo del mistero che sempre ci avvolge.

E, tutto d'un tratto, capii quello che avevo abbandonato per diventare un uomo istruito, educato alla responsabilità, ai doveri individuali e sociali, un esemplare umano del tutto addomesticato:la preziosa essenza della vita.

Fui abbagliato da quella illuminazione e , al termine della sarabanda, con gli echi della festa nelle orecchie, saltai sul carro dell'affascinante donna, che avevo stretto durante tutto il tempo, unendomi a quella meravigliosa
carovana, diretta ad Arles.


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