giovedì, ottobre 23, 2008

L'identità

Sergio Romano sul "Corsera" s'interroga sulla definizione d'identità di un paese.

Sembra assimilare questo concetto a quello di costume e quindi a classificarlo come impermanente, mutevole nel tempo.

Costume e identità di un popolo non necessariamente coincidono.

Il patrimonio di una nazione o di una regione della gente che vi abita ed ha radici in un territorio, magari da svariate generazioni, che ha assimilati tradizioni e modi di vivere e di pensare non esiste?


E' semplicemente una convenzione, un'accidente, pura casualità destinata a trasformarsi in continuazione?


Cambiare assieme sembra il nuovo imperativo della globalizzazione.
Perché?


Pare che così vada il mondo.


Ma chi guida il cambiamento? Le multinazionali, la tecnocrazia?

1 commento:

Anonimo ha detto...

Cambiare insieme le regole del mutare della composizione di una società, questo credo inevitabile. L'identità, non è forse già perduta, o forse mai esistita in quanto società italiana. Sicuramente ci portiamo dentro il senso di appartenenza alla propria ascendenza, alla piccola cerchia di diramazione familiare ed al gruppo sociale che occupa un limitato territorio, nell'ambito del quale ritroviamo elementi identitari. L'identità riguarda la persona-individuo che può riconoscere se stesso in relazione all'altro; il gruppo-comunità che attraverso le relazioni fra gli individui di quel gruppo, giunge ad una sintesi di intenti e di convinzioni condivise. Il costume è un'azione voluttuaria da non confontere con i gesti della tradizione che soddisfano i veri bisogni materiali e spirituali dei componenti, individualmente e collettivamente.
Il mondo globale dovrà tener conto di tutte le diversità e non riuscirà certamente ad uniformarle in virtù di interessi economici. La perdita di identità, secondo me già avvenuta con il crollo della civiltà contadina, non è stata rinfocolata di nuovi valori. La società si è parcellizzata, "atomizzata", asserisce un mio amico belga, a ragione, perdendo coesione e quindi forza. Ma non è stato il costume a produrre questo: è stata la logica del mercato e dei poteri forti.
Alla prossima e cari saluti
Franca Fusetti